Allenare la forza può giocare un ruolo importante sulla cura e prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in menopausa?

Allenare la forza può giocare un ruolo importante sulla cura e prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in menopausa?

La pratica regolare dell’esercizio fisico organizzato, come del resto l’attività fisica spontanea legata alla vita di relazione e alle abitudini rappresenta l’elemento fondamentale di uno stile di vita sano, in grado di produrre effetti positivi sulla salute sia fisica sia psicologica dei soggetti. 

La menopausa rappresenta un momento della vita che spesso preoccupa la maggior parte delle donne, questo perché il termine della fertilità è spesso accompagnato da altri disturbi che possono essere più o meno seri. Tra questi ci sono le patologie osteoarticolari e in particolare l’aumento dell’incidenza dell’osteoporosi.

 

Evitare la menopausa è impossibile perche fa parte del ciclo di vita di ogni donna, però è possibile alleviare le complicanze osteoarticolari grazie all’attività fisica incentrata sull’allenamento della forza.

Infatti, nelle donne in premenopausa e in menopausa sono evidenziati livelli di densità minerale ossea più elevati quanto maggiore è il tempo da loro dedicato alla pratica di attività sportive.

Il processo di osteosintesi, sia nella fase di crescita sia nelle età successive, durante le quali si verifica un continuo rimaneggiamento dell’osso, ha come principale meccanismo di controllo lo stimolo meccanico costituto dalle tensioni e dalle deformazioni applicate all’osso sia dal carico sia dalla contrazione muscolare.

Cos’è l’osteoporosi? 

L’osteoporosi è una malattia cronica caratterizzata da alterazioni della struttura ossea con conseguente riduzione della resistenza al carico meccanico ed aumentato rischio di fratture. 

 

Quali sono i sintomi dell’osteoporosi?

 

Nelle prime fasi dell’osteoporosi in genere non si hanno sintomi. Negli stadi più avanzati si possono avvertire: 

  • Dolore alla schiena, causato da fratture da fragilità o da fratture vertebrali da compressione 
  • Perdita di altezza nel tempo 
  • Postura incurvata 
  • Frattura ossea

 

 

Come si diagnostica l’osteoporosi? 

La diagnosi di osteoporosi si basa in primo luogo sull’esecuzione della densitometria ossea (DEXA o MOC), un esame che permette di calcolare la densità minerale ossea (BMD – Bone Mineral Density) che è una misura della quantita di minerali contenuti in un centimetro cubo di osso. Questo valore è un indicatore della resistenza alle fratture posseduta dalle ossa: tali valori di BMD inferiori al normale sono indicativi di fragilità ossea e indicano una predisposizione da parte dello scheletro a subire fratture. 

L’osteopenia si riferisce ad una condizione dove i valori del BMD sono compresi tra -1 e -2.5 rispetto ad un soggetto sano dello stesso sesso misurato a 30 anni.

L’osteoporosi si riferisce ad una condizione dove i valori del BMD sono inferiori a -2.5, nei casi di osteoporosi grave è inferiore a -2,5 e vi è almeno una frattura da fragilità (conseguente ad un trauma molto lieve o a non dovuto a trauma).

 

 

Osteoporosi e allenamento della forza 

In ogni modo le problematiche correlate alle ossa si possono non solo prevenire, ma anche trattare efficacemente utilizzando le cautele del caso. 

Un’alimentazione corretta con la giusta quota proteica e di calcio, il mantenimento di livelli ottimali di vitamina D e una corretta attività fisica sono tutti fattori che contribuiscono al mantenimento della salute delle proprie ossa. 

È stato evidenziato che allenare la forza mantenga e migliori i valori del BMD nelle donne in menopausa. 

In particolare, è stato mostrato come l’allenamento della forza possa incrementare indicatori della sintesi osseo come collagene di tipo 1 ammino-terminale propeptide (P1NP) e ridurre i livelli di indicatori responsabili del riassorbimento osseo come il telopeptide C, frammento del collagene di tipo 1.

 

 

 

Nell’’ottobre 2017 uno studio ha associa l’attività fisica contro resistenza a un miglioramento significativo della forza nelle gambe e ad un conseguente aumento della densità ossea.

 

In questo studio sono state prese in considerazione oltre 400 donne in menopausa con osteopenia e osteoporosi (definita secondo le linee guida internazionali della presenza alla MOC di un T-score lombare e/o femorale <-1.0.), una metà è stata assegnata casualmente ad un gruppo dove venivano effettuati due allenamenti di forza HiRIT (intensi e da 30 minuti a settimana) e le rimanenti ad un gruppo dove venivano effettuate due sessioni di allenamenti di esercizi a bassa intensità COM                (con carichi che non superavano i 3kg).

 

Dopo 8 mesi dall’inizio dello studio sono state valutate le variazioni in termini di forza, prestanza muscolare e densità ossea: 

  • Nel gruppo dove venivano svolti esercizi di forza si è evidenziato un miglioramento di tutti i parametri, con un incremento significativo della forza nelle gambe del 37% circa (tabella 1) e della densità ossea di circa il 3.7% circa (tabella 2). 
  • Nel gruppo dove venivano eseguiti allenamenti a bassa intensità è stato evidenziato un peggioramento dello 0.3% circa della densità ossea (tabella 2).

 

 

Tabella 1. Variazioni percentuali della forza dei muscoli estensori e flessori dopo 8 mesi dall’inizio dello studio in donne in menopausa con osteoporosi.  

  

 

   Tabella 2. Variazioni percentuali della BMD dopo 8 mesi dall’inizio dello studio in donne in menopausa con osteoporosi.

 

Un altro dato interessante è che negli oltre 2600 allenamenti di forza registrati si è verificato un unico infortunio indicato come “lieve dolore lombare” che si è risolto nella settimana successiva.

 

Questi dati dimostrano in maniera chiara che anche nei soggetti che sono affetti da osteopenia ed osteoporosi gli allenamenti di forza (che nel caso dello studio eseguito comprendevano anche Squat e Deadlift con pesi elevati) sono sicuri ed efficaci a migliorare la condizione fisica e i valori di densità ossea. 

In conclusione, è emerso dallo studio condotto che: 

  • Allenarsi con i pesi, eseguendo anche Squat e Deadlift con carichi al 70-85% del proprio massimale (il peso massimo con il quale si riesce a fare una sola ripetizione) per due volte a settimana può essere utile per stimolare l’incremento della densità ossea e di conseguenza migliorare le condizioni fisiologiche delle donne in menopausa con osteoporosi.

 

  • Assicurarsi di svolgere gli esercizi in maniera corretta, sotto supervisione di professionisti del settore, al fine di prevenire gli infortuni e massimizzare l’efficacia degli allenamenti.

 

  • Associare l’attività fisica ad una nutrizione adeguata.

A cura di: 

Matteo Mosti 

  • Dottore in Scienze Motorie – BDc Sport Science
  • Studente del Master in Posturologia Clinica – MSc Clinical Posturology

 

 

Running e fascite plantare L’importanza della fisioterapia nello sport più praticato di sempre

Running e fascite plantare L’importanza della fisioterapia nello sport più praticato di sempre

La corsa è un processo semplice e complesso allo stesso tempo.

 Semplice perché correre è alla portata di tutti, complesso perché quest’attività sportiva,

 una delle poche che la maggior parte delle persone pratica senza un vero e proprio apprendimento iniziale,

 in realtà richiede di conoscere determinate informazioni e di rispettare certe regole

 affinché la corsa diventi e rimanga un piacere

Gli effetti benefici della corsa sono ormai noti:

-diminuisce lo stress, allontana i problemi di salute (vita sedentaria, diabete, obesità, ictus, fumo, malattie cardiovascolari, insorgenza di tumori);

-aumenta l’aspettativa di vita, un runner vive in media tre anni di più rispetto ad un non corridore ed è un toccasana per la mente. 

La corsa potremmo considerarla uno sport accessibile a tutti, che scavalca i limiti geografici e sociali, richiede poca attrezzatura, anche solo un paio di scarpe, ed ognuno può praticarlo in base alle proprie capacità. 

Uno studio Delphi del 2015 definisce un infortunio associato alla corsa come “un dolore muscoloscheletrico, correlato alla corsa, negli arti inferiori (nell’allenamento o durante la gara) che provoca una limitazione o cessazione della corsa (distanza, velocità, durata, allenamento) per almeno sette giorni o per almeno tre allenamenti consecutivi programmati o che necessiti di un consulto medico o con un altro professionista della salute “.

Insieme al numero di runners, è però cresciuto anche il numero di infortuni da sovraccarico agli arti inferiori, che si stimano tra l’11 e 85%.

In uno studio del 2019 si è dimostrato come l’80% dei corridori avesse riportato nella sua storia di corsa almeno uno o più infortuni legati all’attività.

Gli infortuni più frequenti sono a carico del piede, del ginocchio, dell’anca e della colonna lombare:

Wiegand et al. hanno osservato come le patologie più frequenti riscontrate sono: sindrome della bandelletta ileotibiale (34%), fascite plantare (30%), stiramento dei muscoli dell’anca (25%), shin splints (sindrome da stress del tibiale) (22%), mentre negli ultra maratoneti la tendinopatia achillea e la sindrome femororotulea sono le principali patologie riscontrate. 

Si stima che il 29.5% degli infortuni avviene nei novice runner, parola usata per definire una persona che non ha mai approcciato alla corsa in passato in maniera regolare.

Nonostante molti runners sperimentano nella loro carriera diversi infortuni, non li considerano tali finchè il dolore non compromette la loro performance di corsa.

 

La causa degli infortuni è multifattoriale e spesso sono chiamati in causa sia fattori di rischio intrinseci che estrinseci; in generale sono stati documentati, alcuni modificabili e altri non. La storia di precedenti infortuni, la distanza percorsa a settimana, la frequenza di allenamento, variabili biomeccaniche come l’aumento dell’angolo q dinamico sono solo alcuni dei fattori di rischio indagati.

Alcuni fattori intrinseci sono l’avanzare dell’età, BMI elevato, storia di traumi o infortuni, diversa lunghezza tra i due arti, mal allineamenti anatomici, postura dei piedi, errati carichi sul piede.

 I fattori estrinseci riguardano invece il livello di preparazione, sovra allenamento, il tipo di scarpa e la superficie di corsa.

In base all’infortunio, si può indagare la causa che lo ha generato e concentrandosi sul parametro che lo ha influenzato in maniera maggiore, si modifica l’allenamento.

Alcuni infortuni vengono classificati come patologie di carico e si verificano dopo sessioni di allenamento in cui lo stress meccanico è il risultato eccessivo per il fisico: corsa, salti, dislivelli eccessivi. Le patologie da ripetizione invece tendono a comparire più spesso durante gli allenamenti dove vengono ripetuti gli stessi movimenti. 

Come scritto precedentemente uno degli infortuni maggiori per i runners è la fascite plantare;

 

Cosa è la fascite plantare? 

La fascite plantare è un disturbo muscolo-scheletrico caratterizzato da dolore sulla parte mediale del calcagno e, talvolta, dolore in corrispondenza della fascia plantare, è peggiore la mattina quando si compie il primo passo o comunque compare dopo un lungo periodo di inattività.

Una volta che il paziente inizia a camminare, tende a diminuire.

I sintomi si alleviano, ma non scompaiono del tutto durante il corso della giornata e sono esacerbati da attività come cammino o attività fisica prolungata.

 

Come avviene la diagnosi?

Le linee guida del 2014 affermano come la diagnosi di fascite plantare venga effettuata clinicamente in anamnesi tenendo conto dei seguenti sintomi:

1) Dolore al primo passo dopo un periodo di inattività o stazione eretta prolungata

2) Dolore tipico al mattino, al risveglio.

I test dell’esame fisico che mi possono confermare la diagnosi sono:

  • dolore alla palpazione nell’inserzione prossimale al calcagno della fascia plantare,
  • positività ai test clinici (windlass test),
  • negatività al tarsal tunnel test
  • limitato rom attivo e passivo in dorsiflessione di tibio tarsica,
  • anormale appoggio del piede (foot index score alterato) 

L’imaging di solito non è necessario per la diagnosi, tuttavia è un ottimo strumento per fare rule out con altre patologie e rilevamenti radiologici frequenti come gli speroni calcaneari non sono utili a distinguere pazienti con fascite plantare e non, in quanto possono essere presenti anche in pazienti asintomatici. 

Come si tratta?

Il trattamento della fascite plantare è per il 90% -95% dei pazienti conservativo (con fisioterapia) con risoluzione dei sintomi intorno alle 12-18 settimane.

A ragione di questo, può essere considerata una patologia cronica che può portare a disabilità e limitazione nelle attività sia di vita quotidiana che sportive se non trattato adeguatamente.

Dai sei mesi fino all’anno di fallimento della terapia conservativa, si può pensare di ricorrere alla chirurgia. 

Nel 2014 sono state redatte delle Linee Guida per la diagnosi e il trattamento della fascite plantare. Per quanto concerne il trattamento abbiamo diversi tipi di intervento:

  • Terapia Manuale con mobilizzazioni delle articolazioni e dei tessuti molli per trattare rilevanti restrizioni articolari o deficit di estensibilità dei tessuti molli degli arti inferiori
  • Stretching: stretching della fascia plantare, del soleo e del gastrocnemio garantiscono sollievo dal dolore a breve termine (da 1 settimane a 4 mesi). L’aggiunta di imbottiture per il calcagno potrebbe essere consigliata per aumentare i benefici dello stretching
  • Taping: taping antipronazione dovrebbe essere utilizzato per un’immediata riduzione del dolore e aumento della funzionalità. Tape elastico terapeutico applicato al gastrocnemio e alla fascia plantare per ottenere una riduzione del dolore a breve termine (1 settimana)
  • Splint notturni: dovrebbero essere prescritti per un arco temporale di 1-3 mesi in particolare per quei pazienti che lamentano un intenso dolore durante l’esecuzione del primo passo dopo il risveglio.
  • Esercizio terapeutico e rinforzo neuromuscolare: esercizi di rinforzo e allenamento dei muscoli che controllano la pronazione e attutiscono le forze durante le attività in carico
  • Educazione e perdita di peso: consigliare ed insegnare al paziente esercizi funzionali per mantenere un BMI ottimale ed eventualmente indirizzarlo ad un dietologo per impostare una nutrizione corretta
  • Laser e ultrasuoni ed onde d’urto
  • Esercizi e consigli specifici per il return to sport  

Nel 2005 Davis parla del processo di ri-allenamento alla corsa caratterizzato da tre punti:

1)identificare il meccanismo anomalo biomeccanico che ha causato un eccessivo carico sul tessuto

2) stabilire se i meccanismi di corsa sono stati alterati

3) facilitare il cambiamento verso meccanismi di corsa corretti e attraverso il motor learning e consolidare l’apprendimento insegnato.

 

E quindi?

Il trattamento prevede una fase di valutazione; l’obbiettivo è quello di capire il motivo della comparsa del dolore.

Solitamente in assenza di traumi al piede o ad altre articolazioni il dolore di fascite plantare è dato da un sovraccarico.

Una volta ridotto il dolore con le metodiche descritte precedentemente è necessario un programma di riallenamento, in modo da riadattare la fascia plantare e tutto l’arto inferiore, al carico

Ma come si fa?

Innanzi tutto è necessario fare una valutazione della corsa:

  • Durante la corsa l’ampiezza del passo deve essere corta: don’t ovestride!

Quindi appena il piede stacca dal terreno il tallone deve andare verso il gluteo

  • Per quanto riguarda la cadenza, dovrebbe essere tra i 165 e 175
  • Studi discordanti invece riguardo all’appoggio del piede, tuttavia pare che l’appoggio sul mesopiede risulti essere il migliore. 

Si procede quindi lavorando sul corretto schema di corsa, associando poi un lavoro più generico di coordinazione motoria, mobilità, controllo e stabilità non solo del piede ma di tutto l’arto inferiore.  

E per quanto riguarda le scarpe? Non ci sono studi che dimostrano che una scarpa sia migliore di un’altra, nessuna scarpa aiuta a ridurre la probabilità di infortunio da sovraccarico alla fascia plantare, quindi, usa le scarpe con cui corri meglio e che a te personalmente stanno più comode. 

Ricordati che la fascite plantare è un disturbo da sovraccarico, non pretendere di ritornare a correre subito gli stessi chilometri di prima, sul solito terreno.

Bisogna andare con gradi, dare tempo al corpo di riadattarsi al carico 

E per quanto riguarda il dolore?

Se ciò che ti stai chiedendo è se puoi correre con il dolore, la risposta non è così immediata

SI, puoi correre MA, il dolore deve rimanere sotto la soglia di 4 su 10

Il dolore non deve aumentare durante la corsa e la mattina successiva deve tornare a 0

Il dolore non deve peggiorare nei giorni successivi. 

Se e solo se il tuo dolore si comporta così, allora SI, puoi correre, ma ricordati, sempre gradualmente!

A cura di:

GIULIA SANGUINETTI, PT, OMPT

  • Orthopeadic Manipulative Physical Therapist (OMPT)
  • Fisioterapista dei disturbi vascuolo-linfatici
  • Fisioterapista esperta in fisio-pilates.
Legamento crociato anteriore: il futuro della resilienza del legamento rimane nascosto all’interno del complesso sistema sensomotorio.

Legamento crociato anteriore: il futuro della resilienza del legamento rimane nascosto all’interno del complesso sistema sensomotorio.

La dura verità sulla riabilitazione del legamento crociato anteriore

I nostri trattamenti spesso non riescono a ripristinare adeguatamente la funzione del ginocchio, a prevenire lesioni successive o ad allontanare l’artrosi post-traumatica. Allo stesso modo, le nostre tecniche di riabilitazione in gran parte pre-pianificate e le batterie di test hanno una validità discutibile quando si tratta di preparazione al  ritorno allo sport. Come clinici e ricercatori, prima accettiamo questi fatti e riconosciamo la complessità di questo problema, prima possiamo risolverlo.

Nessuno può colmare questa lacuna. Lo scopo di questo post è di delineare le complessità che affliggono la lesione ed il recupero del legamento crociato anteriore e di avviare un dialogo tra i medici e ricercatori incaricati di sviluppare il futuro della riabilitazione del legamento crociato anteriore (ACL)

 

Non solo biomeccanica

Le lesioni del legamento crociato anteriore si verificano a causa di difetti biomeccanici (ad esempio un eccessivo ginocchio valgo), Giusto?

Beh, più o meno. Tuttavia, queste lesioni sono il prodotto di complessi fallimenti di sistemi non lineari. Le alterazioni biomeccaniche sono necessarie, ma non sufficienti a causare lesioni isolate.

Lo sport è un sistema complesso. Il risultato finale è determinato dalle relative abilità e prestazioni dei singoli giocatori, da come ogni giocatore e allenatore interagisce con i compagni di squadra, dalle dinamiche di gioco in continua evoluzione (es. Sostituzioni, rumore della folla, arbitraggio, ecc.) e dal tempo che trascorre sull’orologio. Le due squadre che interagiscono sono raramente “perfette”, ma ciascuna si adatta ai difetti per guadagnare punti, massimizzare i possessi e vincere. Questa caratteristica dell’adattamento è vera per tutti i sistemi complessi: nonostante i difetti evidenti, la complessità consente la variabilità nel modo in cui i sistemi funzionano.

A questo proposito, i difetti biomeccanici sono un “difetto minore” del movimento umano e non sempre provocano lesioni. La naturale variabilità biomeccanica potrebbe essere il capro espiatorio di un più ampio fallimento dei sistemi?

Navigare nello sport

Le abilità motorie dei singoli atleti dipendono dalle dinamiche dell’ambiente, dal compito e dall’organismo; tutto ciò influenza il modo in cui il compito può essere completato. Suggerire che la presenza di un deficit biomeccanico possa determinare singolarmente il rischio di lesioni di un atleta non è plausibile in quanto ciò non tiene conto di queste dinamiche interpersonali. Figure 1a e 1b.

Allora come possiamo tenerne conto?

Figura 1a ed 1b. Il comportamento dell’individuo dipende dall’ambiente. Le dinamiche interpersonali devono essere considerate nella lesione e nel recupero del LCA. Sport.

Dinamiche interpersonali

Più di due terzi delle lesioni ACL si verificano da meccanismi senza contatto, molti dei quali si verificano per evitare un contatto, come un cambio di direzione da parte di un attaccante per evitare un difensore. Aneddoticamente, molti di noi credono che le dinamiche interpersonali dello sport contribuiscano alle lesioni ACL; tendono a presentarsi più frequentemente in partita che nell’ allenamento, sia nei difensori che negli attaccanti.

Tuttavia, rimangono domande fondamentali. Le persone a rischio di lesione del legamento crociato anteriore producono prestazioni peggiori nelle attività che richiedono determinate capacità coordinative reattive? Questo può essere ottimizzato attraverso l’allenamento? Se è così, in che modo?

 

Al momento non ci sono indagini sulle dinamiche interpersonali relative alla lesione del legamento crociato anteriore o al ritorno allo sport. Tuttavia, la consapevolezza che le azioni dell’avversario possano disturbare il pattern dei movimenti minaccia la validità della riabilitazione tradizionale. Stiamo effettivamente sviluppando la preparazione per lo sport?

Una più profonda comprensione dell’adattabilità dei nostri pazienti alle perturbazioni ambientali (e come ottimizzarla) è un’area di ricerca molto necessaria.

Figure 2 – Modello di Newell dei vincoli interagenti e degli effetti sulla variabilità delle prestazioni fisiche.

Il sistema sensomotorio

La ricerca negli ultimi due decenni ha reso popolare il fatto che il controllo sensomotorio determina i comportamenti e gli errori biomeccanici che contribuiscono o derivano dalle lesioni del legamento crociato anteriore. Il sistema sensomotorio è incorporato nell’ambiente in rapida evoluzione. Uno sguardo più approfondito ai complessi meccanismi che influenzano la riabilitazione muscolo-scheletrica aiuterà a definire la portata del problema.

Le seguenti sezioni sono solo un’introduzione alle molte caratteristiche interconnesse del controllo sensomotorio che dovremo considerare.

 

  1. Il sistema sensomotorio è un ciclo di feedback.

Il nostro sistema nervoso centrale (SNC) integra continuamente informazioni sensoriali da più modalità (visiva, vestibolare, somatosensoriale, uditiva, ecc.) per costruire una rappresentazione dell’ambiente. Le azioni motorie successive cambiano l’input sensoriale e il ciclo continua. Senza feedback, un comportamento motorio di successo non è possibile

Il sistema sensomotorio deve prima distinguere tra gli stimoli generati dall’ambiente dal feedback previsto generato dai nostri comportamenti. Le alterazioni degli input sensoriali possono influenzare l’accuratezza di questo confronto e sono alla base delle affermazioni che gli errori di previsione sensoriale e motoria contribuiscono alla lesione del legamento crociato anteriore.

Quando si considera che la variabilità individuale e gli impairments potrebbero influenzare i circuiti di feedback sensomotorio, la coordinazione intra-personale (cioè la capacità di controllare il nostro corpo nello spazio) diventa tanto complesso quanto le dinamiche dello sport.

 

  1. Coordinazione intra-personale

Considera un attaccante  che cerca di saltare un avversario per avvicinarsi alla rete avversaria. Mentre si muove verso la rete, il sistema sensomotorio è incaricato di controllare diversi fattori mentre percepisce l’ambiente in evoluzione. Tali azioni atletiche richiedono il coordinamento di diversi gruppi muscolari ed articolazioni. Alcuni studi che indagano questo concetto in individui  che hanno subito un intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore dimostrano una minore coordinazione articolare durante l’equilibrio di un solo arto, una maggiore rigidità e di conseguenza un rischio di recidiva più elevato.

Sfortunatamente, questi impairments sono clinicamente meno tangibili della debolezza muscolare o della limitazione della mobilità. Ma quali fattori modificabili contribuiscono a queste impairments? Come possiamo essere sicuri di affrontarli?

Si ritiene che l’interruzione del feedback afferente sensoriale nell’articolazione del ginocchio, le differenze nell’elaborazione percettiva e cognitiva e le successive alterazioni nel reclutamento muscolare influenzino la coordinazione intra-personale.

  1. Afferenza somatosensoriale: cosa succede ai meccanocettori del legamento crociato anteriore dopo un infortunio?

La propriocezione è generata dai recettori presenti all’interno dei tessuti legamentosi, capsulari e muscolo-tendinei. Come sappiamo, questi segnali permettono la percezione delle posizioni del corpo, dei movimenti e dello sforzo muscolare. L’integrazione di queste diversificate afferenze somatosensoriale è incredibilmente complessa, compresi i centri del midollo spinale, del cervelletto e della corteccia cerebrale.

Il legamento crociato anteriore e le strutture dell’articolazione del ginocchio circostanti costituiscono il più grande organo sensoriale nel corpo umano.

Gli individui senza afferenza del legamento crociato anteriore sovraregolano la rigidità e l’attività dei muscoli posteriori della coscia, creando così stabilità attiva. Al contrario, quelli con afferenza ACL conservata dopo la rottura del legamento non sovraregolano l’attività dei muscoli posteriori della coscia e tendono ad essere non copers.

Sebbene ancora poco chiari, i pazienti possono recuperare l’afferenza del legamento crociato anteriore a lungo termine dopo intervento con legamentizzazione del tessuto innestato.

 

Disinibizione del livello spinale: trattamenti efficaci per l’inibizione del muscolo quadricipite

Le lesioni articolari e gli interventi chirurgici provocano gonfiore articolare e conseguente inibizione artrogenica muscolare (IMA). Questa disfunzione a livello spinale è alla base della debolezza muscolare del quadricipite bilaterale dopo lesione o ricostruzione del legamento crociato anteriore. (Questo è il motivo per cui i nostri pazienti presentano una rapida atrofia muscolare nonostante l’assenza di lesioni muscolari).

Gli interventi disinibitori mirati all’attività afferente sensoriale (come le TENS ed il ghiaccio) hanno mostrato incredibili risultati nell’affrontare i meccanismi neurali che causano l’AMI. Mascherare gli input sensoriali inibitori con la TENS od il ghiaccio crea “finestre di trattamento” terapeutiche in cui l’eccitabilità e la forza dell’unità motoria del quadricipite vengono temporaneamente ripristinate.

Ogni clinico dovrebbe considerare di utilizzarli per massimizzare il rinforzo del quadricipite nelle fasi acuta e subacuta del recupero. Tuttavia, per essere chiari, non siamo sicuri che questi trattamenti affrontino lo sviluppo di cambiamenti cerebrali cronici.

 

 

  1. Il ruolo delle cortecce integrative e della neurocognizione

Sembra che i periodi di de – afferenziazione a seguito di una la lesione del LCA siano sufficienti per catalizzare i cambiamenti neuroplastici a lungo termine nel cervello e che esistano differenze funzionali nell’attività cerebrale prima della lesione.

Un atleta deve utilizzare le informazioni percepite per prendere centinaia di decisioni motorie durante una partita.

La chiave di questo successo è la capacità degli atleti di cercare, interpretare e prevedere le informazioni rilevanti relative alle dinamiche attuali e future del compito e dell’ambiente. In altre parole, le prestazioni sono limitate dalla situazione, dalla capacità fisica degli atleti e dal loro controllo percettivo-cognitivo.

Ad esempio, gli individui che continuano a subire lesioni ACL hanno una velocità di elaborazione neurocognitiva più lenta ed un minor tempo di reazione visuo-motorio precedente alla lesione.

Queste menomazioni probabilmente persistono (e peggiorano) dopo l’infortunio. Quindi, possiamo addestrarlo? Se è così, lo siamo?

So, can we train it? If so, are we?

 

  1. Efficienza neurale negli atleti

L’efficienza neurale è la capacità di un individuo di integrare più informazioni percettivo-cognitive di un altro. Ciò significa, tra le altre cose, una migliore elaborazione delle informazioni, azioni motorie più efficaci e maggiori attività nelle aree sensomotorie cerebrali.

In genere, gli esperti richiedono meno attività neurale per un’attività standard. Tuttavia, in ambienti complessi, come lo sport, gli esperti usano una maggiore attività neurale.  Ad esempio, i giocatori altamente qualificati mostrano una maggiore attivazione del sistema dei neuroni specchio rispetto ai giocatori poco qualificati durante la previsione dei movimenti dell’avversario o l’analisi dei movimenti.

Questi risultati suggeriscono che le riduzioni delle richieste corticali di compiti isolati consentono agli esperti di elaborare maggiori informazioni e navigare meglio nella complessità dello sport.

La ricerca futura dovrebbe indagare l’utilità dei metodi riabilitativi e di coaching per sviluppare al meglio l’efficienza neurale e la sua associazione con l’acquisizione di abilità. Per ora, i risultati di una maggiore attività fMRI nelle reti visive e attenzionali durante semplici compiti indicano un’inefficienza neurale dopo ricostruzione del legamento crociato anteriore, suggerendo un’opportunità per interventi neuromodulatori mirati alla neurocognizione e alle reti integrative.

  1. Focus esterno attentivo

In generale, l’attenzione prepara selettivamente il sistema cognitivo alla differenziazione tra caratteristiche rilevanti e irrilevanti dell’ambiente. La crescente ricerca suggerisce che l’attenzione diretta all’obiettivo (definita focus esterno) si traduce in un miglioramento delle prestazioni rispetto all’attenzione auto-diretta (definita focus interno). I risultati suggeriscono un focus esterno attentivo per facilitare la capacità di pianificare, selezionare ed eseguire un’azione con una migliore percezione dell’ambiente, mentre il focus interno attentivo disimpegna la percezione dall’ambiente circostante.

A seguito dell’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore, i risultati della risonanza magnetica funzionale suggeriscono maggiori richieste cognitive durante compiti motori ritmici. Inoltre, gli individui sani ad alto rischio di lesioni dimostrano un’attività corticale meno variabile e segni corticali suggestivi di coordinazione motoria meno adattabile.

  1. Si risolve tutto con l’allenamento neurocognitivo?

 

Cos’altro succede nelle nostre teste?

I processi neurali del sistema limbico (emozione e memoria) sono strettamente intrecciati nel comportamento motorio. La neuroplasticità in questo sistema è teoricamente collegata al cambiamento negativo (maladattamento) nei modelli di lombalgia e dolore cronico, ed è stata estesa alla popolazione dei soggetti sottoposti a ricostruzione del legamento crociato anteriore. Significa che dobbiamo considerare l’influenza della motivazione, paura, ansia, dolore, memoria, ecc. nel controllo motorio dei nostri atleti.

Alcuni documenti recenti evidenziano un’ampia gamma di fattori psicologici, sociali e contestuali che influenzano il recupero dei nostri pazienti a seguito di un trauma al ginocchio. Di fondamentale importanza per la salute e il benessere psicologico e sociale, i fattori psicologici sono stati anche direttamente collegati alla funzione del quadricipite ed ai tassi di recidiva dopo ricostruzione del legamento crociato anteriore. I fattori psicologici, sociali e contestuali si evolvono nelle fasi di recupero e dovrebbero essere considerati prioritari nella gestione degli individui che seguono l’ACLR .

 

  1. E’ finita l’era del 3 x 10

I gangli della base e le cortecce motorie interconnesse sono implicati nella selezione dell’azione, nell’inizio e nel cambio del compito. Come clinici ci concentriamo, purtroppo, su atti motori in gran parte pre-pianificati, così i pazienti diventano bravi a usare questo sistema motorio “3 serie di 10”. Tuttavia, le differenze nell’attivazione neurale tra gli individui sottoposti a ricostruzione del legamento crociato anteriore ed individui di controllo  suggeriscono una ridotta propensione al controllo motorio reattivo.

Il movimento reattivo è probabilmente più importante per lo sport e utilizza un sistema motorio diverso (cioè aree premotorie). Ciò suggerisce la necessità di esercizi terapeutici (e paradigmi di ricerca) che si concentrino sulla pianificazione motoria reattiva in ambienti complessi / mutevoli.

 

Il tratto corticospinale discendente è responsabile dell’avvio delle contrazioni muscolari volontarie e della regolazione del controllo motorio discendente. Come con qualsiasi percorso neuronale, l’equilibrio tra i potenziali eccitatori e inibitori influenza la trasmissione e l’attivazione dei motoneuroni “tutto o niente”.

Una ridotta eccitabilità del tratto corticospinale dopo la ricostruzione del LCA significa che è necessaria una maggiore attivazione prima dell’inizio del movimento. Nonostante il trattamento, questa menomazione peggiora nel tempo e il tratto stesso sembra atrofizzarsi.

Inoltre, l’eccitabilità corticospinale è fortemente associata a caratteristiche chiave della funzione muscolare del quadricipite e quindi al recupero funzionale. A tal fine, dobbiamo sviluppare e adottare strategie di trattamento che aumentino l’eccitabilità del tratto corticospinale.

Il biofeedback EMG, immagini motorie, e l’esercizio eccentrico sono strade promettenti.

1.  Infine, il muscolo stesso

 

La caratteristica clinica primaria degli individui che hanno subito l’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore è l’atrofia muscolare del quadricipite. In qualità di fisioterapisti, combattiamo l’inibizione persistente del quadricipite, l’atrofia,  e la debolezza.

Il disaccoppiamento del tessuto nervoso e del muscolo (noto come denervazione) limita gravemente la capacità di contrarre volontariamente i muscoli, aumenta i depositi di grasso intramuscolare, catalizza le transizioni del tipo di fibra, aumenta i mediatori dell’atrofia circolatoria e riduce la conta delle cellule satellite.

Trattamenti come la restrizione del flusso sanguigno e l’esercizio eccentrico è meccanicamente allineato con queste menomazioni metaboliche

Cosa riserva il futuro?

Come clinici e ricercatori, non possiamo continuare a fare la stessa cosa e aspettarci un risultato diverso.

Dato un singolo cambiamento nel sistema sensomotorio, come l’afferenza sensoriale alterata dopo l’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore, il sistema nervoso centrale deve cambiare in modo di incrementare il network neuronale in un modo che mantenga le caratteristiche chiave del comportamento (cioè equilibrio, andatura, ecc).

 

La complessità del sistema nervoso centrale rende incredibilmente difficile sapere dove intervenire. Ma non dobbiamo aver paura di provare. Le modifiche al sistema nervoso centrale non sono cablate e il potenziale per indurre cambiamenti neuroplastici a lungo termine è stato dimostrato in popolazioni con denervazione molto maggiore (cioè ictus, lesioni del midollo spinale).

Il futuro della riabilitazione delle lesioni del legamento crociato anteriore deve prendere in considerazione interventi che guidino la neuroplasticità attraverso la neuromodulazione. Andando avanti, sarà necessario un apprezzamento globale del sistema sensomotorio per testare legittimamente queste teorie in modo scientifico.

Le aree in cui abbiamo bisogno di una comprensione più profonda sono le dinamiche interpersonali, i cambiamenti della rete neurale, il controllo motorio reattivo e la guida per fattori psicologici, sociali e contestuali. Per ora, esistono e dovrebbero essere applicati interventi che inducono una plasticità benefica mirando all’eccitabilità riflessiva spinale, alla riponderazione sensomotoria, alla dipendenza visuomotoria, all’eccitabilità corticospinale e ai fattori di crescita muscolare locale.

A Cura di:

GIONATA PROSPERI FT, SPT, SM, cert. VRS          

  • Fisioterapista  e Scienze Motorie – Sport Science and Physical Therapist
  • Fisioterapista Sportivo – International Federation of Sport Physiotherapy
  • Orthopaedic Manipulative Physical Therapist – OMPT Student – SUPSI Switzerland
  • Fisioterapista specializzato nella Spalla dolorosa
Distorsioni alla caviglia ed Esercizio Terapeutico

Distorsioni alla caviglia ed Esercizio Terapeutico

Lo sapevi che una distorsione alla caviglia rappresenta uno dei più frequenti traumi muscolo-scheletrici dell’arto inferiore?

L’incidenza dei traumi alla caviglia in media è di 11.5 per 1000 esposizioni negli sportivi, ma potrebbe coinvolgere anche la popolazione non sportiva con un’incidenza di 2/7 episodi ogni 1000 abitanti.

Molte persone  riferiscono di aver subito questo infortunio almeno una volta nella vita e spesso vengono indirizzate al medico di base o al pronto soccorso per valutare l’entità della lesione; altri invece non si recano da un professionista sanitario adeguato in modo tempestivo .

Spesso questi episodi traumatici si perdurano nel tempo  sviluppando nel paziente una instabilità cronica dell’articolazione.

In generale riscontriamo  :

  • Più frequente trauma muscolo scheletrico dell’arto inferiore
  • 30% dei traumi sportivi
  • Possibilità di recidiva e di cronicizzarsi
  • Costi sociali elevati .

I traumi alla caviglia hanno dei costi sanitari e sociali molto elevati, rappresentati dall’ingresso in ospedale, dall’esame diagnostico, dalla visita specialistica ,dai tempi di attesa e anche legati all’assenza dal lavoro o dalle attività sportive.

Clinica e Meccanismo traumatico

Diventa di fondamentale importanza l’inquadramento clinico e diagnostico della patologia in tempi  abbastanza celeri, per poter procedere alla formulazione di un piano riabilitativo in modo adeguato e completo.

Conoscere il meccanismo traumatico ci aiuta a capire quale struttura anatomica viene danneggiata per porre maggiore attenzione, purtroppo però non tutti i pazienti riescono a capire come è avvenuto nel dettaglio l’evento lesivo, inoltre a differenza di un infortunio del LCA in cui sentire il rumore è spesso patognomonico di lesione, in questo caso un rumore, a meno che non si tratti di frattura, non è strettamente legato ad una vera compromissione legamentosa.

Grazie alle video analisi cinematiche  è possibile riconoscere i meccanismi dovuti da anomali posizionamenti del piede associati a movimenti di rotazione, quindi dalla combinazione di 2 o più movimenti su più articolazioni vicine . Possono trattarsi di traumi da contatto e non, come il più delle volte capita.

 Un’ informazione fondamentale è se il paziente si è dovuto fermare subito e se ha avuto un edema precoce o ritardato, perché dà un indice di severità del trauma; questi aspetti si indagano comunque anche se si sanno non essere predittivi per il tempo di ritorno allo sport.

Si devono poi indagare eventuali precedenti traumi perché rappresentano il fattore di rischio più importante per avere recidive successive, inoltre probabilmente chi ne ha avute in passato potrebbe avere degli impairment che hanno determinato la seconda distorsione.

Si deve poi indagare la capacità al carico delle strutture ossee, tramite le  Ottawa Ankle Rule per trovare gli eventuali casi di fratture clinicamente significative; quando la si applica si deve tenere sempre presente che individua solo le fratture franche, non quelle piccole, soprattutto se sono del piede, per cui se dopo alcuni giorni il paziente non migliora comunque è consigliabile una lastra.

Come ultimo passaggio, dopo che si è definito che il paziente è di pertinenza del fisioterapista, si valuta la componente legamentosa.

Così è possibile individuare tre differenti zone di lesione :

  • LAS – distorsione laterale di caviglia
  • Lesione della sindesmosi
  • MAS- distorsione mediale di caviglia.

Come abbiamo già detto in precedenza da questi traumi distorsivi se:

  • permane un senso di instabilità ed episodi ricorrenti
  • vi fossero deficit funzionali auto-riferiti

 e fossero persistenti da  1 anno dal primo episodio traumatico , avremo una forma di instabilità cronica di caviglia (CAI) , che è dovuta dall’interazione di tre macrosistemi  : gli impairments  patomeccanicisensoriali percettivi e quelli dovuti dal comportamento motorio . Tutto questo è influenzato da quelle che sono le componenti personali, che sono i fattori demografici ( le persone più giovani sono le più sensibili ), storia medica (più patologie), componente fisica (BMI diverso), fattori esterni (un giocatore è influenzato dall’allenatore.. ) sono tutte quelle componenti che possono compromettere l‘iter riabilitativo.

Alla clinica  troveremo :

  • Dolore: la componente dolore è poco spiegata e non ha un pattern ben definito. ( potrebbe avere dolore mediale, dolore laterale o addirittura potrebbe anche non avere dolore e solo senso di instabilità ).
  • Deficit di mobilità articolare
  • Diminuzione della forza : sia a livello prossimo che distale
  • Alterato controllo neuromuscolare LOCALI : ritardato tempo di reazione della componente laterale della caviglia e ritardo nella fase pre-atterraggio. GLOBALI : deficit di reclutamento del medio gluteo, bilaterali, in soggetti con LAS ricorrenti
  • Deficit propriocettivi : danni recettoriali o un alterato “joint position sense”
  • Alterazione dell’equilibrio : sia statico che dinamico :
  • Attività funzionali: maggiore inversione durante la fase di “swing” e maggior tempo di appoggio della regione laterale della caviglia durante il cammino ,inferiore flessione (tightly packed position), parametri contrastanti su E/F anca e ginocchio, test funzionali (salto | atterraggio)

 

Trattamento ed Esercizio Terapeutico

In base alla diagnosi e alla clinica e prendendo in carico il paziente globalmente si procederà alla formulazione di un programma terapeutico individuale e specifico. Viene cosi fuori l’importanza nell’essere esaminati e supervisionati da specialisti del settore riabilitativo per arrivare ad un completa guarigione e per una prevenzione funzionale di possibili recidive .

Una terapia basata sull’esercizio terapeutico dovrebbe essere prescritta per il pieno recupero della funzionalità articolare.

Secondo la definizione dell’American Physical Therapy Association,  per  esercizio terapeutico si  intende una “sistematica e pianificata esecuzione di movimenti corporei, posture e attività fisiche intese a fornire al paziente i mezzi per:

  • Rimediare o prevenire danni strutturali
  • Migliorare, ripristinare o favorire una funzione fisica
  • Prevenire o ridurre fattori di rischio correlati alla salute
  • Ottimizzare lo stato di salute generale”.

Le modalità in cui viene utilizzato sono alcune delle seguenti :

  • Tecniche di controllo, inibizione e facilitazione neuromuscolare e allenamento propriocettivo
  • Controllo posturale
  • Esercizi di equilibrio e agilità
  • Procedure di allungamento muscolare
  • Esercizi per la performance neuromuscolare: training di forza, potenza e resistenza
  • Condizionamento e ricondizionamento aerobico
  • Esercizi per la respirazione e training dei muscoli respiratori
  • Task funzionali specifici.

Per i traumi alla caviglia sono consigliati programmi di esercizi terapeutici sul controllo neuromuscolare e sulla propriocezione.  Iniziati sin da subito già in fase acuta sono risultati essere efficaci sia per il recupero sia per ridurre le possibili recidive.

In fase acuta si consiglia di utilizzare il protocollo NICE & EASY

  • N-NSAIDs– in fase acuta i farmaci anti-infiammatori potrebbero influire sul processo di guarigione dei tessuti e sull’omeostasi del legamento, incrementare il sanguinamento, determinare ulcerazioni, ma nonostante ciò è consigliato ugualmente il loro utilizzo per permettere il controllo del dolore.
  • ICE (Ice, Compression, Elevation).
  • EASY (External Ankle Support Year), gli autori consigliano l’utilizzo di tutori per un anno perché probabilmente danno un aiuto nel processo iniziale di ripresa, diminuiscono il rischio di recidiva e non fanno cronicizzare il dolore.

L’esercizio modula il dolore sia in acuto che nel cronico , è importante tenere presente che il dolore durante l’esercizio terapeutico non rappresenta un ostacolo per il raggiungimento di risultati positivi, motivo per cui è consigliato affidarsi agli specialisti nel settore della riabilitazione per cui possono indirizzarvi e seguire nel percorso di guarigione migliore possibile .

I tempi di recupero e di progressione del trattamento riabilitativo devono essere adeguati al trauma subito, il fatto che ci siano ancora il 33% dei pazienti con dolore ad un anno è un indice fortissimo di come il trattamento attuale sia totalmente inadeguato, non bisogna fare troppo, troppo presto o troppo velocemente.

Il significato dell’optimal loading ovvero il giusto carico, è anche quello di iniziare a fare esercizi già durante la prima settimana per stimolare la guarigione corretta del tessuto, devono chiaramente essere esercizi semplici come flesso-estensioni della tibio-tarsica, contrazioni isometriche, triplice flessione dell’arto inferiore, attività in carico leggere; tutto ciò aiuta a migliorare la funzionalità nel breve termine e aumenta la compliance del paziente ma non incide sul dolore e sul gonfiore, il paziente ha meno paura di muoversi. In un’ottica di progressione è utile variare gli esercizi per ingaggiare in maniera diversificata i vari tessuti nella loro guarigione.

Bisogna far  riferimento ad Integrated Control Exercises, il quale  promuove il recupero del controllo sia per le vie motorie che per quelle sensitive del piede e della caviglia, permettendo un miglioramento della connessione tra cellula, tessuto e corpo.

È bene proseguire il protocollo EASY anche nel posto acuto . Il carico ottimale è basato sull’appropriata stimolazione cellulare e tissutale tramite la meccanotrasduzione e la stimolazione di fonti importanti di informazioni sensoriali all’interno della pelle, delle strutture articolari e della muscolatura.

Gli esercizi di controllo integrato dovrebbero avere come target i centri di controllo sia motorio che sensoriale della caviglia e delle strutture circostanti tramite mobilizzazioni articolari, massaggio plantare, stretching, esercizi resistiti progressivi .

Ad esempio, per migliorare la flessione plantare in carico una buona strategia può essere iniziare con l’esercizio base di heel rise, ovvero porsi davanti ad un muro e raggiungere con la flessione di ginocchio e il tallone appoggiato a terra il muro, poi fare lo stesso movimento in supinazione e in pronazione, a ginocchio flesso, a ginocchio esteso, in monopodalica, con sovraccarichi e così via, si deve diversificare l’esercizio terapeutico caricando le strutture in maniera differente; se un paziente non riesce a fare un determinato movimento in un certo modo, si parte facendogli fare una variante del movimento che non gli procuri dolore per condizionare la struttura e dare un carico che stimoli i processi di guarigione, poi pian piano si porta a stimolare anche il movimento doloroso.

È molto importante far capire al paziente che sentire un po’ di dolore mentre si fanno gli esercizi non è un male ma anzi dà uno stimolo in più alla guarigione, ma bisogna stare attenti a quanto tempo è passato dal trauma, se è ancora molto reattivo non va fatto.

L’allenamento dell’equilibrio dovrebbe iniziare in una fase precoce della riabilitazione e avere come focus la connessione tra corpo e persona. La progressione deve prevedere un passaggio da task semplici a task complessi e da situazioni prevedibili a situazioni imprevedibili, progressioni ulteriori possono includere gesti sport-specifici complessi. La letteratura al momento non è concorde sull’utilizzo di tutori mentre si eseguono questi esercizi, ma parrebbe meglio non farli usare se gli esercizi sono supervisionati e tenerli se dovessero essere fatti in autonomia.

La progressione deve prevedere un aumento trasversale e compatibile con lo stato di guarigione del tessuto, caricando sempre un po’ di più, lavorando con esercizi di equilibrio statico e dinamico. Gli esercizi propriocettivi devono iniziare dal semplice e avere una gradualità nel loro aumento, si parte con l’appoggio monopodalico, poi ad occhi chiusi e solo dopo si può passare alle tavolette propriocettive, l’esercizio deve essere adeguato allo stato funzionale del paziente.

Le variabili da cambiare sono tantissime, occhi aperti o chiusi, con le tavolette o sul terreno, braccia allargate o chiuse, ginocchio flesso o esteso, superfici piane o inclinate, esercizi statici o dinamici. E’ possibile introdurre focus attentivi esterni  a secondo del obiettivo ricercato , sia per la capacità di carico, di attenzione  

In una fase un po’ più avanzata il test Y-Balance può essere usato anche come allenamento, oppure si può far tenere al paziente un piede fermo e dare destabilizzazioni con l’altro per avere stimoli sempre più importanti. Si deve lavorare anche con gradi di flessione dorsale sempre maggiori perché in una partita, nei cambi di direzione, nell’atterraggio da un salto, il piede arriva in queste posizioni, ed è questo il momento in cui l’atleta si fa male, lo si deve fare con coscienza e con una progressione corretta, ma se non si lavora con questi angoli e con destabilizzazioni importanti la riabilitazione potrebbe non servire a nulla.

E’ utile inserire gesti sport specifici già nelle prime fasi della riabilitazione per aumentare un ‘aderenza del trattamento al paziente, successivamente in fase avanzata sarà opportuno proporre esercizi con maggiore instabilità che richiedono un buon controllo motorio ad velocità più elevate e con oggetti perturbatori .

Bisogna includere anche il salto sempre secondo la regola della progressione:  da bipodalico a monopodalico , su differenti superfici che possono richiamare la realtà; salti semplici sul posto o multipli e inserendo cambi di direzione .

Per avere un corretto ritorno al livello sportivo pre infortunio, è fondamentale educare non solo il paziente ma anche tutte le persone coinvolte riguardo le tempistiche prognostiche, le aspettative e la corretta progressione, ma soprattutto l’utilizzo di tutori fino ad 1 anno post infortunio.

A cura di :

LUIGI LANFRANCHI , PT, OMPT student

  • Orthopaedic Manipulative Physical Therapist (OMPT) Student

Il mal di schiena del ciclista: cause e rimedi

Il mal di schiena del ciclista: cause e rimedi

Il ciclismo fa parte di uno di quegli sport maggiormente praticati in Italia, soprattutto adesso in era COVID dove pochi sport sono praticabili.

Ma amatori e professionisti, ciclisti da strada o da mountain bike spesso si ritrovano a combattere con il mal di schiena.

Ma da cosa è dovuto e perché i ciclisti spesso hanno mal di schiena?

Le cause di mal di schiena nel ciclismo possono essere diverse :

  • da patologie più gravi quali displacement discale;
  • disturbi articolari;
  • rigidità muscolari;
  • instabilità o squilibrio muscolare;
  • squilibrio muscolare funzionale della pedalata (postura sulla bicicletta).

Il classico “Mal di schiena” o Lombalgia è una delle patologie più comuni e si stima che circa l’80% della popolazione almeno una volta nella vita abbia avuto mal di schiena in maniera più o meno limitante e nel ciclismo, il verificarsi di lesioni traumatiche e non traumatiche è circa uguale, con circa 23 milioni di ciclisti che sviluppano almeno un infortunio causato da sovraccarico.

Di queste, il mal di schiena (LBP) aspecifico è il più diffuso.

L’obiettivo di un ciclista è quello di produrre la massima potenza sui pedali per migliorare la propria velocità o prestazione.

Per migliorare la velocità il ciclista deve ridurre la propria area frontale trasversale in modo da ridurre la resistenza aerodinamica. Di conseguenza una delle posizioni maggiormente assunte da chi va in bicicletta è quella flessa in avanti.

Questa posizione porta la colonna ad avere una postura definita in Round-back o Flat back, cioè una postura della colonna lombare in una posizione non fisiologica, in cifosi lombare che se mantenuta a lungo può contribuire al Low Back Pain (LBP).

Ma quali sono le cause di mal di schiena nel ciclista?

Innanzitutto è da precisare che non è la bicicletta in sé a provocare il mal di schiena ma sono piuttosto una serie di altri fattori che vedremo in seguito

MA la posizione mantenuta che si assume in bicicletta può contribuire ed amplificare problematiche già preesistenti

Sono stati fatti numerosi studi a riguardo e tutti sono d’accordo nel dire che la causa più frequente di mal di schiena nel ciclista, in assenza di patologie gravi, è uno squilibrio muscolare e un alterato controllo motorio.

Ancora non è chiaro cosa venga prima: squilibri muscolari che colpiscono la cinematica spinale o la cinematica spinale alterata (posizione flessa mantenuta nel tempo) che portano a squilibrio di attivazione muscolare?

In ogni caso i ciclisti con LBP assumono una posizione più flessibile all’inizio dell’allenamento e questa posizione non cambia durante l’attività; tuttavia, il dolore aumenta.

Questi risultati possono indicare il controllo motorio disadattivo della colonna vertebrale durante l’allenamento come fattore causale.

Infatti se i muscoli che dovrebbero sostenere la colonna vertebrale sono deboli o si attivano in ritardo o in maniera scorretta, allora, è possibile che, quando maggiormente affaticata, la colonna vertebrale possa assorbire un carico e uno stress maggiore.

Questo spostamento delle forze a livello spinale e alterazione del carico rafforza il concetto per il quale potrebbe non essere il posizionamento del corpo sulla bici che conta ma il tempo trascorso in quella posizione e squilibri di attivazione muscolare simultanei o deficit di resistenza che possono contribuire al LBP.

 

Ma cosa si intende per squilibrio muscolare e alterato controllo motorio?

  • Controllo motorio, è l’interazione di sistemi nervosi periferici e centrali che permettono ai muscoli sinergici di anticipare o rispondere all’informazione propriocettiva e cinetica lavorando con una corretta sequenza per creare il movimento coordinato. 
  • Stabilità è la capacità del sistema neuromuscolare attraverso le azioni dei muscoli sinergici di mantenere un segmento corporeo in una posizione stazionaria, possiamo riassumerlo come la capacità di mantenere l’allineamento osseo per mezzo di componenti passive e dinamiche.

Quindi coloro che hanno alterato controllo motorio e instabilità muscolare hanno proprio l’incapacità di attivare e mantenere attivi quei muscoli che ci consentono di fare un’attività fisica o di rimanere in una posizione per lungo periodo, come può essere rimanere in sella alla bicicletta per ore.

Studi su professionisti ciclisti hanno evidenziato quali sono i muscoli che maggiormente sono interessati.

  • un ritardo di attivazione dei muscoli stabilizzatori;
  • co-contrazione asimmetrica dei muscoli multifidi;
  • Ridotto spessore del trasverso addominale;
  • Ridotto spessore dei multifidi;
  • Ridotta resistenza dei muscoli estensori della colonna vertebrale.

Il multifido lombare è noto per essere uno stabilizzatore chiave della colonna lombare inferiore che controlla sia i movimenti di flessione che di rotazione della colonna vertebrale.

La disfunzione del multifido è stata documentata attraverso studi elettromiografici nella popolazione ciclista con LBP, con una perdita di co-contrazione simmetrica. I risultati di alcuni studi suggeriscono che i ciclisti con dolore indagati presentavano maggior asimmetria di attivazione del multifido sia all’inizio che a fine allenamento, rispetto ai ciclisti senza dolore.

Altri studi hanno anche indagato quanto la posizione del ciclista sulla bicicletta possa influire sul dolore lombare, ed è stato visto che ciclisti che tenevano un manubrio troppo in basso, avevano come risultante una maggiore flessione della colonna lombare e un aumento del tilt pelvico e ciò influiva negativamente sul LBP già preesistente

Quindi adesso che abbiamo capito che una delle cause possibili del mal di schiena del ciclista è uno squilibrio a livello muscolare, come fare per ridurre dolore?

Sicuramente pensare ad un lavoro di prevenzione e ad una buona cura e preparazione del proprio fisico.

In molti si avvicinano alla bicicletta non giovanissimi e spesso si avvicinano a questo sport dopo che hanno subito infortuni o impossibilità di praticare altri sport.

Il presupposto fondamentale per chi vuole pedalare, sia per principianti che per i più esperti, deve partire da una corretta posizione in bicicletta, per evitare sovraccarichi sia a livello osteoarticolare che muscolare. Per cui è importante apportare le giuste correzioni sulla bicicletta in modo da permettere al proprio corpo di pedalare in massimo equilibrio.

Ma a questo ci pensa il vostro biomeccanico di fiducia.

Uno degli strumenti che invece abbiamo noi Fisioterapisti in questo caso è l’esercizio terapeutico;

Per Esercizio Terapeutico si intende la sistematica e pianificata esecuzione di movimenti corporei, posture ed attività fisiche (Definizione data da American Physical Therapy Association);

quindi una serie di esercizi più o meno semplici a carico graduale che permetta di riequilibrare la muscolatura e “insegnare” ai muscoli ad attivarsi correttamente prima di un movimento e soprattutto mantenere l’attivazione durante tutta l’attività.

 

Ma come allenare questi muscoli?

Innanzi tutto un muscolo funzionale deve avere una buona

  • Coordinazione: è la qualità del movimento.

Ed è la contrazione e rilassamento dei muscoli in uno specifico ordine consecutivo e quantità per produrre un movimento per una specifica funzione; 

Per ottenere il gesto coordinato è necessario eseguire un movimento fino a 6000 volte 

Quindi per allenare la coordinazione bisogna fare esercizi a basso carico ma alte ripetizioni 

  • Resistenza: capacità di eseguire un’attività per un lungo periodo di tempo

per allenare la resistenza, è necessario fare esercizi a un carico di circa 60 – 70% del carico massimale con un massimo di 25 ripetute. 

  • Velocità: l’aumento della velocità corrisponde ad un aumento di forza e coordinazione. Quindi per riuscire ad aumentare velocità dovrò avere maggior forza e maggiore coordinazione.
  • Volume: area della sezione trasversale del muscolo; in questo caso per avere un aumento di volume bisogna aumentare i carichi di lavoro
  • Forza: anche in questo caso bisogna aumentare i carichi di lavoro; 75%-90% del massimale con ripetute da 5 ad un massimo di 15
  • Potenza

 

E per quanto riguarda la tipologia di esercizi in questo caso sono svariati:

l’obbiettivo è proprio quello di rendere il muscolo più funzionale: allenando forza coordinazione resistenza, velocità volume e potenza.

Solitamente si parte con esercizi statici di reclutamento muscolare e propriocettivi, inizialmente con focus interno in modo da “sentire” l’attivazione muscolare per poi passare ad esercizi con focus esterno:

  • Esercizi di reclutamento del muscolo trasverso addominale
  • Esercizi di reclutamento dei muscoli multifidi e muscoli estensori della colonna
  • Esercizi di mobilità della colonna lombare prevalentemente in estensione qualora sia presente una restrizione di movimento

 

  • Si passa poi a esercizi di rinforzo in maniera più dinamica.
  • Esercizi di rinforzo addominale per muscoli obliqui;
  • Esercizi di rinforzo di tutta la parete addominale;
  • Esercizi di rinforzo dei muscoli lombari (prevalentemente estensori)

 

  • Si arriva poi ad esercizi dinamici con compiti motori diversi cercando però di mantenere l’attivazione muscolare
  • Arrivando sempre di più ad esercizi in posizione funzionale
  • L’ultimo step è il ritorno all’attività fisica in maniera graduale.

A cura di :

GIULIA SANGUINETTI, PT, OMPT student

  • Orthopeadic Manipulative Physical Therapist (OMPT) student
  • Fisioterapista dei disturbi vascuolo-linfatici
  • Fisioterapista esperta in fisio-pilates

Esercizi in caso di artrosi

Esercizi in caso di artrosi

L’esercizio attivo supervisionato rappresenta la migliore pratica per i pazienti con artrosi di anca e ginocchio

  1. Introduzione

Dolore articolare e disabilità funzionale sono sintomi cardinali dell’osteoartrosi di anca e di ginocchio (OA). Si pensa spesso che questi sintomi siano dovuti a danni strutturali, e che debbano essere “riparati” solo con la chirurgia.

Al contrario, le attuali evidenze dimostrano che l’artrosi, o meglio “osteoartrosi”, è una “condizione dell’intera persona”, in cui diversi fattori biopsicosociali, contestuali e comportamentali giocano un ruolo predominante nella modulazione del dolore e della disabilità.

Questo punto di vista evidenzia il ruolo chiave dei trattamenti attivi e non chirurgici nella gestione dell’artrosi. In molti, ma non in tutti, i sistemi sanitari, l’esercizio terapeutico viene solitamente fornita da fisioterapisti.

  1. La fisioterapia ed artrosi di anca e ginocchio

L’esercizio, l’ educazione del paziente e la perdita di peso rappresentano il trattamento di prima scelta raccomandato nelle linee guida per il trattamento dell’artrosi di anca e di ginocchio. Tuttavia, se l’educazione del paziente e l’esercizio terapeutico non riuscissero a migliorare il dolore e la funzione di queste articolazioni, il fisioterapista piò offrire trattamenti supplementari come la terapia manuale.  

La perdita di peso è raramente gestita dal fisioterapista e di conseguenza non verrà affrontata nel dettaglio in questo articolo. Tuttavia, va notato come anche una modesta perdita di peso del 5% possa comportare un miglioramento significativo della sintomatologia dolorosa.  Di conseguenza, la perdita di peso è una parte importante del piano di trattamento per il sovrappeso e soprattutto per gli obesi pazienti.

  1. Trattamento di prima linea

3.1 L’esercizio terapeutico

L’esercizio terapeutico è il trattamento non chirurgico più importante nella gestione dell’artrosi del ginocchio e dell’anca, non solo per l’effetto positivo sui sintomi articolari, ma anche perché una crescente evidenza scientifica dimostra come l’esercizio e l’attività fisica aiuti a prevenire almeno 35 condizioni croniche e migliorare i sintomi in altrettanti 26.

Fino a due pazienti su tre con artrosi a livello del ginocchio e dell’anca hanno una o più comorbidità, tra cui ipertensione, diabete di tipo 2 e depressione.  L’esercizio fisico per questi pazienti è cruciale per mantenere una buona salute generale.  

Negli ultimi 25 anni, sono stati segnalati più di 54 studi randomizzati controllati che valutano l’effetto dell’esercizio terapeutico nei pazienti con OA del ginocchio e più di 12 studi che valutano l’effetto dell’esercizio nei pazienti con OA dell’anca.

La conclusione è indiscutibile: il dolore e la funzione fisica sono migliorati in modo significativo a seguito di un programma di esercizi supervisionati in pazienti con osteoartrosi di anca e ginocchio.

Sulla base delle prove esistenti, l’esercizio terapeutico sembra produrre un maggior beneficio sia sul dolore che sulla funzione nei pazienti con artrosi di ginocchio rispetto ai pazienti con artrosi d’anca. Sebbene l’effetto del trattamento sia leggermente inferiore, l’esercizio svolto in acqua può rappresentare una valida alternativa, soprattutto se  il paziente non è in grado di eseguire gli esercizi a terra, a causa, ad esempio, di sintomi intollerabili dovuti al carico dell’articolazione e / o di grave obesità.

 

3.2 L’esercizio fisico: un vero antidolorifico nel paziente con artrosi, indipendentemente dalla gravità radiografica.

Gli effetti dell’esercizio terapeutico e della terapia fisica in generale non sono associati alla gravità radiografica dell’OA del ginocchio o al grado di dolore che i pazienti hanno sperimentato prima del trattamento.

La diagnosi moderna di osteoartrosi si basa su reperti clinici senza necessariamente includere prove radiografiche, e i reperti radiografici generalmente non modificano la gestione clinica iniziale del paziente.

Nei pazienti con artrosi di ginocchio o di anca da moderata a grave in attesa di sostituzione totale dell’articolazione (intervento di protesi), il 95% delle sessioni di esercizi sotto carico di un’ora due volte a settimana sono state eseguite con un  dolore niente più che accettabile.

Pertanto, il fisioterapista svolge un ruolo importante nello spiegare al paziente che la gravità dell’OA non ha alcun impatto clinico sul potenziale effetto che lui o lei può aspettarsi dal programma di esercizi.

I pazienti che si lamentano di un dolore intenso che impedisce loro di partecipare a un programma di esercizi possono beneficiare di farmaci analgesici, previa consultazione con il proprio medico di base. Una volta che i sintomi del paziente diminuiscono a seguito di un programma di esercizi, il paziente può interrompere o ridurre l’assunzione di analgesici farmacologici.

Nei pazienti con artrosi di ginocchio e di anca che iniziano ad allenarsi due volte alla settimana, le riacutizzazioni del dolore diminuiscono con il numero di sessioni di esercizio e scompaiono per la maggior parte dei pazienti dopo circa 5-6 settimane.

 

3.3 La supervisione e la dose sono importanti per aumentare gli effetti clinici dell’esercizio terapeutico.  

L’esercizio terapeutico supervisionato potrebbe aumentare ulteriormente gli effetti del trattamento, poiché un numero crescente di studi ha dimostrato che gli effetti di un programma di esercizi  possono variare notevolmente in base alle caratteristiche del singolo paziente.

La supervisione e la dose sono elementi essenziali e possono avere un grande impatto sull’effetto dell’esercizio terapeutico.

Un elemento a volte dimenticato è la necessità di progredire nel programma di esercizi. Quando i pazienti rispondono all’esercizio e migliorano la forza e la funzione muscolare, gli esercizi dovrebbero essere resi più difficili per garantire ulteriori guadagni nella funzione muscolare.

Questo è uno dei motivi per cui è necessaria la supervisione, poiché gli aggiustamenti individuali massimizzeranno i benefici del programma. Un altro tassello fondamentale è istruire e rassicurare il paziente se si verificano riacutizzazione del dolore. Il dolore durante l’esercizio e le riacutizzazioni del dolore indotte dall’esercizio fisico sono comuni, specialmente nella fase iniziale di un programma, tuttavia, un piano di esercizio personalizzato e progressivo è essenziale per massimizzare i risultati.

gli esercizi dovrebbero essere resi più difficili per garantire ulteriori guadagni nella funzione muscolare.

Inoltre, è importante considerare le preferenze del paziente per garantire la motivazione e l’aderenza a lungo termine.

Non è ancora possibile presentare raccomandazioni specifiche sulla dose di esercizio. Tuttavia, sembra che un minimo di 12 sedute supervisionate sia più efficace rispetto a meno di 12 sedute tra i pazienti con osteoartrosi di ginocchio.

Inoltre, gli studi sull’artrosi di ginocchio che seguono le raccomandazioni dell’American College of Sports Medicine (ACSM) sull’allenamento della forza forniscono risultati migliori rispetto ad un programma di esercizi che non segue queste raccomandazioni. Anche nell’OA dell’anca, il dolore e la funzione fisica sembrano migliorare di più se il programma di esercizi segue i criteri ACSM per l’allenamento della forza.

Sembra che un minimo di 12 sedute supervisionate sia più efficace rispetto a meno di 12 sedute tra i pazienti con osteoartrosi di ginocchio.

 

3.4 L’effetto combinato dell’esercizio terapeutico e di altre modalità di trattamento

L’esercizio terapeutico combinato con l’educazione del paziente sembra più efficace del solo programma di esercizi o della sola educazione del paziente nei pazienti con artrosi del ginocchio, ed il trattamento combinato è raccomandato anche per i pazienti con artrosi dell’anca sulla base dell’esistenti evidenze.

Un piano di trattamento combinato composto da esercizio e perdita di peso è anche più efficace nel migliorare il dolore e la funzione fisica nei pazienti con OA del ginocchio in sovrappeso rispetto all’esercizio e alla perdita di peso da soli.

L’esercizio terapeutico combinato con l’educazione del paziente sembra più efficace del solo programma di esercizi o della sola educazione del paziente nei pazienti con artrosi del ginocchio

Uno studio condotto su pazienti con OA di anca ha scoperto che un programma di esercizi combinato con l’ educazione del paziente potrebbe ridurre la sostituzione totale dell’anca del 44% rispetto a quei pazienti che hanno ricevuto solo l’educazione del paziente.

Sulla base delle evidenze presentate, l’esercizio combinato con altri trattamenti di tipo conservativo è efficace e può posticipare l’intervento chirurgico per un gran numero di pazienti con OA. Tuttavia, se un paziente alla fine decide di richiedere una sostituzione totale del ginocchio o dell’anca, il solo aver partecipato a un precedente programma di esercizi comporterà un recupero postoperatorio più rapido.

 

3.5Educazione del paziente

 L’effetto misurato immediatamente dopo un programma di esercizi sotto supervisione è favorevole, ma diminuisce nel tempo, per la scarsa aderenza al programma di esercizio e dai cambiamenti dello stile di vita.

La sola educazione del paziente può avere solo un piccolo effetto sul dolore e sulla funzione; tuttavia, l’educazione del paziente combinata con sessioni di follow-up dopo il completamento del programma, può essere la chiave per aumentare l’autoefficacia e mantenere la motivazione e l’adesione a un programma di esercizi e quindi mantenere i benefici nei pazienti con OA.

L’educazione del paziente dovrebbe includere informazioni su cause, fattori di rischio e meccanismi patologici, l’importanza dell’attività fisica e le conseguenze dell’inattività, trattamenti efficaci e inefficaci e strategie di coping.

Queste informazioni aiuteranno il paziente a comprendere come gestire il dolore e le riacutizzazioni del dolore indotte dall’esercizio e lo motiveranno all’esercizio e all’attività fisica per tutta la vita.

  1. Terapia utili nel paziente con artrosi

In accordo con le linee guida cliniche, i trattamenti supplementari non dovrebbero mai essere offerti come trattamenti autonomi, ma sempre combinati con un programma di esercizi, educazione del paziente e perdita di peso (se pertinente).

Il trattamento manuale sotto forma di mobilizzazione e manipolazione articolare sembra fornire un moderato beneficio per il dolore e la funzione nei pazienti con OA del ginocchio  e può essere considerato nel trattamento dell’OA dell’anca sulla base di studi precedenti.

I tutori di scarico per l’OA del ginocchio che spostano il carico dal compartimento mediale sembrano comportare miglioramenti da piccoli a moderati nel dolore e nella funzione nei pazienti con OA del ginocchio mediale.

Il trattamento manuale sotto forma di mobilizzazione e manipolazione articolare sembra fornire un moderato beneficio per il dolore e la funzione nei pazienti con OA del ginocchio  e può essere considerato nel trattamento dell’OA dell’anca sulla base di studi precedenti.

Tuttavia, la dimensione dell’effetto era piccola rispetto a un gruppo di controllo che utilizzava una ginocchiera neutra, una ginocchiera in neoprene o un rialzo nelle scarpe.  È importante sottolineare che la compliance variava dal 45% al ​​100% e fino al 25% dei pazienti ha riportato complicazioni con l’uso del tutore, tra cui scarsa vestibilità, gonfiore e irritazione della pelle, evidenziando l’importanza dell’adattamento individuale del tutore e della supervisione all’utilizzo, al fine di ottimizzare il potenziale di effetti clinici.

Un altro studio ha esaminato l’efficacia delle solette con un rialzo laterale nel trattamento del dolore mediale di ginocchio e non ha riscontrato alcun effetto significativo rispetto a una soletta neutra, probabilmente perché i plantari personalizzati richiedono aggiustamenti individuali o sono utili solo per alcuni sottogruppi di pazienti.

Altri approcci di trattamento passivo come il massaggio, la stimolazione elettrica neuromuscolare, la stimolazione elettrica transcutanea dei nervi (TENS), gli ultrasuoni e il laser non possono essere raccomandati come parte del piano di trattamento, sulla base dell’assenza di evidenze di supporto di alta qualità.

A Cura di:

GIONATA PROSPERI, FT, SPT, SM, VRS.

  • Certificazione In Terapia Manuale nelle cefalee, emicrania;
  • Sport Physical Therapy;
  • Master in Terapia Manuale Osteopatica – Spagna
  • Student Master od Advanced Studies in Fisioterapia Muscolo Scheletrica Supsi – Svizzera
  • Certification in Spinal Manipulative Therapy Student – USA;
  • Fisioterapista dei disturbi dell’articolazione Temporo – Mandibolare;
  • Fisioterapista dei Disturbi Vestibolari – American Muscoloskeletal Institute;
  • C.E.O. della Fisioterapia Vertebrale di Massa;