Dolore alla schiena e attività fisica: che relazione c’è?

Dolore alla schiena e attività fisica: che relazione c’è?

Dolore alle schiena e attività fisica

Molto spesso si ipotizza che ci sia una qualche relazione tra dolore alla schiena e attività fisica senza però indicare effettivamente come una possa incidere l’una sull’altra.

In generale la maggior parte delle linee guida suggeriscono che per prevenire le varie forme di lombalgia sia fondamentale fare esercizio fisico regolare.

Ciò che maggiormente sorprendete è che in realtà non ci siano studi che indichino se l’attività, o la vita sedentaria, siano effettivamente fattori di rischio (o fattori protettivi) per tale patologia.

Al massimo esistono alcune ricerche che suggeriscano, senza poi identificarlo con chiarezza, che uno stile di vita sedentario sia maggiormente associato a disturbi alla schiena. Allo stesso tempo però, un recente studio, mostra come i benefici dell’attività fisica per la lombalgia diano risultati contrastanti.

Gli scienziati hanno spiegato che questa controversia potrebbe derivare dal fatto che ci siano più casi di lombalgia dovuti soprattutto a fattori:

  • Genetici;
  • Ambientali;
  • Stile di vita.

I fattori genetici sono, da altre ricerche, evidenziati come una delle principali cause di lombalgia, anche tra gemelli, con stime di ereditarietà che variano dal 21% fino ad arrivare al 67%!

In più i benefici dovuti all’attività fisica sembrano essere maggiori quando questa viene svolta in un regime d’allenamento controllato. Quindi andrebbe evitato il fai-da-te soprattutto se si è geneticamente predisposti al mal di schiena.

 

Dolore alla schiena e attività fisica: lo studio su coppie di gemelli

 

Per valutare in modo neutro i vantaggi, o svantaggi, dell’attività fisica sulla lombalgia sono stati effettuati studi su coppie di gemelli monozigoti dello stesso sesso.

Si tratta di un lavoro pubblicato sull’European Spine Journal ed è uno strumento utile per capire quanto effettivamente l’attività fisica incida e in che modo.

Sono stati inclusi ben 486 gemelli con una età media di circa 40 anni e hanno risposto ha un questionario  sulla loro storia e condizione clinica.

Ai partecipanti è stato posto un questionario con una serie di domande tra cui se, nelle ultime 4 settimane, avessero avuto problemi alla schiena.

In più è stato valutato, attraverso altri questionari, l’impegno dei partecipanti in altre attività fisiche come:

  • Golf;
  • Ciclismo;
  • corsa;
  • nuoto;
  • Tennis;
  • aerobica

Ogni sport è stato diviso in tre diversi gradi di intensità:

  • Leggero;
  • Moderato;
  • Vigoroso.

In più, per maggiore completezza, è stato anche preso in considerazione e valutato l’impegno nelle diverse attività fisiche domestiche/lavorative come ad esempio:

  • Le faccende domestiche.
  • Manutenzioni
  • Giardinaggio
  • …e altre ancora…

Lo studio è stato fatto mettendo in relazione tutte queste attività in associazione anche con determinati parametri demografici (età, sesso, patologie, fumo).

È stato valutato che non c’è una relazione diretta, o almeno così chiara, che possa indicare un rapporto tra attività fisica/non attività fisica e persona con o senza lombalgia.

Ben 69 coppie dei 486 individui risultavano discordanti, nel senso che se uno soffriva di lombalgia l’altro era invece “sano”.

Tale analisi tra gemelli ha dimostrato che un’attività domestica molto intensa aumenta di 3 volte la probabilità di soffrire di lombalgia. Al contrario non è stata trovata alcuna associazione importante tra il dolore e l’attività ricreativa o sportiva in generale.

Anche tra le persone che svolgevano sia attività domestiche pesanti che quelle sportive, è stato riscontrata  anche in questo caso una probabilità di tre volte superiore rispetto a chi svolgeva solo attività sportiva.

Le attività domestiche “intense” aumentano il rischio di lombalgia

Per sintetizzare i dati della ricerca potremmo individuare senza ombra di dubbio che l’attività fisica pesante, come anche quella domestica, sia un importante fattore di rischio per il mal di schiena specialmente se associata anche a una intensa attività ricreativa.

Quanto riscontrato dallo studio sui gemelli porta a ipotizzare che i fattori genetici e ambientali possano influenzare la relazione esistente tra attività fisica (lavorativa e non) e lombalgia.

Questo è uno studio pilota che serviva a capire se l’attività fisica potesse essere un fattore protettivo o causale del mal di schiena. Di sicuro dai dati forniti, pur essendo il campione non sufficientemente grande, emerge una qualche forma di relazione che andrà studiata.

Dolore alla schiena e attività fisica sono certamente correlate, la scienza deve ancora comprendere come e soprattutto in che modo sfruttare i possibili benefici che lo sport può dare a chi soffre di lombalgia.

Di sicuro attività pesanti svolte senza precauzioni (es. senza riscaldarsi) sono fattori di rischio molto importanti così come la predisposizione genetica o altri fattori “esterni”.

In generale, se si tende ad avere qualche dolore alla schiena è utile rivolgersi a uno specialista per capire se e quali attività possono essere svolte senza rischi di infortuni o fastidi ulteriori.

Da quanto si evince dagli studi effettuati informarsi, comprendere e capire la vera natura della lombalgia, come ad esempio anche del dolore cervicale, permette di diminuire stress e ansia che sono un altro importante fattore di rischio.

 

GIONATA PROSPERI, FT, SPT, SM.

  • Esperto In Terapia Manuale nelle cefalee, emicrania
  • Fisioterapista dei disturbi dell’articolazione Temporo – Mandibolare
  • Fisioterapista dei Disturbi Vestibolari
  • C.E.O. del Centro della Colonna vertebrale di Massa
  • Fisioterapia ecoguidata
Sollevare un peso: schiena dritta o schiena flessa?

Sollevare un peso: schiena dritta o schiena flessa?

Sollevare un peso? non convincerti che faccia male

C’è una regola che tutt’oggi regna in maniera sovrastante su come sollevare un peso, che sia una forchetta caduta per terra od un pacco di 3 kg appena consegnato dal corriere: evitare di chinarsi in avanti e mantenere la schiena dritta per evitare di sforzare troppo la schiena.

La realtà è che tanti fisioterapisti, chiropratici  ed esperti del movimento ancora ad oggi consigliano questo comportamento, specialmente nei confronti di chi soffre di mal di schiena, ma la domanda è:

  • sollevare oggetti mantenendo la schiena dritta è un bene od un male per la nostra schiena?

  • Qual è la tecnica migliore per sollevare un peso, anche pesanti?

  • Quali sono le attuali credenze sul mal di schiena e sollevare un peso?

  • Ma soprattutto, quali tecniche di sollevamento di un peso  i fisioterapisti percepiscono come più sicura, ed  perché  tali credenze?

 

Rispondiamo all’ultima domanda: il 75% dei fisioterapisti, tramite uno studio condotto sui social, hanno scelto  il modo di sollevare un peso con la schiena dritta, soprattutto sulla base del fatto che evitava la flessione della schiena.

Sollevare un peso: inversione di marcia

Ma perché continuiamo ad istruire i nostri pazienti in questo modo quando le stesse evidenze scientifiche ci dicono che nonostante l’utilizzo di tutte le “regole” per sollevare dei pesi non si è ridotta la probabilità di sviluppare mal di schiena?

La lombalgia (LBP) è un problema ampio e in crescita nelle società occidentali ( Deyo et al., 2009 ), e l’assenza dal  lavoro a causa del mal di schiena è socialmente ed economicamente dispendiosa ( Maniadakis e Gray, 2000 ).

Le ragioni di questo crescente problema sono molto dibattute, ma ciò che è chiaro è che il mal di schiena (LBP), specialmente quello persistente, è un disturbo complesso guidato da una serie di fattori attraverso un ampio spettro biopsicosociale ( Pransky et al., 2011 ).

In un nostro articolo si ribadisce il concetto di non focalizzarsi troppo sulla zona del corpo che duole e come si debba invece andare a fondo per capirne la vera genesi.

A questo proposito, sebbene vi siano prove che le richieste di lavoro fisiche siano associate a mal di schiena, esse rappresentano solo una modesta percentuale di Low Back pain (mal di schiena) nella forza lavoro (Waddell e Burton, 2001 ).

Ad oggi, nella prevenzione del mal di schiena, i datori di lavoro seguono e fanno seguire comunemente una formazione per la movimentazione manuale e specifica del carico al proprio personale.

Questa formazione spesso implica insegnare alle persone come sollevare oggetti, poiché il sollevamento inteso come carico a livello della colonna vertebrale è spesso citato come provocatorio in termini di mal di schiena (Coenen et al., 2014 ).

Tuttavia, la prova che il sollevamento è un fattore di rischio per LBP è discutibile. Siamo forse di fronte all’ennesima leggenda metropolitana sulla gestione clinica del mal di schiena?

Anche in un altro articolo ci si dibatte: piegare e ruotare la schiena, specialmente sottosforzo, è considerato il rischio maggiore per il quale si verificano lesioni, infortuni e traumi di vario genere?

Il carico cumulativo sul dorso è stato associato a LBP ( Coenen et al., 2013 ), ma sappiamo anche che  non esiste alcun legame causale comprovato tra il sollevamento dei carichi ed il mal di schiena (Wai et al., 2010a ).

Più specificamente, non vi è evidenza, in vivo, che il sollevamento di un carico con la schiena flessa sia un fattore predittivo di mal di schiena, né che sollevare con una schiena dritta sia più sicuro, nonostante questa convinzione diffusa.

Questo può aiutare a spiegare il perché insegnare alle persone come sollevare un oggetto non si è dimostrato efficace nella prevenzione della mal di schiena ( Hignett, 2003 , Maher, 2000Bos et al., 2006 , Martimo et al., 2008 .

Le convinzioni che stanno alla base della teoria che è bene sollevare un carico a schiena dritta è che la colonna vertebrale è una struttura vulnerabile e necessità costantemente di protezione. Queste credenze, adottate in gran parte dai medici di base influiscono sulla gestione clinica, con conseguenza devastanti.

Qual è il miglior consiglio che si può dare per sollevare un peso?

Un approccio attuale è quello che consigliare di proteggere la schiena da una flessione durante il sollevamento di un carico non è un azione utile nella gestione di un mal di schiena.

Di fatto, può alimentare credenze e pensieri negativi che portano alla paura ed alla protezioni di muoversi, fattori responsabili del mantenimento del disturbo.

Figuriamoci in presenza di un’ernia cosa possa accedere: il soggetto con mal di schiena, dalla paura di far schizzare la sua ernia, pistola alla testa si rifiuterebbe di chinarsi in avanti anche solo di un grado!!

Sappiamo inoltre che il nostro sistema produce dolore anche di fronte ad una situazione di pericolo percepito. E’ un sistema di allarme molto sensibile: ci fa percepire dolore anche prima di subire un danno tissutale.

Sollevare un peso e letteratura scientifica

Ad esempio, è stato dimostrato che pazienti con mal di schiena tendono a sollevare oggetti, anche non pesanti, con cautela: oltre a muoversi più lentamente, piegano meno la loro schiena e co-attivano i muscoli che sostengono la colonna vertebrale, il tutto per non sentire il dolore, pienamente convinti.

Sappiamo però che questa modalità di movimento e di comportamento è meno efficiente ed è legato a un carico spinale maggiore che può essere nocivo-selettivo ( Marras et al., 2001).

Ma purtroppo ancora oggi questo modo prudente di sollevamento riflette anche le strategie di sollevamento comunemente insegnate, in cui si consiglia agli individui di mantenere la schiena dritta e piegare le ginocchia.

La teoria che sollevare un carico mediante squat con la colonna estesa è il modo più sicuro di sollevamento di un carico deriva da dati in vitro che suggeriscono che è più difficile farsi male mantenendo la colonna nella sua posizione fisiologica evitando quindi la flessione ( Callaghan e McGill , 2001 ).

Tuttavia, questo non è stato confermato in vivo ( Dreischarf et al., 2016 , Kingma et al., 2010 ). 

In effetti, il sollevare un carico con la colonna flessa è dimostrato essere più efficiente ( Holder, 2013). Insegnare a persone con mal di schiena a mantenere la schiena dritta quando sollevano un carico e convincerli di questo può in effetti essere inutile.

 

Conclusioni: alleniamo la nostra schiena a sollevare pesi 

C’è una mancanza di prove chiare sulla relazione tra danno, danno tissutale e dolore alla schiena ( Brinjikji et al., 2015 , Jarvik et al., 2005 ). Oggi si parla di approccio biopsicosociale.

Se tutti gli elementi concorrono tra loro e pesano tutti in egual misura nell’esperienza dolorosa, collegare tutte le ipotetiche cause anziché cercare di accanirci nel voler cercare una sola unica causa è la via migliore ed efficace per gestire il dolore.

Tuttavia, è stato dimostrato che il sollevamento dello squat (schiena più dritta e piegamento del ginocchio più profondo) è meno efficiente di uno stile più arrotondato ( Holder, 2013 ).

Sappiamo inoltre che l’esercizio specifico e graduato a carico  della colonna lombare è in grado modificare il contenuto metabolico del disco intervertebrale, invertendo quel processo di disidratazione con riduzione del ph con conseguente degenerazione discale.

GIONATA PROSPERI, FT, SPT, SM.

  • Esperto In Terapia Manuale nelle cefalee, emicrania
  • Fisioterapista dei disturbi dell’articolazione Temporo – Mandibolare
  • Fisioterapista dei Disturbi Vestibolari
  • C.E.O. del Centro della Colonna vertebrale di Massa
  • Fisioterapia ecoguidata

 

Attività aerobica  e mal di schiena

Attività aerobica e mal di schiena

 

Attività aerobica o palestra per contrastare il mal di schiena?

È una domanda che molto spesso ci si pone se si soffre di lombalgia, specialmente se cronica. Prima di tutto dobbiamo dire che, in base alle recenti ricerche, è importante capire che c’è una forte correlazione tra sedentarietà e mal di schiena.

Quindi è comunque fondamentale modificare il proprio stile di vita; di seguito uno studio effettuato per capire quale attività è migliore tra camminata e pesi contro il mal di schiena

La lombalgia è un problema altamente diffuso nei paesi economicamente più sviluppati, si stima che nell’arco della propria vita circa il 70% delle persone ne soffrano per almeno un periodo. La condizione diviene infine cronica in circa il 10% della popolazione.

Gli approcci tradizionali per curare il mal di schiena

Esistono un grandissimo numero di metodologie, più o meno valide o scientificamente provate, che tentano di dare sollievo o curare la lombalgia.

Nella letteratura scientifica è dimostrato che gli approcci attivi, come ad esempio:

  • il rafforzamento dei muscoli della schiena o di quelli addominali,
  • esercizi di coordinazione,
  • allenamento generico,
  • esercizio aerobico,

riducano il dolore e apportino anche una serie di miglioramenti generici nonché alle capacità funzionali.

In una valutazione su ben 47 studi clinici sulla lombalgia è emerso che gli approcci attivi, su tutti il potenziamento muscolare, siano molto più efficaci per il guadagno di capacità funzionali rispetto a molte altre tecniche di trattamento della patologia.

Per quanto riguarda invece la classica attività aerobica (es. la corsa), è ormai noto e certo il fatto che offra moltissimi benefici e abbia effetto su:

  • dolore,
  • depressione,
  • ansia,
  • paura del movimento,
  • umore

In più, tra le molteplici attività fisiche raccomandate alla popolazione, quelle a piedi (che siano camminata veloce o jogging), è noto essere le più sicure con il più basso tasso di infortuni.

Correre o camminare vengono spesso, nelle cliniche per il mal di schiena, raccomandati ai pazienti con lombalgia. A questo si aggiungono anche alcuni studi che hanno valutato positivamente tali pratiche come veri e propri trattamenti.

Siamo di fronte a interventi che includono:

  1. un allenamento per la deambulazione con intensità moderata,
  2. camminata con bastoni da sci per aiutarsi,
  3. allenamento a piedi con trazione verticale (es. scale).

 

In tutti e tre i casi è stata riscontrata una riduzione del dolore e un miglioramento funzionale. La ricerca in oggetto serve per valutare l’effetto dell’allenamento aerobico (corsa, camminata), durante l’allenamento in cui si vuole avere un potenziamento muscolare e un miglioramento delle abilità funzionali.

Il metodo di analisi utilizzato per capire se e quanto l’attività aerobica sia utile per il mal di schiena

Gli scienziati hanno effettuato rilevazioni su test in cui i soggetti camminavano per 6 minuti tenendo in considerazione anche la differenza di velocità tra chi soffre di mal di schiena e chi invece non ha problemi.

Hanno notato come l’esercizio attivo a piedi migliori le prestazioni del paziente con lombalgia cronica.

I soggetti sono stati reclutati dal Dipartimento di Fisioterapia di Maccabi (Israele) con una età compresa tra 18-65 anni, con dolore lombare cronico da più di 3 mesi con o senza irradiazione agli arti inferiori.

Sono stati invece esclusi tutti coloro che avevano almeno uno dei seguenti parametri:

  • fisicamente attivo,
  • ha subito fratture o interventi chirurgici negli ultimi 6 mesi,
  • cardiopatici,
  • con angina instabile,
  • con insufficienza cardiaca congestizia,
  • con bypass effettuato negli ultimi 6 mesi,
  • ha ricevuto trattamenti contro il cancro,
  • soffre di mal di schiena per un incidente.

 

Come detto il test si basava su una camminata intensa della durata di 6 minuti in cui il partecipante, nel suddetto tempo, doveva percorrere la maggior distanza possibile.

In seguito sono stati fatti dei test per valutare la condizione funzionale della persona come quello adattivo denominato Back Pain Functional Scale e vari questionari.

Due fisioterapisti con esperienza pluriennale nella riabilitazione muscolo-scheletrica erano responsabili prima e dopo la valutazione del soggetto.

Sempre un fisioterapista senior (con 17 anni di esperienza nella riabilitazione muscolo-scheletrica) era invece responsabile di tutte le sessioni di allenamento con i soggetti partecipanti al test.

Questi, a loro volta, sono stati divisi in due gruppi:

  1. Gruppo a piedi.
  2. Gruppo di esercizi.

Ogni gruppo, a sua volta, suddiviso in sottogruppi di età: 18-44 e 45-65 anni.

I gruppi sperimentali hanno partecipato a programmi di 6 settimane. La frequenza di allenamento era per tutti di 2 volte a settimana con sessioni che duravano 20 minuti nella prima e aumentavano di 5 minuti a settimane per le seguenti fino alla quinta.

Nel gruppo a piedi i partecipanti camminavano su dei tapis roulant con un riscaldamento di 5 minuti a velocità bassa per poi settarsi a un livello intenso. Nelle ultime due settimane la durata era di quindi 40 minuti a sessione.

Il gruppo di esercizi eseguiva invece attività e movimenti atti al rafforzamento del tronchi e degli arti inferiori e superiori. Anche qui ogni sessione iniziava con 5 minuti di riscaldamento per poi proseguire con una fase “a basso carico”.

Infine si arrivava a una fase in cui si incrementavano i carichi e le stesse ripetizioni.

I risultati delle ricerche

Lo studio in oggetto serviva a valutare l’efficacia di un programma basato sulla camminata rispetto a un programma di esercizi di rafforzamento che, secondo la letteratura, è stato considerato il trattamento più efficace per il guadagno funzionale tra le persone con lombalgia cronica.

È stato anche riscontrato che entrambi i gruppi di studio sono migliorati con risultati simili in tutti i parametri presi in considerazione.

La durata dello studio, come abbiamo detto di appena 6 settimane, avrebbe potuto mostrare differenze più significative nei risultati se fosse durato di più.

La prima cosa che si evince da questo studio, come dai molteplici altri che sono stati fatti sull’allenamento rispetto alla lombalgia cronica, è l’importanza di avere una vita attiva che non obbliga per forza ad estenuanti sedute in palestra.

Conclusioni

In conclusione, in rapporto alla attività aerobica e il mal di schiena possiamo affermare che un programma di camminata:

  • a intensità moderata,
  • due volte a settimana,
  • per sei settimane

migliori le prestazioni funzionali e la resistenza muscolare nelle persone con lombalgia cronica.

 

GIONATA PROSPERI, FT, SPT, SM.

  • Esperto In Terapia Manuale nelle cefalee, emicrania
  • Fisioterapista dei disturbi dell’articolazione Temporo – Mandibolare
  • Fisioterapista dei Disturbi Vestibolari
  • C.E.O. del Centro della Colonna vertebrale di Massa
  • Fisioterapia ecoguidata

 

Gomito del tennista: associazione con fattori psicologici

Gomito del tennista: associazione con fattori psicologici

GOMITO DEL TENNISTA: EZIOLOGIA

L’eziologia del gomito del tennista è multifattoriale. L’uso eccessivo degli estensori del polso insieme a fattori anatomici, come problemi di flessibilità, invecchiamento e scarsa circolazione sanguigna, potrebbe avere un ruolo chiave nel determinare questa condizione clinica sempre più frequente tra la popolazione sportiva e non.

GOMITO DEL TENNISTA: FATTORI PSICOLOGICI

Un recente studio del 2018 ha esaminato se i pazienti con “gomito del tennista” avessero un profilo psicologico diverso rispetto a individui sani (gruppo controllo).

METODI: i pazienti con segni clinici di gomito del tennista, consultati presso l’Ospedale dell’Università di Ghent tra settembre 2015 e gennaio 2017, hanno ricevuto un questionario su carta sui tratti di personalità chiamato Big Five, perfezionismo, ansia, depressione, soddisfazione lavorativa e condizioni di lavoro. Sono stati assegnati gli stessi questionari ai controlli sani nello stesso gruppo di rischio, ossia stessa fascia di età e stessa professione.

RISULTATI: sono stati reclutati 69 pazienti (35 uomini, 34 donne) e 100 controlli (44 uomini, 56 donne).

I pazienti con gomito del tennista hanno ottenuto punteggi significativamente più bassi sui tratti della personalità, estroversione e gradevolezza.

Gli UOMINI, in particolare, hanno ottenuto punteggi significativamente più alti nel perfezionismo ed erano più propensi a sviluppare un disturbo d’ansia o depressione.

Per quanto riguarda il lavoro, i pazienti hanno indicato un carico di lavoro significativamente più alto (in particolare gli uomini) e un’autonomia significativamente inferiore (soprattutto le donne).

Le DONNE hanno indicato anche un minor contatto con i colleghi (minor supporto sociale). Tuttavia, la soddisfazione del lavoro era relativamente alta in entrambi i gruppi.

CONCLUSIONI

i risultati suggeriscono che esiste una relazione tra i disturbi legati al gomito del tennista e le caratteristiche psicologiche.

Medici e terapisti dovrebbero essere consapevoli di queste possibili caratteristiche psicologiche e dovrebbero cercare di riconoscere questa categoria di pazienti, che facilmente diventano ansiosi e hanno difficoltà a fidarsi di altre persone.

Con questi pazienti, occorrerà impiegare maggior tempo durante la valutazione al fine di conoscere la loro condizione, non aumentare l’ansia o sentimenti depressivi e per rafforzare la relazione terapista-paziente, qualunque sia il trattamento proposto. Inoltre, dovrebbero essere adattate eventuali prevenzioni sul posto di lavoro, come ad esempio campagne di sensibilizzazione.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29433642

Mal di schiena, il miglior esercizio per curarlo

Mal di schiena, il miglior esercizio per curarlo

PREMESSA

In molti casi è impossibile, ad oggi,  identificare la causa di un persistente mal di schiena e, di conseguenza, come curarlo. E non è ancora chiaro oggi quale sia la modalità terapeutico migliore in termini di esercizi.

COSA INSEGNARE AL PAZIENTE

Chi consiglia di non rimanere troppo a riposo, e quindi un ritorno precoce all’attività lavorativa,  e  chi consiglia un programma specifico terapeutico basato su esercizi.

E’ opinione comune oramai che il rinforzo dei muscoli del tronco, attraverso programmi di stabilizzazione vertebrale, sia in grado di migliorare il mal di schiena cronico, meglio definito come Lombalgia Cronico aspecifica.

Tuttavia,  i cambiamenti, in termini di dolore e disabilità, non sembrano essere mediati da cambiamenti dell’attività di questi muscoli. In poche parole gli esercizi di stabilizzazione vertebrale non sono ritenuti  migliori rispetto ad altri esercizi più generici.

Diversi studi scientifici infatti si sono concentrati sull’attività e di conseguenza sul ruolo di questi muscoli nei pazienti con forte mal di schiena, e sulla relazione con fattori cognitivi ed emotivi.

I risultati sono sorprendenti: pazienti che manifestavano un forte dolore tendevano a far lavorare molto di più i muscoli del tronco sia durante i movimenti di flessione ed estensione e sia durante la camminata.

Il dolore, o solo l’idea di provarlo,  per la maggior parte dei pazienti è un’esperienza terrificante. Insegnare ai pazienti come affrontare questa paura e continuare a muoversi è parte integrante del processo di guarigione.

Molti pazienti infatti, alla sola idea di provare dolore, non si muovono e tendono a irrigidire troppo i muscoli del tronco, facendo lavorare proprio quei muscoli che noi fisioterapisti volevamo rinforzare. Tutto ciò comporta una maggiore rigidità con conseguente perdita di mobilità.

MAL DI SCHIENA: IL MIGLIOR ESERCIZIO 

Partiamo dal presupposto che l’esercizio è utile per una serie di ragioni:

  • Incremento della forza muscolare, la quale può supportare meglio la colonna;
  • Incremento della flessibilità e dell’ escursione articolare, la quale può aiutare a migliorare i movimenti funzionali favorendo una migliore qualità della vita;
  • Aumento del flusso sanguigno nei tessuti molli, il che promuove la guarigione dei tessuti riducendo la rigidità.

Queste sono solo poche ragioni per cui vale la pena intraprendere un programma di esercizi per il tuo mal di schiena prima eventualmente di trattamenti passivi, ma bisogna anche sapere i risultati di altri ricerche:

  • L’esercizio aerobico effettuato per 20 minuti al 70% di massimo consumo di ossigeno riduce la percezione di dolore per più di 30 minuti nei pazienti con mal di schiena cronico;
  • Migliorare la flessibilità a livello lombare e a livello degli hamstring può ridurre in maniera significativa il dolore lombare ( dal 18,5% al 58%);
  • Esercizi di stabilizzazione riducono in maniera significativa il dolore (39% – 76,8%) mentre programmi di rinforzo muscolare del 61,6%.

CONCLUSIONI 

Quindi proviamo a rispondere alla domanda di quale sia il miglior esercizio o programma terapeutico per la gestione del mal di schiena:NESSUNO

Non ci sono evidenze che un esercizio specifico porti a maggiori benefici . Gli esercizi di stabilizzazione a nostro avviso da soli non sarebbero in grado di togliere completamente il dolore. Aumenterebbero la rigidità della colonna.

E’ come consigliare ad una persona con forte mal di schiena di contrarre ulteriormente muscoli che sono già contratti.

La nostra schiena è fatta per muoversi, sia in flessione che in estensione. I muscoli della schiena hanno il compito si di stabilizzare la colonna vertebrale ma anche il compito di MUOVERLA.

I programmi di rinforzo della schiena dovrebbero essere sempre affiancati da programmi di mobilità, per aumentare il range articolare della colonna.  Sono consigliati inoltre esercizi di respirazione, associati allo YOGA o mindfulness, per la riduzione dello stress e dell’ansia, anch’essa responsabile del dolore.

Ricordiamo infatti  che il dolore, specie quello cronico, non sempre equivale alla quantità di un danno tissutale. Esso è influenzato da più fattori come i pensieri, lo stress e la qualità del sonno. Il dolore è quindi il risultato di un sistema nervoso ipersensibilizzato.

Lo Yoga o la Minfulness hanno lo scopo di Spegnere questo sistema ipersensibilizzato attraverso la riduzione dello stress e dell’ansia.

In poche parole: MUOVITI E LIBERATI DALLO STRESS.  .

BIBLIOGRAFIA

Wong AYL., Parent EC, Funabashi M, Stanton TR, Kawchuk GN. Do various baseline characteristics of transversus abdominis and lumbar multifidus predict clinical outcomes in nonspecific low back pain? A systematic reviewPain 154 (12)(2013) 2589–2602, .

Smith BE, Littlewood C, May S. An update of stabilisation exercises for low back pain: a systematic review with meta-analysis. BMC Musculoskelet Disord. 2014 Dec 9;15:416. doi: 10.1186/1471-2474-15-416.

Ghamkhar L, Kahlaee AH. Trunk muscles activation pattern during walking in subjects with and without chronic low back pain: a systematic review. PMR 7 (5) (2015) 519–526

Effetti dell’allenamento sulla forza negli anziani

Effetti dell’allenamento sulla forza negli anziani

Il processo di invecchiamento a cui fa fronte il nostro corpo con gli anni si estende fino a livello cellulare.  Ma il danno, dovuto dall’età,  accumulato sulle cellule muscolari degli anziani è particolarmente severo, perché non è facile una rigenerazione ed i muscoli diventano sempre più deboli, mentre i mitocondi, responsabili della produzione di energia, diminuiscono sia di numero che di vigore.

Uno studio pubblicato questo mese su Cell Metabolism , tuttavia, suggerisce che alcuni tipi di allenamenti possano essere in grado di annullare  questi gli effetti a livello mitocondriale.

E’ bene ricordare che l’esercizio fisica male non fa, come tutti noi sappiamo. Ma la scienza sorprendentemente non ha compreso bene che impatto possa produrre l’esercizio a livello cellulare, e come questi cambiamenti possano variare in base al tipo di attività ed in base all’età.

Così i ricercatori della Mayo Clinic di Rochester, nel Minnesota, hanno condotto di recente un esperimento cellulare su 72 soggetti sedentari sani (uomini e donne) divisi in due gruppi, uno con meno di 30 anni, ed uno sopra i 64 anni.  Dopo aver stabilito le misure di base della loro capacità aerobica, i livelli di zucchero nel sangue e l’attività del gene e la salute mitocondriale delle cellule muscolari, questi volontari sono stati assegnati in maniera casuale a un particolare regime di esercizio.

Alcuni di loro si allenavano intensamente con i pesi più volte alla settimana; alcuni praticavano brevi intervalli di allenamento tre volte a settimana su biciclette stazionarie (pedalando duramente per quattro minuti, riposando per tre e poi ripetendo quella sequenza altre tre volte); alcuni andavano in bicicletta a velocità moderata per 30 minuti un paio di volte a settimana e sollevavano pesi leggeri negli altri giorni. Un quarto gruppo, il controllo, non ha esercitato.

I risultati di questi test portano alla conclusione che il declino cellulare dei muscoli associati all’invecchiamento possa essere  “corretto” con l’esercizio, soprattutto se intenso, come afferma  il dottor Sreekumaran Nair, professore di medicina e endocrinologo presso la Mayo Clinic.

Le cellule delle persone anziane sembrerebbero rispondere più intensamente a un intenso esercizio rispetto alle cellule dei giovani – suggerendo, che non è mai troppo tardi per trarre beneficio dall’esercizio.