Diastasi addominale: facciamo chiarezza

Diastasi addominale: facciamo chiarezza

Che cosa è la diastasi addominale?

La Diastasi del retto addominale è una condizione piuttosto comune sia nelle donne in gravidanza che in post-partum ed è caratterizzata da una separazione dei due retti dalla linea alba.

La linea alba è la “cucitura centrale” della fascia che ricopre la muscolatura addominale ed è sede inserzionale del retto addominale, obliqui interni esterni e trasverso addominale.

Come e perché si verifica?

La diastasi dei retti si verifica a causa dell’aumento della pressione intra-addominale in cui le forze applicate alla linea alba ne provocano l’allungamento con conseguente allargamento della distanza inter-retto. 

La maggior parte degli studi ha convenuto che la distanza inter-retto minima per designare una diastasi è di 2 cm; è più comune dopo la gravidanza, tuttavia, l’obesità e precedenti interventi addominali possono anche essere la causa.

Normalmente si presenta al secondo trimestre di gravidanza con una incidenza che varia dal 66 al 100%; mentre circa il 53% delle donne lo manifesta subito dopo la nascita del bambino a causa dello stress del parto: rilassamento, progesterone ed ormoni estrogeni, stress meccanici posti sulla parete addominale dal feto e spostamento degli organi addominali per fare spazio al bambino portano a cambiamenti elastici del tessuto connettivo, che a loro volta causano diastasi addominale.

 

Cosa comporta?

Questo cambiamento a livello corporeo della donna fa si che l’integrità, il controllo meccanico e la forza funzionale della parete addominale si riducano e ciò può portare ad alterazione della meccanica del tronco, della stabilità pelvica determinando dolore e instabilità. 

Quindi oltre al disagio estetico, la diastasi comporta disturbi muscolo scheletrici e viscerali di varia natura:

  • Dolore lombare esacerbato con il movimento (flessione e rotazione del tronco);
  • Senso di pesantezza addominale;
  • Dolore a livello addominale;
  • Difficoltà digestive e respiratorie;
  • Possibile presenza di ernia ombelicale

 

La diagnosi di diastasi dei retti si basa sull’anamnesi e sull’esame obiettivo.

La presenza di un rigonfiamento addominale sulla linea mediana dopo la gravidanza è solitamente diagnostica e l’esame obiettivo può confermare la diagnosi sulla base di un rigonfiamento della linea mediana sopra o sotto l’ombelico che viene amplificato facendo sdraiare il paziente ed eseguire un sollevamento della gamba dritta, o un sollevamento della testa con le ginocchia piegate.

La conferma della diastasi del retto può essere effettuata utilizzando la tomografia computerizzata (TC), la risonanza magnetica o l’ecografia, ma questi test di solito non sono necessari.

Queste modalità di imaging sono utili per misurare la distanza inter-retto prima dell’intervento; tuttavia, possono essere utilizzati anche nel postoperatorio per valutare il successo della riparazione.

La maggior parte delle donne presenta diastasi al di sopra dell’ombelico. E solo una piccola minoranza (11%) al di sotto.

È considerato “normale” se rimane entro 2 cm fino a 1 anno dalla nascita del bambino; sopra i 3 cm risulta essere patologico e può essere di indicazione chirurgica.

 

Come si tratta?

Il trattamento di elezione iniziale è sempre quello conservativo, basato su esercizio terapeutico.

Studi dimostrano che esercizio terapeutico fatto in modalità adeguate possono ristabilire la normale funzionalità del retto addominale e ridurre la diastasi addominale.

Ma quali esercizi? Ci sono tante tipologie di esercizi: ipopressivi, tipo pilates, esercizi isometrici, esercizi isotonici.  Ad oggi non ci sono studi che dimostrano che un esercizio sia migliore di un altro; tuttavia è necessario non creare troppa pressione addominale soprattutto in fase iniziale.

Nel caso in cui il trattamento conservativo fallisce è possibile ipotizzare un intervento chirurgico per poi proseguire successivamente con la fisioterapia.

 

  1. Chiarello CM, Falzone LA, McCaslin KE, Patel MN, Ulery KR. The effects of an exercise program on diastasis recti abdominis in pregnant women. J Womens Health Phys Therap. 
  2. Lo T, Candido G, Janssen P. Diastasis of the recti abdominis in pregnancy:risk factors and treatment. 
  3. efficacy of deep core stability exercise program in postpartum women with diastasis recti abdominis: a randomised controlled tria

 

A cura della dott. ssa

GIULIA SANGUINETTI, PT, OMPT student 

  • Orthopaedic Manipulative Physical Therapist (OMPT) Student
  • Fisioterapista dei disturbi vascuolo-linfatici
  • Fisioterapista esperta in fisio-pilates
PADEL, non solo epicondilite: scopriamo insieme altri distretti interessati.

PADEL, non solo epicondilite: scopriamo insieme altri distretti interessati.

 

Il padel è uno sport che combina sia elementi degli sport da parete che da rete; pur non essendo uno sport di contatto, comporta comunque tutta una serie d’infortuni che possono essere riassunti in:

Accidentali: causate da fattori presenti nel campo oppure dal caso, come prendere una pallata, scontrarsi con la griglia o con il vetro o colpirsi con la pala.

Sovraccarico: quando le nostre articolazioni, muscoli non sono sufficientemente allenati per sopportare lo sforzo richiesto, determinando un eccesso di carico.

Tecnica: una meccanica esecutiva non corretta provoca movimenti che possono causare delle lesioni sia a livello articolare che muscolare.

Preparazione: spesso si arriva al campo e si comincia a giocare, senza alcun tipo di riscaldamento. Partire senza un warm up adeguato può essere causa di lesioni muscolari.

Condizioni climatiche: pioggia, freddo, caldo, umidità, sono tutti fattori che possono causare un infortunio.

Ad oggi non abbiamo moltissimi studi epidemiologici riguardanti le lesioni associate a questo sport, ma i pochi dati in nostro possesso ci dicono che non soltanto il gomito è interessato da problematiche varie, ma anche numerosi altri distretti come la schiena e la caviglia. Il quadrante inferiore e il tronco, secondo alcuni recenti studi, sembrerebbero essere le porzioni di corpo maggiormente soggette a infortuni legati al padel.

 

Ma perché proprio la schiena?

 

Problematiche lombari sono tipiche di uno sport come il padel che prevede tante frenate e ripartenze, in cui bisogna stare molto spesso col baricentro basso e quindi esacerbare sul distretto lombare numerosi stress per mantenere una certa aderenza al terreno ed essere pronti a scatti e balzi verso l’alto.

Inoltre in questo sport, la colonna vertebrale e in particolare la zona lombare si muove continuamente su tutti i piani possibili: flessione, estensione, rotazione e lateroflessione.

Ecco perché uno scarso controllo posturale, una non efficiente muscolatura ed un mediocre controllo motorio possono causare questo tipo di problematiche. Anche praticare sport su superfici molto dure, proprio come succede nel padel, può aumentare il rischio di incorrere in questo tipo di infortunio.

Per quanto riguarda la tecnica, il colpo più frequente che può causare mal di schiena e altri problemi alla schiena è lo smash. La posizione corretta per effettuare questo colpo, sarebbe quella di piegare le ginocchia e sollevare le caviglie per bilanciare il corpo, ma a volte, o non siamo preparati per il colpo e non abbiamo tempo per eseguire una buona tecnica, o vogliamo imprimere una forza esagerata nella racchetta e abusare del movimento del braccio, e la conseguenza è un vero e proprio  “colpo di frusta” nella parte bassa della schiena.

Anche l’asimmetria della muscolatura lombare è un fattore di rischio da non sottovalutare infatti diversi studi hanno dimostrato come i giocatori sani senza infortuni avessero uno sviluppo simmetrico della forza nelle direzioni di entrambe le rotazioni, sinistra e destra.

 

E il piede?

Per quanto riguarda il piede, in particolar modo il tendine d’Achille, è chiaro comprendere quanto questo distretto sia sollecitato durante la pratica del padel; essendo uno sport che richiede bruschi arresti e ripartenza associati a variazioni di direzione, il tendine d’Achille viene costantemente richiamato per eseguire i vari spostamenti all’interno del terreno di gioco. Per questo, se l’atleta non presenta una buona forza muscolo-tendinea, il sovraccarico associato potrebbe determinare vari quadri patologici tra cui una tendinopatia.

Anche la scarpa può incidere su questa condizione clinica, scarpa che deve avere caratteristiche differenti secondo il tipo di gioco espresso dall’atleta: se un giocatore esegue tanti cambi di direzione avrà bisogno di una scarpa piuttosto leggera, con un drop ridotto, cioè l’altezza dal suolo della zona del tallone, e una certa flessibilità; chi invece ne esegue pochi, dovrebbe usare una scarpa più pesante che ammortizza maggiormente gli impatti col terreno.

L’altezza del tallone è un fattore molto importante, infatti se nella vita normale si indossano scarpe con tacco medio-alto e nella pratica del paddle si elimina, il tendine subisce una trazione ‘insolita’ in condizioni di stress, provocandone l’irritazione. Si consiglia quindi un tacco di almeno 2,5 cm per una corretta pratica sportiva in campo.

Acura di :

Claudio Ceccarelli, Pt‐OMPT‐Cert DN­‐FIFA Diploma in Football Medicine

  • Docente a contratto Università di Pisa
  • Membro del gruppo di ricerca scientifico G.E.R.I.C.O (Università di Roma “Tor Vergata”)
  • Fisioterapista specializzato in problematiche di spalla e gomito.
  • FIFA Diploma in Football Medicine

Med. Student, UniCh

Riabilitazione post Covid-19

  • Cosa è COVID-19 e cosa determina?

Il virus Covid-19 (Corona Virus Disease 2019) è un virus nuovo per la razza umana, ad oggi sappiamo che può determinare una sintomatologia estremamente varia che può andare da un quadro asintomatico, sintomatologia simil influenzale, polmonite interstiziale, fino ad arrivare a quadro di stress respiratorio acuto importante.

  • Quali sono le disabilità correlate al COVID-19?

Di conseguenza, le disabilità correllate al Covid possono essere molteplici, principalmente residuano disabilità respiratorie e motorie (sia legate alla compromissione muscolare legata all’infezione sia all’allettamento). Inoltre dagli studi si è evidenziato che possono residuare, in misura minore, anche disabilità neurologiche, cardiologiche e psichiatriche. La gravità e l’evoluzione a breve e lungo termine non sono ancora note. Le evidenze scientifiche non sono ancora del tutto definitive, in quanto è una malattia nuova e c’è bisogno di follow up a lungo termine.

  • Qual è lo scopo della riabilitazione per i pazienti sintomatici nella fase post-acuta?

La convalescenza dei pazienti sintomatici sembrerebbe piuttosto lunga, quindi è importante una riabilitazione precoce. Lo scopo della riabilitazione è quello di migliorare la dinamica respiratoria, contrastare l’indebolimento muscolo-scheletrico, ridurre l’insorgenza di complicanze e migliorare la qualità della vita. I pazienti, a seconda del loro livello di compromissione respiratoria e motoria, seguiranno un programma riabilitativo personalizzato e individuale.

Per i pazienti che sono stati ricoverati con sintomi respiratori importanti, la riabilitazione dovrebbe avvenire in strutture ad hoc e devono essere seguiti da un team di professionisti specializzati nella riabilitazione respiratoria. Similmente ai pazienti in fase di recupero da ARDS causata da infezione da H1N1 1-2, i pazienti con COVID acuta possono presentare disabilità e deficit funzionale (deficit della funzionalità respiratoria, neuropatia e miopatia da malattia critica acuta), ridotta partecipazione e deterioramento della qualità della vita, sia nel breve che nel lungo periodo successivo alla dimissione. Il tempo di recupero è variabile a seconda del grado di insufficienza respiratoria normocapnica e della disfunzione fisica (astenia, debolezza dei muscoli periferici) ed emotiva (ansia, depressione, senso di abbandono, sindrome da stress post-traumatica) che sono associate3.

Le persone che sono state dimesse a domicilio dopo essere state sottoposte a cure mediche (non intensive) in regime di ricovero, possono presentare presentare molteplici sintomi che persistono nella fase di convalescenza post covid-19 che beneficiano di esercizi motori specifici:

  • Vertigini
  • Difficoltà a camminare anche per brevi tragitti
  • Difficoltà a stare a lungo seduti
  • Difficoltà ad alzarsi in piedi
  • Dolore muscolare
  • Dolore articolare
  • Dispnea (senso d’affanno e fiato corto)
  • Grave senso di fatica
  • Diminuita efficacia della tosse

I pazienti che, invece, hanno potuto curare l’infezione a casa e sono stati costretti a una ridotta mobilità fisica per quarantena, una volta ricevuto l’esito negativo del tampone, possono riprendere gradualmente la propria vita, non prima di aver verificato di avere una buona funzionalità respiratoria a riposo. Inoltre, bisogna tenere presente che i pazienti con comorbidità necessiteranno di un periodo più lungo per tornare alle loro condizioni precedenti.
Anche questi pazienti possono presentare diversi sintomi che beneficiano di esercizi motori specifici:

  • Difficoltà a camminare a lungo per facile faticabilità
  • Debolezza muscolare
  • Fatica
  • Fiato corto (dispnea)
  • Dolori articolari
  • Rigidità articolare
  • Ansia

 

  • In cosa consiste il percorso di riabilitazione?

Prima di iniziare il percorso di riabilitazione, è importante che venga fatta una valutazione iniziale al fine di programmare un intervento il più specifico possibile per ogni singolo paziente che comprenderà:

  • la valutazione dei parametri clinici (temperatura, SpO2, SpO2/FiO2, tosse, dispnea, frequenza respiratoria, dinamica toraco-addominale) 4.
  • la valutazione della forza dei muscoli respiratori periferici con la scala MRC, test muscolare manuale, test muscolare isocinetico e misurazione dell’ampiezza del movimento articolare (ROM).
  • La valutazione della capacità di esercizio e dell’andamento della saturazione durante lo sforzo (tramite il test del cammino dei 6 minuti) e durante il riposo notturno dovrebbe essere pianificata appena possibile. 
  • Appena possibile è raccomandata una valutazione dell’equilibrio (specie per i pazienti con maggior tempo di allettamento).

 

Il programma riabilitativo mirato al recupero dalla disabilità comprenderà:

o Ricondizionamento con ausili specifici (cammino su treadmill, cicloergometro): gli esercizi di ricondizionamento allo sforzo sono utili per velocizzare il recupero verso la normale vita quotidiana.

o Allenamento dei muscoli respiratori in caso di debolezza dei muscoli inspiratori: gli esercizi respiratori possono essere utili per ristabilire un corretto equilibrio muscolo-scheletrico e per mantenere i volumi polmonari. Gli esercizi potranno comprendere diverse tecniche di respiro come la respirazione a labbra socchiuse, esercizi d’espirazione controllata continua/ intermittente, espirazione lenta totale a glottide aperta in decubito laterale e stretching dei muscoli accessori.

o Allenamento dei muscoli periferici (endurance training degli arti superiori e inferiori): Si raccomanda, al fine di preservale la normale funzione, esercizio fisico con graduale incremento del carico di lavoro basato sui sintomi soggettivi4. Sono indicati inizialmente esercizi a bassa intensità (< 3.0 METs), educazione e supervisione quotidiana del paziente. 

o Stimolazione elettrica neuromuscolare 

Il programma riabilitativo sarà mirato ed individuale. Durante la riabilitazione si prevede il monitoraggio della SaO2 e della frequenza cardiaca, con rilevazioni della pressione arteriosa e del grado di dispnea da sforzo.

La fase di rivalutazione finale è molto importante e serve a quantificare i miglioramenti ottenuti e comprende l’esecuzione di test di performance fisica, valutazione della dispnea e dell’autonomia nelle attività della vita quotidiana.

 

 

Bibliografia

  1. Hsieh MJ, Lee WC, Cho HY, et al. Recovery of pulmonary functions, exercise capacity, and quality of life after pulmonary rehabilitation in survivors of ARDS due to severe influenza A (H1N1) pneumonitis. Influenza Other Respir Viruses 2018;12: 643-8.
  2. Pandharipande PP, Girard TD, Jackson JC, et al.; BRAIN-ICU Study Investigators. Long-term cognitive impairment after critical illness. N Engl J Med 2013;369:1306-16.
  3. Pandharipande PP, Girard TD, Jackson JC, et al.; BRAIN-ICU Study Investigators. Long-term cognitive impairment after critical illness. N Engl J Med 2013;369:1306-16.

4.Chinese Association of Rehabilitation Medicine; Respiratory rehabilitation committee of Chinese Association of Rehabilitation Medicine; Cardiopulmonary rehabilitation Group of Chinese Society of Physicai Medicine and Rehabilitation. Recommendations for respiratory rehabilitation of COVID-19 in adult. Zhonghua Jie He He Hu Xi Za Zhi 2020 Mar 3;43(0):E029. doi: 10.3760/cma.j.cn112147-20200228-00206. [Epub ahead of print]

A cura di:

NOEMI MARINARI , PT, OMPT student

 

TENOSINOVITE DI DE  QUERVAIN: COS’È, COME  SI TRATTA

TENOSINOVITE DI DE  QUERVAIN: COS’È, COME  SI TRATTA

Cos è la tenosinovite di De Quervain? 

La tenosinovite stenosante di De Quervain (DQST) è una patologia caratterizzata da dolore al polso e alla stiloide radiale. È causata da un alterato scorrimento dei tendini dell’abduttore lungo del pollice (APL) e dell’estensore breve del pollice (EPB). Queste strutture muscolo-­‐ tendinee controllano la posizione e l’orientamento, l’applicazione della forza e la stabilità articolare del pollice. 

Si ritiene che l’alterato scivolamento tendineo sia dovuto all’ispessimento del retinacolo dell’estensore nel compartimento dorsale del polso, con conseguente restringimento del canale osteo-­‐fibroso.

 

Da dove origina il dolore? 

Il termine “tenosinovite” implica la presenza di una condizione infiammatoria, tuttavia, la patofisiologia del DQST non comporta infiammazione e presenta reperti istopatologici simili a quelli di altre tendinopatie come ad esempio metaplasia fibro-­‐cartilaginea e neovascolarizzazione, la quale è accompagnata da una crescita dei fascicoli nervosi che hanno componenti sia sensoriali che simpatici in grado di trasmettere dolore. Pertanto, l’impingement meccanico dei tendini APL e EPB nel canale osteo-­‐fibroso ristretto è il probabile stimolo nocicettivo e quindi doloroso. 

Quale sono le caratteristiche cliniche? 

Il sintomo principale della tenosinovite di De Quervain è il dolore o la tensione alla base del pollice, il dolore potrebbe anche estendersi sull’avambraccio. Può svilupparsi lentamente o manifestarsi all’improvviso, può peggiorare quando si usa la mano, il pollice o il polso. Altri sintomi includono: Gonfiore vicino alla base del pollice, intorpidimento lungo la parte 

posteriore del pollice e dell’indice, una sensazione di “schiocco” quando si sposta il pollice, un suono cigolante mentre i tendini si muovono all’interno delle guaine. 

Cosa comporta tutto ciò? Qual è la prevalenza? 

Una conseguente compromissione della funzionalità del polso, mano e pollice nelle attività come il sollevamento, la spinta, la trazione e non per ultima la presa. In un ampio studio del Regno Unito, la prevalenza di DQST è stata trovata allo 0,5% negli uomini e all’1,3% nelle donne. La più alta prevalenza di DQST è stata segnalata tra i soggetti di età compresa tra 30 e 55 anni.

 Quali sono le cause della tenosinovite di De Quervain? 

La causa più comune della tenosinovite di De Quervain è l’abuso prolungato del polso, come ad esempio sollevare un bambino nel seggiolino oppure sollevare pesanti borse della spesa per le maniglie. Altre cause potrebbero includere una lesione diretta al polso o l’artrite infiammatoria. 

Come viene diagnosticata la tenosinovite di De Quervain? 

Fondamentale è la raccolta anamnestica e l’esame fisico

  • Trauma acuto/da overuse 
  • Anamnesi remota patologica 
  • Movimenti ripetuti di mano/polso nell’attività lavorativa/attività ludica 
  • Dolore localizzato sulla base del pollice 
  • Mano dominante coinvolta nella sintomatologia 
  • Donna incinta o post parto

L’esame fisico tendenzialmente evidenza dolorabilità in prossimità della stiloide radiale del polso, gonfiore sempre in questa regione; in associazione a ciò è disponibile un semplice test clinico provocativo denominato test di Finkelstein il quale prevede una flessione del pollice in modo che poggi sul palmo della mano; quindi viene chiesto al paziente di fare il pugno, chiudendo le dita sul pollice. Infine, è richiesta un’inclinazione ulnare del polso.

Terapia non chirurgica

La terapia conservativa prevede l’utilizzo di ortesi notturne rigide e diurne semirigide per mettere in scarico il pacchetto tendineo, in associazione alla terapia medica farmacologica/infiltrativa e fisioterapica.

Dal punto di vista riabilitativo la gestione è essenzialmente identica alla gestione delle tendinopatie e prevede un lavoro incentrato su esercizi specifici per le due strutture interessate a carico crescente nel rispetto della sintomatologia clinica ma con il focus di aumentare la capacità di carico tendinea e ridurre la dolorabilità. 

I primi esercizi proposti prevedono 4 serie da 4 ripetizioni di contrazione isometrica mantenuta per 20 secondi circa sia in abduzione che estensione; successivamente vengono richiesti esercizi che prevedono contrazioni isotoniche concentrice ed eccentriche (tre serie per 15 ripetizioni), il tutto monitorando costantemente il dolore durante e immediatamente l’esercizio che non deve mai superare il 4/10 della scala di valutazione del dolore NPRS. 

Man mano che la sintomatologia clinica migliora verrà aumentato il carico con l’inserimento di attività specifica in relazione alle richieste/aspettative del paziente.

Terapia chirurgica: quando e perché? 

La terapia conservativa è considerata la gestione gold standard per questa problematica, tuttavia se la sintomatologia clinica non si modifica in un arco temporale di 6-­‐12 mesi è consigliabile la gestione chirurgica

Il trattamento chirurgico della sindrome di De Quervain viene eseguito in regime di day surgery e consiste in una incisione cutanea di circa 1,5 centimetri centrata sulla tumefazione, nell’individuazione, isolamento e protezione dei rami nervosi sensitivi del nervo radiale, sezione del tetto osteofibroso che delimita il 1° tunnel osteofibroso con conseguente liberazione  dei  tendini, (tenolisi o  pulizia)  degli  stessi.

A cura di:

Claudio Ceccarelli, Pt-­‐OMPT-­‐Cert DN-­‐FIFA Diploma in Football Medicine

  • Docente a contratto Università di Pisa
  • Assistente alla didattica Università di Roma “Tor Vergata”
  • Membro del gruppo di ricerca scientifico G.E.R.I.C.O (Università di Roma “Tor Vergata”)
  • Fisioterapista specializzato in problematiche di spalla e gomito.
  • FIFA Diploma in Football Medicine
  • Med. student

Indolenzimento post allenamento

Indolenzimento post allenamento

Indolenzimento a insorgenza ritardata post allenamento  ( DOMS)

L’emergenza legata al coronavirus ha costretto a tutta la popolazione la riduzione dell’attività fisica . In questi ultimi mesi le raccomandazioni proposte hanno comportato restrizioni negli spostamenti e per la pratica di attività fisica all’aperto, riducendo inevitabilmente la quantità di esercizio fisico svolto e aumentando la sedentarietà ; la maggior parte delle persone ha provato ad allenarsi in casa o in giardino seguendo le indicazioni dei professionisti via telematica oppure tramite il social. Quando    sarà    possibile    riprendere    l’attività    fisica    all’aperto    sarà    necessario    aumentare gradualmente la quantità di esercizio praticato quotidianamente fino a raggiungere le linee guida indicate, sarà fondamentale  che  dopo  un  periodo  di  ridotto  esercizio  fisico  e  aumentata  sedentarietà  una  adeguata  attività  fisica,  finalizzata  alla  tutela  della  salute,  venga  praticata  con  le  dovute  cautele  e  in  condizioni  di  assoluta  sicurezza,  con  gradualità  e  periodicità  corrette. Nella maggior parte dei casi una ripresa non graduale può portare come prima conseguenza alla formazione dell’indolenzimento muscolare a insorgenza ritardata ( DOMS).

Deleyed Oset Muscle Soreness ( DOMS)  viene definito come una dolenzia muscolare ad esordio ritardato a seguito di un esercizio non abituale spesso associato ad contrazioni muscolari di tipo eccentrico ; comporta un’ aumentata concentrazione di calcio che determina l’attivazione di enzimi proteolitici e una contrazione muscolare senza attivazione nervosa. Determinano dolore, con picco nelle 24-48 ore successive allo sforzo, riduzione della forza, gonfiore, accorciamento muscolare.

Questo è un fenomeno molto frequente nei soggetti fuori allenamento, ma presente anche in quelli che pur allenati , si cimentano ad allenamenti insoliti e diversi dal solito coinvolgimento muscolare.

I sintomi caratteristici di questa sindrome sono :

  • Dolenzia muscolare – picco 48-72 h dopo l’attività
  • Riduzione della max forza isometrica (15-55%)
  • Riduzione del ( ROM ) range of motion , ovvero dell’escursione articolare a riposo
  • Contrazione Muscolare indotta da stravaso di Calcio –no EMG
  • Aumento della circonferenza del muscolo
  • Deficit nei test funzionali.

Il soggetto a cui compaiono questi indolenzimenti muscolari, sarà impossibilitato allo svolgimento dell’attività fisica per la presenza del dolore che provoca oltre che una inibizione della forza ma anche una riduzione del movimento articolare .

Da quando sono stati fatti i primi studi nel 1900 fino ai giorni nostri , si è ritenuto che questa fenomeno fosse associato alla formazione di microlesioni strutturali del muscolo dovuto al fenomeno di over stretching delle unità funzionali del muscolo stesso . In una recente pubblicazione , si ritiene invece che i DOMS potrebbero essere la conseguenza di microlesioni delle terminazioni nervose dei fusi neuromuscolari al seguito di un eccessiva compressione durante le contrazioni muscolari ripetute. La stessa forza prodotta potrebbe danneggiare il muscolo e creare una risposta infiammatoria immuno-mediata aumentando i sintomi ma non come causa del DOMS di per se.

L’importate è distinguere i DOMS dall’Acido Lattico:

 un sottoprodotto del metabolismo anaerobico lattacido. Si tratta di un composto tossico per le cellule, il cui accumulo nel torrente ematico  si correla alla comparsa della cosiddetta fatica muscolare. Solo un attività molto intensa  e relativamente breve causa l’accumulo di acido lattico. Quest’ultimo non deve essere considerato un apportatore di fatica nelle attività di bassa moderata intensità di qualunque durata, soprattutto l’accumulo dell’acido lattico e del lattato ( lo ione che deriva dalla depolarizzazione dell’acido lattico stesso,fonte di combustibile preferita per il cuore e il cervello ) non è causa del dolore muscolare ritardato (DOMS). Una produzione eccessiva di acido lattico può portare alla formazione dell’indolenzimento muscolare a insorgenza acuta. Questo evento è transitorio dal momento che l’acido lattico viene smaltito dal corpo entro 1h dal termine dell’attività.

Nessun trattamento è efficace: massaggio, calore, ghiaccio, FANS, stretching, immobilizzazione, contrazioni, terapie fisiche possono aiutare ad alleviare il sintomo ma non alla completa risoluzione .

 Il recupero è  spontaneo in 4-15gg. Potrebbero essere proposti degli esercizi specifici , che comportano una contrazione isotonica concentrica, per la riduzione del dolore e per la risposta infiammatoria.

La migliore cura è la prevenzione , è utile impostare un programma di allenamento specifico rivolto a soggetti sedentari in cui dovrebbe prevedere inizialmente  attività con carichi modesti per evitare danni ultrastrutturali a carico dei distretti muscolari esercitati . E’ importante gestire le attività che richiedono un sforzo prolungato nel tempo  come ad esempio : la corsa o la camminata in montagna in cui comportano un’azione di frenata del nostro corpo , ma anche le attività di pesistica o di corpo libero .

 

 

 

 

 

 

 

Luigi Lanfranchi – Fisioterapista- OMPT student

Linfedema

Linfedema

Linfedema, Arti gonfi e Sistema linfatico.  Le risposte alle vostre domande

  1. Che cosa è il sistema linfatico ?

Il sistema linfatico è una fitta rete che percorre tutto il nostro corpo ed è costituito da vasi linfatici e  organi linfatici suddivisi in organi linfatici primari e organi linfatici secondari: 

  • Tra i primari c’è il midollo osseo e il timo, importanti per la formazione delle difese immunitarie.
  • Nei secondari troviamo la milza, tonsille, linfonodi, follicoli linfatici nei quali avviene l’avvio della risposta immunitaria specifica cellulare e anticorpale
  • Il numero complessivo dei linfonodi varia da 600 a 700 in tutto il corpo, di cui 150-200 sono localizzati zona mesenterica. I linfonodi si trovano isolati o riuniti in gruppi più o meno numerosi (stazioni linfonodali).

 

Il Sistema linfatico può essere suddiviso in:

  • Superficiale: drena la cute e il sottocute (90% della linfa negli arti viene drenata dal sistema superficiale);
  • Profondo: drena la linfa proveniente dalle strutture sotto fasciali (muscoli, articolazioni, ossa).
  • Viscerale: profondi a livello degli organi e visceri

2 .Ma che cosa è il linfedema ?

Il Linfedema è una disfunzione anatomica del sistema linfatico, intrinseco o estrinseco, che provoca una riduzione della capacità linfatica di riassorbimento e di trasporto della linfa, determinato da una momentanea o permanente insufficienza linfatica a bassa portata.

 

Comporta la presenza di gonfiore ed edema;

Può interessare tutti i distretti del corpo, ma ha una maggiore incidenza negli arti superiori e/o inferiori

  1. Per quale motivo avviene una disfunzione del sistema linfatico ?

le cause possono essere molteplici

  • Primario connatale: presente dalla nascita per deficit immunologici congeniti
  • Primario precoce : prima dei trentacinque anni, spesso dopo un trauma contusivo o distorsivo o una puntura d’insetto che procura flogosi della via linfatica;
  • Primario tardivo: si possono presentare dopo i trentacinque anni con le stesse modalità dei precoci.
  • Secondario Post-chirurgici: ad esempio mastectomia con asportazione di linfonodi
  • Secondario Post-radioterapia: comprende territori vascolari linfatici;
  • Secondario Post-flogistici: da infestazione parassitaria da Filaria, particolarmente incidente nelle regioni medio ed estremo-orientali, dopo infezione propagatasi alle vie linfatiche (ad esempio da streptococco);
  • Secondario Da Disuso: insorge con l’allettamento prolungato, frequenti nell’anziano e nel disabile, o dopo ictus cerebrali con emiparesi
  • Secondario Post-traumatici: rare, causato da traumi diretti o incidenti stradali.

 

  1. Come faccio a sapere di avere una disfunzione linfatica ?

La diagnosi di linfedema, così come per tutte le altre patologie, viene effettuata in base a dati anamnestici, clinici e strumentali.
Tra gli esami a disposizione del medico, troviamo l’ecografia dei tessuti molli, l’ecocolordoppler, la linfoscintigrafia, la TAC e la RMN, la linfangiorisonanza magnetica.

 

  1. Una Volta diagnosticato il linfedema cosa devo fare ?

Nel caso del Linfedema, stiamo parlando di una patologia cronica e in guaribile,

MA ATTENZIONE ,ciò non significa che non ci sia una terapia in grado di migliorare le condizioni cliniche, stabilizzare la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita.

Il linfedema non sparirà mai del tutto ma con il giusto trattamento è possibile tenerlo sotto controllo

Oltre alle terapie farmacologiche (drenanti, alcalinizzanti, anti-infiammatori, antibiotici) quando necessario , il trattamento è basato su terapie fisiche e manuali:

  • Drenaggio linfatico manuale ( linfodrenaggio )
  • bendaggio multistrato
  • esercizi decongestionanti per l’attivazione di pompe muscolari
  • Onde d’urto in casi di fibrosi
  • kinesio taping
  • tutori elastocontenitivi personalizzati e talvolta su misura

 

  1. Ma quindi quali effetti avrò dal trattamento ?
  • la riduzione dell’edema;
  • riduzione della fibrosi di cute e sottocute;
  • miglioramento del trofismo cutaneo;
  • ridurre il rischio di infezioni.

       Inoltre si ha una riduzione della disabilità con miglioramento della qualità della vita.

 

      7 . Quanto tempo impiega un linfedema a ridursi ?

        I tempi di recupero sono variabili e dipendono da vari fattori tra cui grado di linfedema, età del             paziente, numero di sedute e tantissime altre variabili .

            Generalmente variano dalle 2 – 4 settimane alle 6-8 settimane

 

8 . A fine ciclo del trattamento dovrò portare calze elastiche ?

Si, i tutori elastocontenitivi hanno la funzione di ottimizzare e mantenere i risultati ottenuti finita la prima fase riabilitativa decongestionante.

I tutori possono essere standard o su misura e vengono prescritti  in base alla conformazione dell’arto e alla tollerabilità del paziente.

 

La caratteristica comune per i tutori è il fatto che la loro pressione deve essere graduale, cioè che la pressione man mano che sale in direzione disto-prossimale tende a diminuire. Questa riduzione di pressione garantisce, su un arto precedentemente decongestionato, il riassorbimento e la spremitura della linfa.

Perché vengano tollerati dal paziente e risultino efficaci, è importante che questi tutori si adattino bene alla conformazione dell’arto, non scivolino verso il basso, non creino lacci intermedi, non provochino arrossamenti cutanei, abrasioni.

A cura di:

GIULIA SANGUINETTI, PT, OMPT student

  • Orthopaedic Manipulative Physical Therapist (OMPT) Student
  • Fisioterapista dei disturbi vascuolo-linfatici
  • Fisioterapista esperta in fisio-pilates