TENDINOPATIA: Se sei un tennista probabilmente considererai interessante quanto scritto di seguito.
La presenza di dolore ad un tendine, sia che si parli di gomito del tennista e sia che si parli dell’achilleo è una caratteristica clinica molto frequente tra i tennisti, sia nel livello agonistico che amatoriale. La tendinopatia nel tennista è comune e può influire sulle abilità di gioco o addirittura impedire al giocatore di scendere in campo.
E’ comunemente accettato come la causa primaria di tale condizione sia nel sovraccarico funzionale, anche se ad oggi non è del tutto chiaro l’eziologia e la patogenesi di una tendinopatia.
Tendinopatia e definizione: non chiamiamola più tendinite.
Con il termine di tendinopatia ci riferiamo ad un tendine anormale, doloroso e che peggiora col carico e l’attività fisica. Una volta veniva definita tendinite (infiammazione del tendine) ma da studi recenti è ormai chiaro che essa non è associata ad un processo infiammatorioclassico ma all’incapacità del tendine di sopportare un carico.
La ricerca scientifica sulle cure delle tendinopatie, sia degli arti superiori (cuffia dei rotatori nella spalla ed epicondilalgia) che degli arti inferiori (tendine d’Achille e tendine rotuleo), sta facendo passi da gigante. Ancora non si conosce il metodo migliore per trattarle, ma intanto sappiamo cosa non fare, il che ci permette di focalizzare il processo di cura sui metodi che sembrano funzionare di più e soprattutto abbandonare quelli che fanno perdere solo tempo e sprecare soldi.
Tendinopatia: in che fase sei?
La fisioterapista australiana Jill Cook, che noi di Physiotherapy conosciamo molto bene, divide il processo di tendinopatia in due fasi:
Reattiva / inizio lesione
Fine lesione / degenerativa
Determinare lo stadio di una tendinopatia è fondamentale nel formulare correttamente il piano di trattamento.
Un carico di allenamento eccessivo nel tennis, soprattutto in eccentrica, potrebbe peggiorare le cose in una tendinopatia reattiva, ma potrebbe aiutare nella fase degenerativa – questo è il motivo per cui la fase è così importante! Se non si identifica la fase giusta si potrebbero peggiorare le cose!
In poche parole con una tendinopatia nella sua fase iniziale e quindi reattiva, sarà molto importante ridurre il carico di allenamento (frequenza e volume) ma sopratutto modificare o ridurre il carico eccentrico. L’obiettivo principale durante questo stadio è quella di contribuire alla guarigione del tessuto piuttosto che peggiorare la patologia del tendine. Di particolare importanza è la riduzione dei movimenti che combinano sia carichi di compressione che di trazione (NO STRETCHING). È importante gestire in maniera ottimale il carico di lavoro, il che non significa scaricare completamente il tendine, comportamento che potrebbe peggiorare la qualità del tendine, ma ridurre il carico ad un livello che permetta al tendine di recuperare. Questo potrebbe significare evitare momentaneamente la corsa e la modifica del carico di allenamento a seconda della gravità della tendinopatia.
Una tendinopatia invece nella sua fase degenerativa risponderà meglio al carico graduale e progressivo che terminerà con il rafforzamento eccentricoe pliometrico, sempre nel rispetto del dolore.
Tendinopatia: cosa non fare
Abbiamo visto come ci dobbiamo comportare di fronte ad un tendine doloroso ed abbiamo capito l’importanza della fase della patologia tendinea. Ora capiamo cosa non fare quando ci troviamo di fronte ad un quadro clinico doloroso di natura tendinea.
1) RIPOSO ASSOLUTO
Il riposo comporta solo una riduzione della capacità del tendine di sopportare i carichi, peggiorando quindi la patologia esistente. Ma se il carico su un tendine crea dolore, cosa si può fare? Ridurre il carico a livello tollerabile ed incrementare gradualmente la tolleranza del tendine al carico.
2) FARE TRATTAMENTI PASSIVI
I trattamenti passivi come ghiaccio o terapia fisica (tecar – laser etc etc) possono ridurre il dolore nel breve periodo, ma sono totalmente inefficaci sul lungo periodo.
3) FARE INFILTRAZIONI
Le infiltrazioni non sono efficaci. Riducono il dolore per pochi giorni, ma sul medio e lungo periodo, oltre a non guarire il problema, peggiorano la patologia. Non fare mai un’infiltrazione senza prima aver provato un programma serio di fisioterapia basata su esercizi scientificamente validati.
4) IGNORARE IL DOLORE
Il dolore non deve fare paura, ma deve essere usato come segnale per capire quanto il tendine può essere caricato. La comparsa del dolore ci avvisa di un eccessivo carico sul tendine.
5) FARE STRETCHING
Lo stretching aumenta le forze compressive sul tendine peggiorando la sintomatologia. Se la muscolatura è rigida è preferibile un massaggio.
6) MASSAGGIARE IL TENDINE
Non conviene massaggiare direttamente il tendine perché si potrebbe solo peggiorare la situazione. Talvolta può derivarne un sollievo momentaneo salvo poi peggiorare di nuovo in poco tempo. Il massaggio può invece essere utile sulla muscolatura che si attacca al tendine sofferente.
7) ESSERE PREOCCUPATO DALLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
Non bisogna aver paura dei risultati degli esami strumentali. Un tendine patologico può, anzi deve essere caricato (sempre seguendo i consigli di un esperto). Nei referti, parole come “degenerazione” o “lesione” possono spaventare il paziente che tenderà a non fare più nulla che comporti l’utilizzo del tendine. Un tendine “degenerato” può rispondere positivamente al carico, soprattutto se somministrato gradualmente.
8) AVER PAURA DELLA ROTTURA
La maggior parte delle persone che hanno subito la rottura di un tendine non avvertivano nessun tipo di dolore in precedenza. Quindi non bisogna aver paura di una possibile rottura perché si sente male. Il dolore ci aiuta a capire come ricalibrare i carichi che il tendine può sopportare.
9) PRENDERE DELLE SCORCIATOIE
Dedicare poco tempo alla fisioterapia non funziona. Terapie passive (ultrasuoni, tecar, tens) possono produrre un beneficio, ma solo nel brevissimo termine. Occorrerà subito ridurre il carico quando basta e pianificare un programma di rinforzo con carico graduale progressivo, monitorando costantemente il dolore. E’ importante capire che durante un allenamento od una partita di tennis il tendine viene caricato tantissimo. Preparare gradualmente il tendine di un tennista al suo carico reale rappresenta la strada migliore.
10) NON CAPIRE QUALI ESERCIZI SONO BENEFICI E QUALI NO PER IL TENDINE
Salti, cambi di direzione, sprint sono attività da evitare nel primo periodo e da gestire con un aumento progressivo in seguito. Esercizi di forza possono invece aiutare molto la guarigione di un tendine.
Il messaggio da portare a casa è che una riabilitazione basato sull’esercizio terapeutico a carico progressivo e graduale rappresenta il trattamento migliore nella gestione clinica di un dolore tendineo del tennista.
Tendinopatia: le conclusioni
Se soffri di un dolore al tendine o se ne hai mai sofferto in passato ora sai quanto sia importante la gestione del carico ottimale.
Un programma progressivo con esercizi di forza e resistenza darà al tendine i carichi appropriati e sarà in grado di produrre i risultati migliori nel lungo termine. La quantità di carichi non è la sola variabile da monitorare, anchel’aumento dei carichi in modo inappropriato sembra essere un fattore di rischio.
I fisioterapisti di Physiotherapy gestiscono quotidianamente tennisti amatoriale e di elite attraverso una specifica riabilitazione, con protocolli di allenamento dello sportivo professionista per il completo recupero e la piena performance.
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La distorsione laterale di caviglia (LAS) è un infortunio di frequente riscontro nella pratica clinica, con un alta prevalenza tra la popolazione generale e gli individui che praticano sport. Circa il 40% di tutti gli infortunio traumatici alla caviglia si verificano fra chi pratica un’attività sportiva.
Nonostante un’elevata incidenza e prevalenza delle distorsioni laterali di caviglia, solo il 50% delle persone che incorrono in questo infortunio cercano un assistenza medica e di conseguenza fisioterapica.
Una buona percentuale di pazienti con lesione laterale alla caviglia svilupperà con il tempo un instabilità cronica di caviglia(CAI: Chronic ankle instability). Un’instabilità cronica di caviglia può essere definita come una condizione di persistente dolore, gonfiore e cedimenti in combinazioni con ricorrenti distorsioni nell’arco di 12 mesi dal primo episodio con conseguente allontanamento dalla pratica sportiva.
Nonostante il crescente numero di studi pubblicati su questo argomento, l’eterogeneità nelle strategie terapeutiche persiste in tutto il mondo. Ciò ha reso necessario lo sviluppo di una linea guida clinica basata sull’evidenza internazionale
Per valutare sistematicamente e sintetizzare tutte le prove disponibili sulla distorsione laterale di caviglia, è stata intrapresa un’ampia ricerca nella letteratura in maniera specifica nelle seguenti aree: fattori predisponenti e prognostici, fattori diagnostici, trattamenti, prevenzione e ritorno alla pratica sportiva e/lavorativa.
FATTORI PREDISPONENTI
Sono definiti fattori predisponenti quei fattori che aumentano il rischio di distorsione laterale di caviglia. Possono essere classificati come intrinseci (ovvero fattori correlati al paziente, come deficit di propriocezione o precedenti lesioni) e fattori estrinseci (le caratteristiche ambientali per esempio).
Un’ aspetto importante di tutti questi fattori è capire se e come possano essere modificati. Quei fattori modificabili per esempio dovranno essere presi di mira durante un trattamento conservativo al fine di ridurre al minimo il rischio di infortunio o recidiva.
INTRINSECI: ridotta dorsi flessione di caviglia, ridotta propriocezione, deficit di controllo dei muscolo prossimali ( test single leg balance positivo), una resistenza ridotta, intesa come capacità cardio respiratorio, il sesso (rischio maggiore per il sesso femminile);
ESTRINSECI: il tipo di sport praticato, con le sue caratteristiche principali, il terreno di gioco.
FATTORI PROGNOSTICI
A seguito di distorsione laterale acuta di caviglia il dolore diminuisce rapidamente entro le prime due settimane.Tuttavia, una buona parte dei pazienti riferiscono una sintomatologia dolorosa anche a lungo termine. Ad un follow up di 1-4 anni, il 5 – 46% dei pazienti lamenta sempre dolore, il 3 – 34% dei pazienti manifesta esperienza di distorsioni ricorrenti di caviglia ed il 33 – 55% dei pazienti riferisce un’instabilità.
Inoltre un alto carico di lavoro fisico spesso è associato ad un aumento del rischio di distorsioni ricorrenti ed ad un’instabilità di caviglia.
Nel 25% dei pazienti sono stati riscontrati segni clinici di impingement anteriore di caviglia, l’82% dei quali confermate radiologicamente.
Nonostante una riabilitazione precoce consistente, circa il 40% hanno la possibilità di sviluppare un CAI, ovvero un’instabilità cronica di caviglia. Ciò sta a dimostrare il fatto che non tutti i fattori che contribuiscono al successo o fallimento sono noti.
Alcuni fattori prognostici sfavorevoli noti per lo sviluppo di un’instabilità cronica di caviglia erano l’impossibilità di compiere un salto e di conseguenza un atterraggio a 2 settimane dalla prima distorsione laterale di caviglia, carenze nel controllo posturale dinamico, un alterata cinematica dell’anca ed una ridotta stabilità meccanica data dal legamento leso a seguito di distorsione laterale di caviglia.
Considerato che molteplici di questi fattori prognostici hanno un origine neuromuscolare la fisioterapia rappresenta un valido strumento terapeutico nella gestione clinica di una distorsione laterale di caviglia, al fine di ridurre al minimo il rischio di recidive.
DIAGNOSTICARE una distorsione laterale di caviglia
A seguito di una forte distorsione di caviglia è opportuno escludere la presenza di fratturasia attraverso le regole di Ottawa e sia attraverso l’indagine radiografica.
Le regole di Ottawarappresentano ad oggi un ottimo strumento clinico per fisioterapisti e medici in caso di sospetta frattura ossea.
Le regole di Ottawa (Ottawa Ankle Rules OAR) dovrebbero essere utilizzate per determinare la probabilità che una frattura sia presente. Una radiografia della caviglia è necessaria se il paziente riferisce dolore nella “zona malleolare” e questo è associato da un dolore alla palpazione dei 6 cm del bordo posteriore del perone distale, o dolore alla palpazione dei 6 cm del bordo posteriore della tibia distale, o un’abilità di fare 4 passi immediatamente dopo il trauma o alla presentazione clinica.
In linea generale le distorsioni di caviglia si possono classificare in 3 gradi:
1: distorsione di grado lieve;
2: lesione moderata con interessamento dei legamenti;
3: severa distorsione con lesioni massiva dei legamenti;
Nel caso sia presente un ematoma, accompagnato da dolore alla palpazione della testa del perone ed una positività al test del cassetto anteriore, esiste la probabilità di un lesione dei legamento laterali della caviglia.
Il legamento peroneo astragalico anteriore (LPAA) è la struttura legamentosa più frequentemente interessata nelle distorsioni laterali di caviglia.
L’anterior drawer test è il test clinico più sensibile per valutare il LPAA. Se non è presente il “sulcus sign” durante l’esecuzione dell’anterior drawer test, la probabilità di una lesione è bassa.
La sensibilità (84%) e la specificità (96%) dell’esame clinico con l’utilizzo del test del cassetto anteriore (anterior drawer test) sono ottimizzati se la valutazione clinica viene effettuata tra il quarto e quinto giorno post infortunio.
L’ecografia è molto sensibile (92%) ma poco specifico (64%), essendo operatore dipendente e sonda dipendente.
In caso del sospetto di un importante coinvolgimento legamentoso, difetti osteocondrali, lesioni sindesmosiche e fratture occulte è consigliato l’utilizzo di una risonanza magnetica (RMN), grazie alla sua eccellente sensibilità (93 – 96%) e specificità ( 100%). Tuttavia, è sufficiente la valutazione clinica a 5 – 6 giorni dall’evento traumatico, vista la sua sensibilità e specificità.
TRATTAMENTO della distorsione laterale di caviglia
RICE: riposo, ghiaccio, compressione ed elevazione. Il protocollo RICE è un metodo di trattamento conservativo che non è stato ad oggi rigorosamente studiato e di conseguenza la sua efficacia rimane oggi dubbiosa. I Singoli elementi del ghiaccio e della compressione sono stati oggetti di numerosi indagini scientifiche, tuttavia c’è poco sostegno scientifico per la loro efficacia nel ridurre i sintomi associati ad una distorsione laterale di caviglia.
Non vi sono indicazioni che l’uso del ghiaccio possa aumentare la funzionalità, nonché diminuire il dolore ed il gonfiore dopo distorsione laterale di caviglia.
Se combinato con l’esercizio terapeutico, produce migliori benefici in termini di riduzione del gonfiore, cosi come nel miglioramento della funzionalità, rispetto al solo ghiaccio.
L’efficacia della terapia compressiva a seguito di distorsione laterale di caviglia è anch’essa limitata.
L’UTILIZZO DEI FANS: i farmaci antinfiammatori non steroidei sono comunemente prescritti per quei pazienti che hanno subito una distorsione laterale di caviglia, con lo scopo principale di ridurre l’infiammazione e quindi il dolore.
L’uso di farmaci FANS per via orale o per via topica comporta una riduzione del dolore nel breve termine (<14 giorni) senza aumentare significatamente il rischio di eventi avversi se comparato con trattamento placebo.
Il celecoxib 200mg (FANS non selettivo) non era inferiore all’ ibuprofene o al diclofenac nella gestione del dolore a seguito di distorsione laterale di caviglia.
Il diclofenac ha mostrato risultati migliori rispetto al piroxicam ed all’ibuprofene nei primi due giorni dopo il trauma.
Il paracetamolo sembra essere altrettanto efficace dell’uso dei FANS sia per il dolore che per il gonfiore.
Gli analgesici oppioidi sono ugualmente efficaci per alleviare il dolore, ma portano ad un maggiore effetti collaterali.
L’uso dei FANS potrebbe ritardare il processo di guarigione poiché l’infiammazione soppressa dai FANS è una componente necessario di recupero dei tessuti lesionati.
L’IMMOBILIZZAZIONE
Un minimo di 4 settimane di immobilizzazione a seguito di una distorsione laterale di caviglia si traduce in esiti sfavorevoli se comparato con un supporto funzionale ed esercizi terapeutici della durata di 4 – 6 settimane.
Evidenze più recenti hanno mostrato che un breve periodo di immobilizzazione (<10giorni) con un supporto rigido può rappresentare un valore aggiunto nel trattamento di una distorsione laterale di caviglia poiché in grado di diminuire l’edema ed il dolore e migliorare la funzionalità.
L’uso di un supporto funzionale assieme all’esercizio terapeutico si preferisce alla sola immobilizzazione nella gestione clinica di una distorsione laterale di caviglia. Se l’immobolizzazione viene applicata per trattare il dolore e l’edema, questa non dovrebbe superare i 10giorni, passati i quali il trattamento più funzionale con l’esercizio terapeutico deve essere intrapreso.
SUPPORTO FUNZIONALE
I supporto funzionali sotto forma di tutori o tape sono spesso utilizzati nella pratica clinica a seguito di una distorsione laterale di caviglia.
Questi supporti esterni differiscono dall’immobilizzazione rigida consentendo al paziente di caricare gradualmente i tessuti danneggiati evitando di dargli un eccessivo stress.
Un trattamento con qualsiasi tipo di tape o supporto sembrerebbe essere maggiormente più efficace rispetto al trattamento senza un adeguato supporto alla caviglia, come un bendaggio compressivo o…
L’ESERCIZIO TERAPEUTICO
Una terapia basata sull’esercizio terapeutico dovrebbe essere prescritta per il pieno recupero della funzionalità articolare.
Programmi di esercizi terapeutici principalmente consistono in protocollo di esercizi neuromuscolari e di propriocezione. Iniziati sin da subito, quindi nella fase acuta di una distorsione laterale di caviglia, sono risultati essere efficaci sia per il recupero e sia per ridurre la prevalenza di recidive.
Gli esercizi svolti sotto supervisione hanno mostrato maggiori benefici nei pazienti con distorsione laterale di caviglia severa rispetto ad una distorsione lieve, e se comparata con la somministrazione di esercizi da fare a casa.
MOBILIZZAZIONI MANUALI
La mobilizzazione manuale articolare produce nel breve termine un incremento della dorsi flessione di caviglia a seguito di una distorsione laterale di caviglia ed una significativa riduzione del dolore.
La combinazione di terapia manuale ed esercizi produce outcome migliori se comparata solo agli esercizi.
TRATTAMENTO CHIRURGICO
La terapia chirurgica a seguito di distorsione laterale di caviglia è stata una procedura ampiamente utilizzata fintanto che non è stato riconosciuto al trattamento conservativo la capacità di produrre gli stessi risultati e considerato che non tutti i pazienti richiedono un intervento chirurgico per risolvere l’infortunio.
Oggi giorno la chirurgia è riservata solo a colore che presentano un’instabilità cronica di caviglia a seguito di distorsione laterale di caviglia, soprattutto a seguito di un fallimento del trattamento conservativo.
Nonostante un buon esito clinico della chirurgia sia nell’instabilità cronica di caviglia e sia in caso di rottura completa del legamento il trattamento conservativo rimane ad oggi la prima scelta in quanto non per tutti i pazienti è richiesto l’intervento chirurgico , ed anche per evitare l’esposizione chirurgica non necessario con il rischio oltresì di complicazioni. Tuttavia negli atleti professionistici il trattamento chirurgico può essere il preferito per favorire un più rapido ritorno in campo.
ALTRE TERAPIE
Altre modalità di trattamento frequentemente meno usate non sempre mostrano un beneficio.
Per esempio, nessun effetto sul dolore, sull’edema, sulla funzione e sul ritorno in campo è stato mostrato per l’ultrasuono, la laser terapia, l’elettroterapia e l’onda d’urto nel trattamento acuto di distorsione laterale di caviglia.
L’evidenza sull’agopuntura è inconcludente per quanto riguarda l’efficacia del trattamento, a causa dell’eterogeneità tra gli studi.
Un piccolo studio di corte ha indicato come la terapia vibrazionale locale possa risultare efficace a seguito di distorsione laterale di caviglia nell’aumentare la dorsi flessione e l’eversione di caviglia e nel diminuire la sensazione di rigidità.
PREVEZIONE
Supporto funzionale: l’uso di un supporto funzionale o tape riduce il rischio sia una una distorsione laterale di caviglia e sia di recidive, specialmente in coloro che praticano attività agonistica. Ciononostante il tape non mostra benefici sulla propriocezione nei pazienti che hanno subito una distorsione laterale di caviglia o che hanno un’instabilità laterale di caviglia.
L’esercizio terapeutico: l’allenamento della coordinazione e dell’equilibrio si sono dimostrati efficaci nel prevenire ricorrenti distorsioni di caviglia. Una terapia basato sull’esercizio terapeutico produce un effetto di protezione maggiore rispetto a terapie convenzionali sulla prevenzione di recidive. Si consiglia di iniziare il prima possibile una terapia basata sull’esercizio terapeutico sin dai primi giorni della prima distorsione laterale di caviglia per evitare il rischio di recidiva.
Le scarpe: non esistono, ad oggi, conclusioni evidenti sul ruolo della calzatura nella prevenzione delle distorsione laterali di caviglia. Indossare scarpe basse o aderenti non ha mostrato nessun beneficio in termini di prevenzione.
RIPRESA SPORTIVA
Una distorsione laterale di caviglia comporta molteplici problemi come i disturbi della propriocezione. Questi ultimi sembrerebbero provenire dal sistema nervoso centrale al di sopra del livello del riflesso spinale, causando un’instabilità funzionale. Essendo presenti deficit di forza importante si consiglia un trattamento funzionale precoce che comprenda esercizi di propriocezione, esercizi di controllo neuro muscolare ed esercizi di forza muscolare
I soggetti che hanno subito una distorsione laterale di caviglia devono essere considerati come un sistema adattativo complesso (CAS). Di conseguenza, i criteri per stabilire il RTS devono prendere in considerazione numerosi e complessi fattori intrinseci ed estrinseci che interagiscono tra loro a livelli e tempi differenti.
La decisione che permetterà all’atleta di fare ritorno in campo dovrà basarsi su variabili cliniche, funzionali, sport specifiche e psicosociali e non sul tempo trascorso dall’infortunio.
QUALI SONO I DISTRETTI MAGGIORMENTE SOGGETTI AD INFORTUNI NEL TENNISTA?
È pensiero comune associare al tennista, amatoriale o professionista, come unica patologia la tendinopatia laterale di gomito, meglio conosciuta come “gomito del tennista”; ahimè, soprattutto se parliamo di atleti d’élite dove il gesto tecnico sport specifico è curato nei minimi dettagli, questo disturbo è piuttosto infrequente. Vediamo insieme quali sono gli altri distretti articolari che possono andare incontro a problematiche in chi compie questo sport.
SPALLA
Il dolore alla spalla è presente nel 24% dei tennisti di alto livello dai 12 ai 19 anni con una prevalenza che aumenta fino al 50% per i giocatori di mezza età.
Gli infortuni alla spalla sono comunemente dovuti all’uso ripetitivo e possono essere correlati a discinesia scapolare, patologie della cuffia dei rotatori o deficit di rotazione interna gleno-omerale con conseguente conflitto interno e/o patologia del labbro gleno-omerale.
In generale, i sintomi nel giovane tennista di alto livello sono correlati all’instabilità mentre la cuffia dei rotatori è più comunemente coinvolta nel giocatore adulto. A causa dell’incidenza elevata della patologia di spalla nei tennisti, alcuni autori hanno messo in dubbio che chi pratica tennis possa avere un maggior rischio di artrite gleno-omerale. Una studio ha analizzato 18 giocatori di tennis senior senza alcun pregresso chirurgico o trauma alla spalla e li ha confrontati con controlli di pari età che non giocavano a tennis. I risultati hanno mostrato che il 33% dei tennisti aveva segni radiografici di alterazioni degenerative a livello gleno-omerale del braccio dominante rispetto a solo l’11% dei controlli.
VIDEO DI 3 ESERCIZI FONDAMENTALI PER UN TENNISTA
ANCA
Lesioni all’articolazione dell’anca rappresentano dall’1% al 27% di tutti gli infortuni nei giocatori di tennis. In un periodo di 6 anni, Hutchinson et al hanno riportato un’incidenza di 0,8 ogni 1000 esposizioni atletiche e una prevalenza di 1,3 problematiche d’anca su 100 tennisti junior d’élite. Sanchis-Moysi et al. hanno studiato le dimensioni dell’ileopsoas e dei muscoli glutei nei tennisti professionisti così come nei giocatori di calcio professionisti mediante risonanza magnetica e hanno scoperto che i tennisti presentavano un’ipertrofia asimmetrica dell’ileopsoas e un’inversione del normale equilibrio dominante-non dominante osservato nei controlli non attivi mentre i muscoli glutei risultavano ipertrofizzati in maniera asimmetrica.
Poiché l’ileopsoas può causare dolore inguinale da tendinoptia o borsite, i giocatori di tennis potrebbero essere più sensibili a queste patologie a livello dell’arto inferiore non dominante.
Così come per altre articolazioni, è stata trovata una correlazione tra partecipazione atletica e artrite dell’anca in ex atleti d’élite. Uno dei maggiori studi che coinvolgono ex atleti d’élite femminili che hanno gareggiato nella corsa e nel tennis hanno avuto un aumento del 250% della prevalenza di osteofiti intorno all’articolazione dell’anca rispetto ai controlli. Inoltre, questa stessa indagine ha riportato che c’era un tasso doppio di formazione di osteofiti intorno all’anca nei giocatori di tennis rispetto ai corridori.
GINOCCHIO
Un ampio studio epidemiologico ha documentato 397 atleti di tutti i livelli di abilità e di età con 530 infortuni sportivi in un periodo di 10 anni; ci sono stati circa 300 infortuni al ginocchio legati al tennis e di questi, l’11% ha avuto un danno del legamento crociato anteriore (LCA) confermato nel follow-up.
Questa stessa indagine ha riportato che il legamento collaterale laterale e patologie del menisco mediale erano più frequenti nei giocatori di tennis rispetto ad altri sport.
Oltre alla lesione del LCA sono molto frequenti nel tennista il dolore femoro-rotuleo (in particolare nelle femmine) e la tendinopatia rotulea (“jumper’s knee”). Thelin et al hanno studiato l’associazione tra la partecipazione al tennis e l’artrite al ginocchio in oltre 150 tennisti svedesi, rispetto ai controlli non praticanti ed hanno scoperto che non vi era alcuna correlazione significativa.
GAMBA
La “gamba del tennista” coinvolge la porzione mediale del muscolo gastrocnemio. Un’ampia popolazione di 720 atleti di tutti i livelli di abilità con “stiramento dei muscoli del polpaccio” studiati per un periodo di 12 anni ha rilevato che il 16% dei casi era dovuto ad attività legate al tennis. Indagini separate hanno dimostrato che lesioni del polpaccio e del tendine di Achille rappresentavano dal 4% al 9% di tutte le lesioni legate al tennis.
SCHIENA
Tra gli atleti, il mal di schiena ha una prevalenza che arriva fino all’85%.
In 148 tennisti professionisti, Marks et al. hanno riscontrato che il 38% riferiva di aver perso un torneo a causa del mal di schiena e il 29% soffriva di mal di schiena cronico.Un altro studio ha rilevato che il 50% dei giocatori di tennis d’élite soffriva di dolori alla schiena di almeno 1 settimana, con il 20% di questi soggetti che manifestavano un dolore “grave”.
Il gesto tecnico del servizio è il colpo più comunemente eseguito durante la competizione tennistica. Alcuni autori hanno teorizzato che l’esecuzione ripetuta del movimento del servizio potrebbe portare a problematiche in questo distretto. Indagini di laboratorio hanno mostrato forze significativamente più alte nella porzione lombare per il servizio in Kick (‘topspin’) rispetto allo Slice o Flat, e portando potenzialmente a un maggior rischio di infortuni.
Data l’elevata frequenza di mal di schiena nei giocatori di tennis, sono stati intrapresi studi per determinare la prevalenza di anomalie radiografiche alla colonna in questi atleti; Alyas et al hanno eseguito una risonanza magnetica su tennisti d’élite asintomatici adolescenti e hanno rilevato che oltre l’80% presentava anomalie strutturali. Sebbene sia nota la presenza di patologie strutturali di schiena nei giocatori di tennis, la causa più comune di mal di schiena è legata alle strutture muscolari lombari piuttosto che a una patologia spinale.
FRATTURE DA STRESS
Un recente studio sulle fratture da stress nei tennisti condotto da Maquirriain et al. ha seguito una coorte di 139 tennisti d’élite per un periodo di 2 anni ed hanno riscontrato un’incidenza di fratture del 13%, con il navicolare tarsale il più colpito (27%), seguito dalla pars interarticularis (16%), dai metatarsi (16%) e dalla tibia (11%). I minori di 18 anni erano maggiormente soggetti a fratture rispetto agli adulti.
Nell’estremità superiore, Balius ha riportato una serie di casi di sette fratture da stress metacarpale in tennisti junior di alto livello; tutte le fratture da stress erano localizzate nel secondo metacarpo ad eccezione di una che si trovava nel terzo metacarpo. Hanno trovato un’associazione con l’intensità di gioco e hanno teorizzato che la presa western o semi-western potrebbe essere un ulteriore fattore di rischio. Le aree meno comuni di fratture da stress nei giocatori di tennis che sono state riportate in letteratura, per lo più come casi clinici, sono state l’ischio, la prima costola, l’omero, l’osso sacro, la rotula, il gancio dell’amato, l’ulna e la porzione distale del radio.
Il famoso Crunch, forse l’esercizio più noto per gli addominali, fa male? È pericoloso?
Ecco la verità supportata dalla scienza per spazzare via tutte le leggende metropolitane che ci sono a riguardo.
Ormai l’estate è giunta e tutti, anche in inverno a dire il vero, ambiscono ad avere una pancia piatta fino anche alla tanto ambita “tartaruga”. Si passano molte ore in palestra proprio per far venire fuori e mostrare con orgoglio i 6-packs!
In generale si è convinti che il Crunch sia valido per gli addominali ma pericolosoper la schiena. Ci sono un gran numero di trainer che arrivano addirittura a bandirlo dalle loro schede di allenamento portando a comprova fantomatiche ricerche scientifiche.
In realtà ci sono molti studi che indicano come, ad esempio, se si desideri un determinato incremento della massa muscolare, il Crunch come altre sue varianti, è invece un esercizio raccomandato.
A cosa serve il Crunch?
Se invece il fine ultimo dell’allenamento è di mantenere la flessibilità e tonicità, lo stesso Crunch può andar bene ma deve essere modificato sia come viene eseguito che diminuendo i pesi (lo sforzo).
È un esercizio come un altro, questo è il punto di partenza, e come tale offre alcuni benefici ma anche rischi se viene effettuato nel modo scorretto.
Farne un numero eccessivo, quindi sforzando troppo la zona addominale e di conseguenza obbligare il resto dei muscoli a una compensazione potrebbe essere rischioso.
Ma questo può accadere per qualsiasi esercizio: il problema non è il Crunch ma la disinformazione e la scarsa applicazione.
Partendo da queste considerazioni possiamo però dire, visti gli studi ormai conclamati, che forse il Crunch su palla potrebbe essere meno “rischioso” rispetto a quello classico a terra. Questo perché il primo, su palla, permette una più ampia varietà di movimenti, compresa la flessione spinale.
Che rapporto c’è tra Crunch, postura e funzionalità?
Secondo molti allenatori si tratta di un esercizio dannoso che ha anche il difetto di peggiorare sia la postura che la funzionalità, diventando quindi inutile se non addirittura dannoso per gli atleti.
Diciamo che credere che il Crunch modifichi la tua postura rendendola più flessa, che ti faccia quasi “chiudere su te stesso”, è un’idea folle!
A questo va aggiunto che alcuni trainer evitano proprio gli esercizi in cui c’è una “flessione spinale” per lavorare meglio gli addominali, isolandoli ritenendo che questo approccio sia più funzionale per la pratica sportiva.
Vengono chiamati esercizi di stabilità,ma in realtà si tratta solo di semplici esercizi isometrici. Gli esercizi di stabilizzazione a nostro avviso da soli non sarebbero in grado di togliere completamente il dolore, e di questo ne abbiamo discusso proprio in quest’altro articolo!
Dal calcio alla boxe, dal karate al golf… crunch tutti i giorni!
Dal combattimento in gabbia (MMA) al tennis è innegabile il ruolo fondamentale che riveste il movimento del tronco e la sua forza per effettuare determinati movimenti.
Non è di certo possibile immaginare Cristiano Ronaldo che stacca di testa e colpisce il pallone senza però muovere il busto! Sarebbe ridicolo ma soprattutto non riuscirebbe a imprimere al pallone alcuna forza.
Per capire la grande importanza che la schiena ricopre nello sport basta fare un esperimento banale che però darà un’idea chiara:
Prendi una palla medica di circa 3 kilogrammi e fai quello che è un tiro simile a un “fallo laterale”. In pratica lancia la palla con due mani facendola passare sopra la testa e usando anche la schiena per avere più forza.
Ora ripeti lo stesso esercizio questa volta, però, tenendo bloccata la schiena.
Immagino che tu abbia già compreso quale dei due tiri andrà più lontano!
Se si vuole massimizzare le proprie prestazioni sportive, o anche solo restare in forma, ha più senso allenare proprio quei muscoli responsabili della flessione vertebrale per massimizzare forza e resistenza.
Conclusioni
Possiamo dire che il Crunch non è un esercizio pericoloso, anzi. Aiuta a fortificare la muscolatura addominale dando aiuto e supporto anche alla schiena.
Il problema è sempre la qualità degli esercizi, non solo come vengono svolti ma anche il loro grado di intensità in base alle proprie condizioni. Il rischio di strappi, contratture o anche ernie è concreto se non si esegue un regime di allenamento strutturato e tarato sul se stessi. Abbiamo visto infatti in un altro articolo come spesso usiamo male la nostra potente e ben strutturata schiena.
Soprattutto se si soffre, ad esempio, di lombalgia, dolore cronico alla schiena o altre condizioni della colonna vertebrale, è opportuno allenarsi con moderazione e sotto l’occhio attento di un allenatore capace o, ancora meglio, di un fisioterapista.
La flessione spinale è importante per la salute e la forza della schiena?
Come in alcuni campi della medicina, anche nel fitness si tende a seguire delle mode per ragioni a volte non meglio identificate.
Come appunto per la flessione della spina dorsale che ha avuto momenti di grande importanza, diventando una sorta di Graal della fisioterapia che permetteva di risolvere ogni tipo di dolore alla schiena.
Si è arrivati a eseguire una quantità tale di esercizi superstressanti come varie tipologie di crunch o piegamenti di ogni genere. Eccedere è un po’ come piegare una carta di credito: il risultato è la rottura!
Esistono a riguardo moltissime ricerche che mostrano come la flessione spinale sotto una pressione sia un chiaro indicatore di un possibile danno. Tale condizione peggiora enormemente se si subisce anche una forza orizzontale applicata alla stessa colonna vertebrale.
Si è stimato che tali forze diventino dalle 10 alle 15 volte maggiori nel momento in cui, oltre a tali pesi, si tende a flettere la schiena. In pratica potrebbe bastare un peso minimo per provocare danni anche gravi.
La flessione spinale: cosa accade ai nostri muscoli
Le fasce muscolari della schiena, quando ci si trova in una posizione flessa, si allungano (un po’ come quando si fa stretching tentando di toccare le punte dei piedi). In tale condizione i muscoli gran dorsali, spinali ed il quadrato dei lombi sono chiaramente allungati e non riescono a esprime la loro reale forza.
Di conseguenza, con i muscoli allungati (e quindi in grado di produrre una minima forza), si riduce anche la loro capacità di evitare la deformazione della colonna vertebrale. È chiaro che, in una situazione di questo genere, il rischio di muovere la colonna in una posizione “pericolosa” aumenta moltissimo.
Ci si può quindi infortunare con estrema facilità e subire:
Una lesione.
un aumento del dolore.
un danno ad un legamento
Gli stessi studiosiperò non tengono in considerazione che la spina dorsale ha di per sé un’elevata capacità a flettersi. Ma questa va allenata oppure c’è il rischio che vada persa aumentando il rischio di farsi male.
La nostra schiena ha un grandissimo numero di movimenti disponibili utili sia per un discorso funzionale che per evitare infortuni o danni di varia natura. Per questo saper “muovere” e flettere la schiena è importante. Nessuno andrebbe in giro con un ginocchio che non si stende senza andare da un medico per capire le ragioni della sua condizione e risolverla!
La flessione spinale
Tra medici, allenatori e fisioterapisti è sorta una grande discussione sul carico che debba o possa subire la schiena durante una flessione spinale.
Se ad esempio bastasse piegarsi di colpo sul computer per subire un infortunio allora significherebbe o che c’è un problema importante da valutare, oppure che l’esser umano non è progettato particolarmente bene.
Per capire meglio il ruolo di un peso aggiuntivo alla schiena mentre si trova flessa (piegata) possiamo fare l’esempio dell’aumento di peso.
A molti sarà capitato, magari in un momento di stress o sotto le feste, di mettere su qualche chilogrammo. La schiena lo sente ma lo stress generale sarebbe inferiore rispetto a un carico diretto, dello stesso peso, sulla spina dorsale.
Secondo il fitness tradizionale flettere la schiena per prendere un oggetto dal pavimento è come prendersela con un cucciolo di foca! Un qualcosa di così orribile da evitare e che addirittura meriterebbe il pubblico ludibrio!
Eppure, secondo la geometria, è più efficiente per il minor dispendio di energie proprio quel movimento che invece i guru del fitness evitano come la peste. Questo accade perché agire secondo efficienza serve per avere più energie per svolgere altre, a volte più importanti (es: fuggire da un animale feroce), attività.
Quando è flessa il rischio è maggiore
Quando la colonna vertebrale si trova in una posizione flessa, anche minima, è a maggior rischio di possibili infortuni. In modo particolare se dovessero agire su di essa forze che la “colpiscono” in senso orizzontale.
Per questa ragione è altamente sconsigliato sollevare un peso elevato con la schiena completamente flessa ma, come detto, la flessione della schiena è una funzione fondamentale che dobbiamo effettuare quando facciamo determinati sforzi.
In pratica non si deve dimenticare che la schiena è fatta per flettersi e il nostro corpo strutturato per eseguire determinati movimenti che siano soprattutto efficienti, non tenerla allenata fa si che aumentino i rischi di dolore cronico e danni.
Purtroppo ancora oggi questo pensiero riflette anche le strategie di sollevamento comunemente insegnate, in cui si consiglia agli individui di mantenere la schiena dritta e piegare le ginocchia.
Conclusioni
La flessione spinale deve essere una parte importante nel nostro allenamento. Ma vista la sua importanza e i rischi di farsi male è consigliato sempre rivolgerti a personale qualificato, fisioterapisti e trainer che conoscano bene il funzionamento della schiena e come mantenerla in forma senza infortuni.
Si dovrebbe quindi iniziare sempre con carichi molto leggeri (o anche nulli per chi è meno in forma), evitando pesi “di taglio” e sperimentazioni olistiche da maestro yoga!
Possiamo affermare che non vada temuta, in linea di principio, la flessione spinale. L’unica attenzione è di non caricarla eccessivamente soprattutto con pesi “orizzontali” quando appunto i muscoli sono allungati.
È possibile effettuare una serie di esercizi di rotazione per la colonna vertebrale che possono aiutare sia a fortificarla che migliorarne la mobilità e, di conseguenza, attenuare il dolore.
Allenarsi in palestra e rimanere in esercizio è un buon metodo per aumentare la mobilità della schiena che, al contrario di quanto si pensi, ha bisogno di essere attiva il più possibile per contrastare disturbi come ad esempio la lombalgia.
Alcuni allenatori e specialisti (es. fisioterapisti, medici), ritengono che il rafforzamento della rotazione spinale vada evitato a tutti i costi.
Altri, al contrario invece, sono convinti che vadano effettuati gli esercizi di rotazione per la colonna vertebrale. Ritengono che tali movimenti debbano avvenire a livello della spina dorsale e dei fianchi mentre la colonna lombare resta bloccata.
C’è anche una buona parte degli allenatori che pensano che il corpo umano sia così efficiente, e la colonna tanto forte e dinamica, da non aver bisogno di alcun esercizio perché la colonna che sa dove e quando ruotare.
Resta il fatto che, in linea di principio, muovere la schiena, attraverso esercizi mirati o meno, sia senza alcun dubbio un’attività benefica. Se si soffre di dolore cronico, o altre patologie, è però opportuno essere seguiti da specialisti.
A riguardo molti trainer professionisti consigliano che debba essere la colonna vertebrale “toracica” e non quella lombare, a effettuare la maggior parte dei movimenti di rotazione. Il paziente dovrebbe imparare a concentrarsi di più sulla zona del torace”.
“Non è importante la rotazione di per sé, ma come viene eseguita”
Esercizi di rotazione: la nostra schiena ha quasi sempre qualcosa!
La zona dorsale è una parte del corpo incredibilmente forte e complessa. Viene sollecitata quasi in ogni momento della nostra vita, è normale quindi che possa avere qualche disturbo (alcuni che non danno sintomi, altri più gravi).
A dimostrazione di quanto detto ci sono dati abbastanza chiari:
Il 27% della popolazione dei Paesi più sviluppati mostra una qualche forma di protrusione.
Il 52% dei soggetti invece mostra qualche genere di “rigonfiamento” ad almeno un livello.
E ancora il 38% mostra una qualche forma di anomalia ad almeno un disco intervertebrale.
In uno studio di alcuni anni fa si afferma che le “ernie toraciche” si verificano con una frequenza molto inferiore rispetto alle ernie lombari o cervicali.
La percentuale si aggirerebbe intorno a percentuali molto basse non superiori comunque all’1,8% dei casi.
Le ricerche più recenti stanno andando contro questa credenza. Infatti, in uno studio di pochi anni fa, effettuato su 90 persone, ha mostrato dati che ribaltano le vecchie teorie, infatti:
1 su 3 degli individui asintomatici ha avuto, o aveva, un’ernia del disco toracico.
Ben il 54% mostrava almeno un rigonfiamento di un disco.
Il 58% uno strappo anulare.
Il 28% una cifosi.
E ancora il 29% mostrava una deformazione del midollo spinale.
Si tratta di uno studio del 2007, ad oggi forse il più grande nella letteratura mondiale sull’ernia toracica, in cui si afferma che le ernie del disco toracico si presentano nella metà dei pazienti. Di questi ben il 26% ha avuto ernie multiple.
In definitiva si sostiene che l’ernia, e le malattie degenerative del disco, siano le condizioni anomale più diffuse per quanto riguarda la spina dorsale toracica.
La scarsa mobilità dell’anca aumenta il rischio di lombalgia negli atleti
In tutti quegli sport che richiedono all’atleta una qualche forma di rotazione della colonna vertebrale si è visto come quelli con la lombalgia cronica avessero, di media, meno mobilità all’anca e una maggiore asimmetria tra i lati della stessa rispetto a chi non ne soffriva.
Tale scoperta è chiaramente logica perché chi ha una mobilità inferiore dell’anca avrà la tendenza a bilanciare tale deficit compensando e ruotando la colonna vertebrale più di quanto necessario.
Si tratta di una condizione che, nel lungo periodo, tenderà a produrre una serie di scompensi e fastidi come lesioni e dolore.
Sarà quindi opportuno effettuare una serie di esercizi di rotazione con un preventivo “pre-carico”. In pratica, prima di effettuare gli esercizi, è necessario “aggiungere un carico, un peso” che bloccherà alcune zone della colonna vertebrale rendendola più resistente alla torsione.
Infatti mentre si lavora sulla mobilità dell’anca e della colonna vertebrale si dovrebbe anche lavorare per evitare la torsione della stessa. È possibile attraverso alcuni esercizi mirati di stabilità del nucleo rotante.
Da qui si comprende come sia importante lavorare sulla colonna vertebrale con esercizi specifici che però, se non effettuati nel modo opportuno, e quindi insegnati e seguiti da una persona esperta, potrebbero diventare addirittura controproducenti.
È importante, quando si svolgono esercizi di rotazione per la colonna vertebrale, che le persone siano in grado di distribuire il carico in modo efficiente e di avere una giusta combinazione di rotazione dell’anca e della colonna vertebrale (con un movimento lieve della parte lombare).
Le prove e gli studi suggeriscono che ci sia una componente genetica importante per l’ernia del disco e la degenerazione discale stessa.
Di conseguenza è chiaro come sia possibile prevenire i problemi alla schiena solo in parte, anche attraverso un giusto training che permetta una maggiore mobilità della schiena insegnando al corpo a muoversi nel modo opportuno.
GIONATA PROSPERI, FT, SPT, SM.
Esperto In Terapia Manuale nelle cefalee, emicrania
Fisioterapista dei disturbi dell’articolazione Temporo – Mandibolare
Fisioterapista dei Disturbi Vestibolari
C.E.O. del Centro della Colonna vertebrale di Massa