ARTROSI DEL GINOCCHIO

CENNI DI ANATOMIA DEL GINOCCHIO

L’anatomia del ginocchio è formata da:

  • Femore – è l’osso della gamba, situato nella coscia, che costituisce anche parte dell’anca e del ginocchio. È l’osso più lungo e voluminoso del corpo.
  • Tibia – è un osso voluminoso posto nella parte inferiore della gamba.
  • Perone – è un osso lungo e sottile della gamba, situato parallelamente e lateralmente alla tibia, con cui si articola alle estremità superiore e inferiore.
  • Rotula o patella – è situata nella parte anteriore dell’articolazione del ginocchio, davanti al femore e alla tibia. Quando il ginocchio si muove, la rotula scivola all’interno di una scanalatura.

Le ossa sono connesse alle altre ossa dai legamenti. Ci sono quattro legamenti principali nel tuo ginocchio: legamento collaterale mediale, legamento collaterale laterale,il legamento crociato anteriore e posteriore. I legamenti agiscono come delle corde resistenti per mantenere unite insieme le ossa e per rendere il tuo ginocchio stabile. 


COS’È L’ARTROSI AL GINOCCHIO

Per osteoartrosi (OA) s’intende un gruppo eterogeneo di condizioni che porta a segni e sintomi articolari che sono associati a degenerazione della cartilagine, oltre a modifiche dell’osso subcondrale e del margine articolare. Infatti circa il 90% di persone con OA sintomatica e radiografica avanzata, hanno una lesione meniscale.

L’incidenza standardizzata per età e sesso di OA della mano è di 100/100.000 per anno, OA dell’anca è di 88/100.000 per anno e OA del ginocchio è di 240/100.000 per anno.

CAUSE DELL’ARTROSI AL GINOCCHIO

È stata superata la teoria per cui solamente l’usura portasse artrosi, ma quest’ultima è un processo dinamico, metabolicamente attivo, scatenato da differenti insulti, con processi infiammatori recidivanti (sinoviti).
Esistono diversi tipi di cause:

  1. fattori meccanici: traumi, interventi chirurgici, fratture del plafond tibiale, instabilità meccanica di caviglia e la cartilagine matura ha minori capacità di adattamento e subire alterazioni biomeccaniche;
  2. fattori sistemici e congeniti: fattori genetici non sono ancora chiari; obesità correla con OA di anca, ginocchio e mano; associazione tra OA e patologie sistemiche: insulino-resistenza, diabete di tipo II e patologie cardio-vascolari.

I principali fattori di rischio sono:

−  Lesioni articolari al ginocchio che aumentano il rischio di 4 volte;

−  Presenza di varismo o valgismo di ginocchio che aumenta il rischio sul lato maggiormente

sottoposto al carico;

−  Oltre 1 cm di eterometria determina rischio doppio di sviluppare OA alla gamba più corta;

−  Accovacciarsi e inginocchiarsi;

−  Lesione meniscale isolata o lesione del LCA è associata a un incremento di 10 volte di

sviluppo di OA in soggetti sani della stessa età;

−  Deficit di forza del quadricipite può aumentare il rischio di OA al ginocchio.

Nonostante una forte associazione con questi fattori, molti soggetti con alterazioni biomeccaniche non svilupperanno artrosi, questo dipende dalla suscettibilità del soggetto:

  • Sesso Femminile
  • età
  • fattori genetici ma non determinanti;
  • Obesità aumenta il rischio di OA, più di 3 volte, ne accelera la progressione non solo per il carico ma per le adipochine infiammatorie 


CLASSIFICAZIONE

La diagnosi di osteoartrosi (OA) è generalmente basata sulla combinazione di caratteristiche cliniche e, dove necessario, di una conferma radiografica (riferita ad una OA sintomatica) che porta alla compilazione della “Kellegren-Lawrence grading scale”, la quale suddivide in 4 stadi la progressione dell’artrosi.

 

Però nella pratica clinica l’esame radiografico non è sensibile nell’identificazione delle alterazioni artrosiche strutturali indipendentemente dal dolore. Inoltre la RM permette di identificare segni artrosici degenerativi precoci rispetto all’RX: il 90% dei soggetti con età > 50 aa, pur avendo una Kellgren-Lawrence al grado 0, mostra nel 74% dei casi la presenza di osteofiti. La diagnosi solo radiografica evidenzia un 50% di pazienti asintomatici e senza disabilità. Quindi la rilevanza clinica delle alterazioni radiografiche non è chiara, può essere utile nell’identificare popolazioni a rischio.

Si può parlare quindi di:

−  artrosi radiografica: dove si ha una prevalenza correlata all’età osservabile tramite RX o RMN. Molte volte osservata negli esami strumentali in quadri asintomatici, non determina sempre dolore o disabilità.

−  artrosi clinicamente rilevante: associata a dolore e disabilità, può essere molto invalidante, limita la qualità della vita e in fase avanzata la sintomatologia è presente a riposo e notturna. 


DIFFERENZA TRA ARTROSI E ARTRITE

L’artrite si manifesta con l’infiammazione articolare caratterizzata da gonfiore, tumefazione, arrossamento, rigidità, aumento della temperatura nell’area colpita e dolori che comportano anche la perdita della capacità motoria delle articolazioni interessate. Le forme più severe possono deformare le articolazioni, compromettendo la capacità di svolgere anche i più semplici compiti quotidiani. Possono esserne colpite persone di ogni età e con il passare degli anni l’infiammazione tende a peggiorare se non riconosciuta e curata adeguatamente. Esistono diversi tipi di artrite, tra cui l’artrite reumatoide (anche nella forma giovanile), la gotta, e l’artrite nell’ambito di malattie del connettivo quali il lupus eritematoso sistemico.

L‘artrosi, a differenza dell’artrite, non è una malattia infiammatoria, ma una forma degenerativa cronica. Colpisce soprattutto le persone più avanti con gli anni perché è connessa all’usura delle articolazioni.


LA DIAGNOSI E I SINTOMI DELL’ARTROSI AL GINOCCHIO

I criteri diagnostici per osteoartrosi di ginocchio sono dolore al ginocchio e almeno 3 su 6 delle seguenti

−  Età > 50 anni;

−  Rigidità mattutina;

−  Crepitii al movimento;

−  Dolenzia alla palpazione ossea;

−  Allargamento osseo;

−  Assenza di calore alla palpazione.


TRATTAMENTO DELL’ARTROSI AL GINOCCHIO

L’esercizio, l’educazione del paziente e la perdita di peso rappresentano il trattamento di prima scelta raccomandato nelle linee guida per il trattamento dell’artrosi. Tuttavia, se l’educazione del paziente e l’esercizio terapeutico non riuscissero a migliorare il dolore e la funzione di questa articolazione, il fisioterapista piò offrire trattamenti supplementari come la terapia manuale.  

La Terapia Manuale (manipolazioni, mobilizzazioni, tecniche sui tessuti molli e sui trigger points) riduce il dolore e aumenta il ROM (range di mobilità articolare) solo nel breve termine ed è consigliata in artrosi da lieve a moderata con ROM ridotto e presenza di dolore. L’esercizio terapeutico è il trattamento non chirurgico più importante nella gestione dell’artrosi del ginocchio. Sulla base delle evidenze attuali in letteratura, l’esercizio combinato con altri trattamenti di tipo conservativo è efficace e può posticipare l’intervento chirurgico per un gran numero di pazienti con artrosi. Tuttavia, se un paziente alla fine decide di richiedere una sostituzione totale del ginocchio, il solo aver partecipato a un precedente programma di esercizi comporterà un recupero postoperatorio più rapido.

ARTROSI CERVICALE SINTOMI E RIMEDI

ARTROSI CERVICALE SINTOMI E RIMEDI

CAUSE ARTROSI CERVICALE

L’artrosi cervicale è una patologia degenerativa che colpisce il tratto cervicale della colonna vertebrale e che quindi si presenta in età avanzata, dai 60 anni in su.

La maggior parte della popolazione affetta da artrosi cervicale non si accorge di averla in quanto spesso non presenta sintomi dolorosi o significativi. Tuttavia quando si manifestano possono portare a:

  • Dolore: presente prevalentemente durante il movimento
  • rigidità: presente prevalentemente al risveglio o dopo un periodo di inattività
  • cefalea
  • vertigini
  • brachialgie: caratterizzate da dolore irradiato agli arti superiori che può essere o meno associato disestesie (bruciore, ipersensibilità, dolore), ipoestesia (riduzione della sensibilità), parestesie (formicolio)

L’artrosi cervicale nella maggior parte dei casi si manifesta in seguito ad una degenerazione della cartilagine delle vertebre cervicali.

Le cause possono essere molteplici:

  • Lesioni pregresse o usura: movimenti ripetitivi dovuti a una particolare occupazione o ad un’attività ripetitiva possono provocare un’usura precoce. Inoltre aver subito danni a livello cervicale (ad esempio lesioni legamentose in seguito a un colpo di frusta in auto), può accelerare il processo di invecchiamento.
  • Formazione di osteofiti: che possono determinare rigidità e in alcuni casi creare compressione del circolo sanguigno
  • Ernia cervicale
  • Disidratazione del disco
  • Rigidità legamentosa: I legamenti sono cordoni fibrosi che collegano tra loro le ossa vertebrali. Possono irrigidirsi nel tempo, influenzando il movimento del collo e rendendolo meno mobile.

I fattori di rischio per artrosi cervicale sono molteplici, alcuni di questi modificabili da uno stile di vita sano altri invece innati; vediamo quali sono:

  • Età
  • Lesioni pregresse a livello cervicale
  • Attività lavorative che prevedono il trasporto di carichi pesanti e movimenti ripetuti nel tempo.
  • Alcune tipologie di sport: ginnastica, arti marziali, pugilato ecc.
  • Fattori genetici (storia familiare)
  • Fumo
  • Essere in sovrappeso
  • Vita sedentaria

 

ARTROSI CERVICALE E SINTOMI NEUROLOGICI:

Tra le varie sintomatologie provocate dall’artrosi cervicale ci sono i sintomi neurologici

Il dolore neurogenico è un dolore che si irradia verso gli arti superiori ed è percepito nella regione innervata dal nervo che in quel momento risulta essere l’origine della fonte del dolore.

La causa è la stimolazione del nervo stesso o della radice nervosa a livello cervicale.

Il dolore può determinare la così chiamata brachialgia con dolore radicolare a livello degli arti superiori; si manifesta con:

  • dolore lancinante
  • fitta dolorosa
  • dolore superficiale e profondo
  • generalmente avvertito lungo una striscia ristretta.

Associato a questo è spesso presente una riduzione di forza di quei muscoli innervati dal nervo in questione e/o associato a riduzione o alterazione della sensibilità nell’area di innervazione nervosa.

Quali cure per il dolore da artrosi cervicale?

Terapia manuale, esercizio terapeutico e prevenzione ed educazione sono i migliori candidati che possono aiutarti a combattere il dolore da artrosi cervicale.

 

Studi dimostrano che l’esercizio terapeutico aiuta i pazienti con artrosi cervicale sia a breve che a lungo termine.

Il trattamento dovrebbe iniziare il prima possibile (infatti l’alterazione della funzione muscolare inizia generalmente in maniera precoce in seguito all’insorgenza del dolore);

L’esercizio terapeutico proposto è libero dal dolore e ha una intensità e dosaggio variabile in base al tipo di dolore e al paziente in questione.

 

Ricorda però: l’esercizio da una risposta se fatto per almeno 12 settimane consecutive; si parla quindi di circa 3- 4 mesi almeno

 

E la terapia manuale a cosa serve? Gli effetti della terapia manuale sul dolore cervicale sono molteplici e riassumibili in:

  • aumenta la soglia del dolore e agisce sui meccanismi centrali del dolore (iperalgesia secondaria)
  • migliora la mobilità della colonna cervicale

ARTROSI CERVICALE E VERTIGINI

Non Raramente chi soffre di dolore da artrosi cervicale sperimenta una sensazione di disequilibrio, giramento di testa, definito vertigine;

La vertigine cervicogenica è un disturbo piuttosto comune (prevalenza che varia dal 2% al 30-40%).

Circa il 30% delle persone sopra i 65 anni sperimenta questo sintomo e il 39% di queste ha cadute accidentali per tale causa.

Ma che cosa è la vertigine cervicogenica? Viene definita come una sensazione non specifica di alterato orientamento nello spazio, disequilibrio ed instabilità dovute ad anormali input afferenziali ai nuclei vestibolari provenienti da recettori articolari o muscolari danneggiati nel rachide cervicale superiore

Come viene diagnosticata? Attraverso test specifici, sintomi riferiti e storia clinica del paziente, il fisioterapista può escludere patologie più gravi e arrivare alla diagnosi fisioterapica di vertigine cervicogenica.

Una volta raggiunta tale diagnosi il trattamento che ne segue è basato sull’esercizio terapeutico specifico associato a un trattamento di terapia manuale a livello cervicale.

 

ARTROSI CERVICALE E MAL DI TESTA.

In alcuni cani artrosi cervicale può comportare anche mal di testa.

Esistono diverse tipologie di mal di testa e quella provocata da artrosi cervicale viene definita come cefalea cervicogenica. 

Per cefalea cervicogenica infatti si intende infatti un dolore causato da patologie del rachide cervicale (tessuto osseo, disco e /o tessuti molli), solitamente, ma non necessariamente accompagnato da dolore cervicale

Questo tipo di mal di testa è accompagnato da una ridotta motilità del collo soprattutto in flessione e rotazione, posizione protratta del capo, disfunzioni di movimento e compromissione della funzione neuro-muscolare.

La cefalea cervicogenica è caratterizzata da dolore di natura non pulsante, non lancinante, ma di intensità moderata;

solitamente ha una durata che varia da ore ad alcune settimane e tende a cronicizzarsi nel tempo;

 

 

Cosa può fare il fisioterapista?

Dopo un’attenta valutazione del paziente il trattamento sarà diretto a ciò che emerge ma comunque basato su terapia manuale ed esercizio terapeutico specifico che sono considerati i trattamenti d’eccellenza per questo tipo di problematiche.

 

Come forse hai capito leggendo l’articolo la fisioterapia può aiutarti a prevenire e curare il tuo dolore cervicale attraverso valutazioni trattamenti manuali ed esercizio specifico per la tua problematica.

ARTROSI DELLE MANI

ARTROSI DELLE MANI

CHE COSA È L’ARTROSI?

L’artrosi (OA- Osteoartrosi) è una delle più comuni malattie degenerative che colpisce le articolazioni.

È una malattia articolare conseguente ad una perdita di integrità della cartilagine in associazione ad una correlata modificazione del tessuto osseo sub-condrale e delle strutture articolari adiacenti (sinovia, capsula, legamenti, menischi).

Normalmente la funzione articolare dipende da vari fattori

  • Geometria dei capi articolari;
  • Caratteristiche biomeccaniche
  • Anatomia dell’apparato capsulo legamentoso.

Se per qualche motivo, uno di questi elementi non “funziona” correttamente, l’articolazione può andare incontro al processo artrosico determinando quindi Osteoartrosi.

Oltre a ciò ci sono poi fattori di rischio modificabili e non che possono ulteriormente innescare questo processo ad esempio: ereditarietà, età, obesità, sesso femminile, ipermobilità articolare, fumo, traumi, patologie articolari pre-esistenti.

CHE COSA È L’ARTROSI DELLA MANO?

Una delle articolazioni maggiormente colpite dall’artrosi è la mano.

Nota come osteoartrite delle mani, l’artrosi alla mano è una delle malattie più frequenti, soprattutto tra persone di età avanzata e di sesso femminile.

CENNI DI ANATOMIA DELLA MANO

La mano è costituita da 27 ossa articolate tra loro, che permettono un numero svariato di movimenti che normalmente tutti noi facciamo durante le nostre giornate.

Le ossa della mano possono essere suddivise in tre categorie

  • Ossa carpali (ossia del carpo), che comprendono due fila di ossa: scafoide, semilunare, piramidale, pisiforme, trapezio, trapezoide, capitato, uncinato
  • Ossa metacarpali che sono i 5 metacarpi che si articolano con il carpo e con le falangi
  • Falangi: dalla prima alla quinta suddivise in falange prossimale, media e distale.

QUALI SONO LE ARTICOLAZIONI PIU’ A RISCHIO?

L’artrosi delle mani colpisce con maggior frequenza alcune articolazioni rispetto ad altre:

  • L’articolazione Radio-Carpica (a livello del polso)
  • L’articolazione Carpo metacarpo (a livello del primo dito)
  • Le articolazioni interfalangee prossimali
  • Le articolazioni interfalangee distali

COSA SI INTENDE PER RIZOARTROSI?

La rizoartrosi è la più comune patologia ossea che colpisce la mano; rappresenta circa il 10% delle localizzazioni artrosiche e colpisce prevalentemente le donne.

Interessa l’articolazione Trapezio-Metacarpica a livello del primo dito.

QUALI SONO I SINTOMI?

Determina:

  • Dolore in corrispondenza dell’articolazione,
  • articolazione gonfia, tumefatta;
  • riduzione della mobilità articolare sia attivo che passivo
  • crepitio (rumori articolari)
  • riduzione della forza
  • incapacità di eseguire gesti semplici con/senza dolore ad esempio: aprire/chiudere barattoli , avvicinare il primo dito al secondo creando un movimento di pinza.

QUALI SONO LE CAUSE DI RIZOARTROSI?

L’eziopatogenesi, è multifattoriale e ad oggi ci sono numerose teorie che possono essere riassunte in:

Teoria dello stress ripetitivo: per cui movimenti ripetitivi che possono determinare un aumento di forze di taglio sull’articolazione e portare a uno squilibrio articolare

Teoria Muscolare: per cui alcuni muscoli che dovrebbero attivarsi per far lavorare correttamente l’articolazione non si attivano oppure sono troppo deboli e altri che invece non dovrebbero attivarsi, sono iperattivi.

In ogni caso sappiamo che esistono vari stadi di rizoartrosi, ovviamente non ci si sveglia dal giorno alla notte con articolazione rigida, gonfia e dolente.

Esistono diversi stadi della patologia; secondo la classificazione di EATON la patologia si evolve in 4 fasi

  • 1 stadio secondo eaton: reperti radiografici normali o presenza di aumentato spazio articolare aumentato per sinovite; dal punto di bista clinico è presente dolore solo al movimento, nessuna deformazione e presenza di lassità articolare.
  • 2 stadio secondo eaton: presenza di restringimento dello spazio cartilagineo e/o presenza di osteofiti; dal punto di vista clinico è presente dolore.
  • 3 stadio secondo eaton: presenza di restringimento dello spazio casrtilagineo, presenza di osteofiti e modificazione della struttura ossea dell’articolazione trapezio-scafoidea. Dal punto di vista clinico è presente dolore e inizio di deformazione
  • 4 stadio secondo eaton: presenza di artrosi, deformazione articolare e dolore sia nel movimento che da fermo.

 

QUALI SONO I RIMEDI E COSA PUO’ FARE LA FISIOTERAPIA?

La Rizoartrosi è una patologia degenerativa che non è possibile arrestare, bensì rallentare attraverso un buon programma di fisioterapia.

 

L’approccio terapeutico è così formato

      Terapia farmacologica

                              eduzione del paziente

                                          fisioterapia (terapia manuale ed esercizi)

                                                      Tutori                      

                                                                  Chirurgia (se l’approccio conservativo fallisce)                                         

 

Le linee guida europee confermano che i trattamenti conservativi garantiscono una soddisfacente efficacia in termini di riduzione del dolore, incremento della forza e funzionalità della mano, entro sei settimane.

L’assenza di qualsiasi miglioramento clinico dopo sei settimane di trattamento, potrebbe far prendere in considerazione altre strategie, in ultimo la chirurgia.

L’approccio fisioterapico è basato su mobilizzazioni passive/ attive o attive assistite dell’articolazione trapezio-meta-carpica eventualmente associato a mobilizzazione del nervo (radiale). Oltre a ciò, il trattamento prosegue con esercizi funzionali attivi mirati al rinforzo di quei muscoli che “proteggono” l’articolazione e, in particolare parliamo di muscolo opponente del pollice, abduttore breve del pollice, primo interosseo dorsale.

ARTROSI DELL’ANCA

ARTROSI DELL’ANCA

CENNI DI ANATOMIA DELL’ANCA

L’articolazione dell’anca è formata dall’unione tra le ossa pelviche e il femore. Nella porzione del femore che incontra il bacino, il femore ha la forma di una sfera che prende il nome di testa del femore. Questa sfera del femore si inserisce in un foro che esiste nel bacino, in modo tale da formare un ingranaggio perfetto che consente all’anca di muoversi in diverse direzioni.

Sia la testa del femore che la cavità acetabolare (il bacino) in cui è articolato sono ricoperti di cartilagine, che è il tessuto che facilita il movimento tra le ossa e impedisce loro di sfregare direttamente osso contro osso.

 

COS’E’ L’ARTROSI D’ANCA?

Nel corso degli anni, a causa della progressiva usura di questa cartilagine, essa perde spessore e consistenza e addirittura scompare.. Questo dà luogo alla perdita dell’ingranaggio corretto tra testa del femore e bacino, che è proprio ciò che produce i sintomi dell’artrosi dell’anca.

L’artrosi dell’anca è una patologia comune che comporta forme di disabilità e necessità di cure che influiscono sulla qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie, e in generale dell’intera società. 

Va considerato come tale patologia degenerativa articolare sia in aumento al crescere dell’aspettativa di vita e dei traumi muscoloscheletrici, quest’ultimi responsabili di forme secondarie di artrosi. 

L’artrosi dell’anca, chiamata anche coxartrosi, è una malattia dell’articolazione dell’anca. 

Il materiale cartilagineo protettivo si deteriora sia a livello della testa del femore e sia a livello della cavità acetabolare. Le conseguenze sono chiare, ovvero si manifestano inizialmente come lievi restrizioni di movimento, che possono successivamente peggiorare e causare forti dolori.

Le cause dell’artrosi dell’anca sono estremamente diverse e di solito sono dovute a una combinazione di diversi fattori . Tuttavia, il fattore comune è un disturbo metabolico nella cartilagine. I processi di degradazione della cartilagine predominano e portano gradualmente a un’esposizione dell’osso. Se un osso sfrega contro un altro, il corpo reagisce producendo materiale osseo per contrastare la rottura. Ciò causa deformità ossea e conseguenti limitazioni nella mobilità e dolore.

I seguenti fattori possono favorire lo sviluppo dell’artrosi dell’anca o sono la causa dell’artrosi dell’anca:

  • Predisposizione genetica
  • Usura legata all’età
  • Problemi di allineamento dell’anca
  • Malattie dell’anca
  • Obesità grave
  • Sforzo fisico pesante
  • Sport
  • Lesioni
  • Conflitto dell’anca

QUALI SONO I SINTOMI DELL’ARTROSI D’ANCA?

Nella maggior parte dei casi, l’artrosi dell’anca provoca dolore e limitazione nei movimenti,  con perdita graduale dell’intra-rotazione. Nelle prime fasi della malattia, tuttavia, potrebbero non esserci sintomi evidenti. Le persone colpite di solito sentono solo un leggero dolore quando camminano o si alzano da una posizione seduta. Questi disturbi spesso scompaiono da soli dopo poco tempo. Con il progredire della malattia, il dolore si diffonde, a volte fino alle ginocchia, e movimenti come piegarsi in avanti, allacciarsi le scarpe o semplicemente salire le scale diventano più difficili per via del dolore. 

L’artrosi dell’anca in rapida progressione significa che tutto il materiale cartilagineo si deteriorerà nel prossimo futuro. Le estremità ossee non protette si sfregheranno l’una contro l’altra. Questo di solito causa gravi limitazioni del movimento e forte dolore.

La rottura del materiale cartilagineo dovuta all’artrosi non può essere fermata. Tuttavia, la riduzione del peso corporeo ed il seguire uno stile di vita attivo può aiutare a rinforzare i muscoli ed evitare l’instaurarsi di ulteriori restrizioni di movimento.

I principali sintomi dell’artrosi d’anca sono:

  • Dolore inguinale;
  • Dolore che si irradia anteriormente alla coscia;
  • Dolore lateralmente all’anca, nella zona del gran trocantere;
  • Limitazione dei movimenti;
  • Difficoltà a flettere l’anca;
  • Dolore durante le attività;

QUAL’ È IL DECORSO DI QUESTA PATOLOGIA?

Particolare attenzione è rivolta alle dimensioni dello spazio articolare.

 Più piccolo è lo spazio articolare, più avanzata è l’artrosi dell’anca. Le radiografie possono anche rilevare una deformazione (osteofiti) nelle superfici articolari. In rari casi, per una diagnosi più precisa può essere utilizzata la TAC e la RMN.

Le analisi del sangue possono inoltre aiutare a distinguere tra artrosi ed artrite.

L’artrosi può essere classificata mediante esami diagnostici radiologici e suddivisa in 5 gradi secondo Kellgren e Lawrence.

Grado 0: nessun segno di artrosi

Grado 1: restringimento minore dello spazio articolare

Grado 2: minore restringimento dello spazio articolare e leggere irregolarità nella superficie articolare

Grado 3: restringimento pronunciato dello spazio articolare e irregolarità sostanziali nella superficie articolare

Grado 4: restringimento pronunciato dello spazio articolare e deformazione/necrosi (morte delle cellule ossee) nelle parti articolari.

 

IN CHE COSA CONSISTE IL TRATTAMENTO FISIOTERAPICO PER L’ARTROSI D’ANCA?

Inizialmente, il trattamento dell’artrosi dell’anca è solitamente di tipo conservativo, a seconda dello stadio della malattia. Questo trattamento conservativo prevede principalmente la fisioterapia e l’esercizio terapeutico per rinforzare i muscoli dell’articolazione dell’anca. Esercizi mirati possono anche migliorare la mobilità e l’equilibrio, e quindi rallentare il progresso dell’artrosi e alleviare il dolore. 

Il trattamento farmacologico con antidolorifici antinfiammatori può essere utilizzato anche per alleviare il dolore.

Gli sport non dovrebbero essere evitati per paura del deterioramento. L’attività fisica regolare favorisce la circolazione sanguigna e migliora la mobilità articolare, contribuendo così al miglioramento del paziente. Tuttavia, è necessario fare attenzione a scegliere gli sport che non espongano l’articolazione dell’anca a uno stress eccessivo. 

Tuttavia, se la quantità di cartilagine dell’articolazione dell’anca è già diminuita in modo significativo, l’ intervento chirurgico è un altro modo per rallentare la progressione dell’artrosi dell’anca e per contrastarne efficacemente i sintomi. L’ intervento di protesi d’anca  è una procedura seria e dovrebbe essere presa in considerazione solo se la terapia conservativa non ha avuto successo e il dolore è persistente e molto grave. Gli interventi chirurgici sotto forma di procedure minimamente invasive, come l’artroscopia dell’anca, possono aiutare a risolvere i sintomi già in una fase iniziale dell’artrosi dell’anca.

 

La terapia chirurgica con sostituzione protesica è, tuttavia, una scelta da condividere con il paziente basata sul dolore e sulla limitazione funzionale, tenendo sempre presente la migliore tecnologia e la possibilità di un accesso chirurgico meno invasivo.

ARTROSI DELLA SPALLA

ARTROSI DELLA SPALLA

FINALMENTE LIBERI DAL DOLORE GRAZIE AI NOSTRI TRATTAMENTI PERSONALIZZATI

Indossare una giacca, lavarsi i capelli, raggiungere uno scaffale alto… quando ogni movimento del braccio provoca un lampo di dolore nella regione della spalla, la vita di tutti i giorni diventa difficile. La colpa è dell’usura della spalla (artrosi).

Esistono diversi modi per trattare efficacemente l’artrosi della spalla. I nostri fisioterapisti altamente specializzati sull’artrosi possiedono diversi anni di esperienza e concetti per trattamenti altamente personalizzati.

COS’È L’ARTROSI?

L’artrosi è il termine medico per indicare l’usura cronica e lentamente progressiva di un’articolazione. Si distingue una forma primaria e secondaria. 

L’artrosi primaria è la più frequente. La causa di questa forma di artrosi della spalla è il danno alla cartilagine articolare. Ciò fa sì che i processi di costruzione e degradazione della cartilagine perdano l’equilibrio che si traduce in una perdita dello strato protettivo della cartilagine. Di conseguenza, l’usura si espande all’osso, alla capsula articolare e ai tendini circostanti. Questo provoca lo sviluppo del dolore. Se non trattata, l’artrosi provoca una deformazione ossea nell’articolazione e, di conseguenza, limitazioni alla mobilità meccanica. Di solito, la predisposizione e/o l’abuso sono responsabili dell’artrosi. In questi casi l’artrosi della spalla si verifica spesso senza una causa rilevabile. 

La forma secondaria di artrosi non è necessariamente correlata all’età. Più frequentemente, sono la diretta conseguenza di danni ai tendini (lesioni a carico della cuffia dei rotatori) o di incidenti passati con conseguente frattura di spalla. 

Altre forme di artrosi secondaria si sviluppano se c’è un’instabilità cronica nell’articolazione della spalla dovuta a lussazioni ricorrenti. Le malattie infiammatorie croniche, ad esempio i reumatismi, possono causare forme caratteristiche di artrosi. Nelle forme più rare, l’artrosi è causata da un problema di circolazione nella testa omerale (necrosi della testa omerale). Questo può anche svilupparsi dopo incidenti o a causa dell’assunzione di determinati farmaci, ad esempio i farmaci chemioterapici. 

CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA SPALLA

La tua spalla è composta da tre ossa:

  • Osso del braccio superiore (omero);
  • Scapola;
  • Clavicola

La testa dell’osso del braccio si inserisce nella cavità glenoidea della scapola. Una combinazione di muscoli e tendini mantiene la testa dell’omero ben centrato in questa cavità. Questi tessuti sono chiamati muscoli della cuffia dei rotatori.

Ci sono due articolazioni nella spalla, ed entrambe possono essere colpite da artrosi. Un’articolazione si trova dove la clavicola incontra la punta della scapola (acromion).  Questa è chiamata articolazione acromioclavicolare (AC). Il secondo è dove la testa dell’omero si inserisce nella scapola ed è chiamata articolazione gleno-omerale.

In realtà quando parliamo di spalla dobbiamo considerare che essa è composta, in realtà, da 5 articolazioni ben sincronizzate. Tuttavia, solo 3 articolazioni vengono considerate “vere articolazioni”, ovvero articolazione gleno-omerale, acromion-clavicolare e sterno-clavicolare.

La spalla possiede, inoltre, diverse altre strutture importanti:

  • La cuffia dei rotatori, ovvero un insieme di muscoli e tendini che circondano la spalla, dandogli supporto e consentendo un’ampia gamma di movimenti.
  • E le borse, ovvero piccole sacche di liquido che ammortizzano e proteggono i tendini della cuffia dei rotatori. 

COSA È L’ARTROSI DELLA SPALLA?

L’articolazione gleno-omerale può subire molti cambiamenti con l’artrosi. Queste modifiche includono:

  • Cartilagine danneggiata: Una cartilagine articolare forte e scivolosa riveste la superficie della testa omerale e della glenoide nelle aree in cui si incontrano. La cartilagine aiuta le ossa a scivolare l’una contro l’altra e funge da cuscinetto per proteggere le ossa dall’urto reciproco. Tuttavia, la cartilagine articolare è naturalmente più sottile nell’articolazione della spalla rispetto alle articolazioni portanti come le ginocchia e le anche. Con l’artrosi, la cartilagine è danneggiata, consumata o degradata e di conseguenza può influenzare negativamente la biomeccanica della spalla con conseguente dolore e riduzione della funzionalità.
  • Speroni ossei e altra crescita ossea in eccesso
    Per compensare la cartilagine deteriorata, l’omero e la glenoide possono produrre cellule in eccesso, con conseguente formazioni di osteofiti o speroni ossei.   Questi cambiamenti ossei possono provocare ancora più attrito e ridurre ulteriormente il range di movimento.
  • Sinoviti: una membrana delicata che circonda l’articolazione della spalla, chiamata sinovia, può infiammarsi con l’osteoartrosi. La sinovia produce e contiene fluido articolare, che fornisce nutrienti all’articolazione. Una sinovia infiammata diventa più spessa e la quantità e la composizione del fluido articolare che produce possono cambiare. Questa condizione potenzialmente dolorosa è chiamata sinovite
  • Tendiniti
    Quando l’artrosi colpisce la meccanica della spalla, possono essere interessati anche i tessuti molli circostanti. Tendini, legamenti e borse possono subire sforzi e attriti eccessivi con conseguente infiammazioni e lesioni. Ad esempio, quando la cartilagine dell’articolazione gleno-omerale si deteriora, lo spazio articolare tra le ossa si restringe, mettendo a dura prova i tendini circostanti.

QUALI SONO I SINTOMI DELL’ARTROSI DI SPALLA?

Principalmente il paziente con artrosi di spalla severa si lamenta del dolore e di una mobilità ridotta nelle attività di vita quotidiana. Spesso non c’è un trauma concreto per il dolore improvviso, mentre ripetuti sforzi quotidiani accompagnati da una biomeccanica alterata possono essere responsabili della artrosi. Se quest’ultima progredisce il dolore può manifestarsi anche a riposo, in particolare durante la notte.

Spesso i nostri pazienti si lamentano del dolore durante alcuni movimenti della vita quotidiana, come il semplice togliersi una maglia oppure allungare il braccio per fare retromarcia. A seconda dello stadio e della progressione dell’artrosi si possono sviluppare ulteriori restrizioni di movimento ed una perdita graduale della forza.

COME VIENE DIAGNOSTICATA L’ARTROSI DELLA SPALLA?

Per diagnosticare con precisione l’artrosi gleno-omerale, il fisioterapista intervisterà il paziente, condurrà un esame fisico e, se necessario, ordinerà una Rx o risonanza magnetica. Questo processo diagnostico può aiutare a escludere altre potenziali fonti di dolore alla spalla, come la borsite della spalla, il conflitto della spalla, la spalla congelata e le lesioni della cuffia dei rotatori.

IN CHE COSA CONSISTE IL TRATTAMENTO PER L’ARTROSI DI SPALLA?

Se una persona risponde bene al trattamento non chirurgico per l’artrosi della spalla, il processo artrosico può essere rallentato, il dolore può essere controllato e l’intervento chirurgico può essere evitato o almeno posticipato.

Le nostre principali armi per contrastare l’artrosi di spalla e migliorare il dolore, la forza e la funzionalità della spalla sono le seguenti:

  • Terapia manuale;
  • Educazione;
  • Mobilizzazioni articolare;
  • Esercizio terapeutico e programmi di ri – allenamento;
  • Esercizi di stretching e di rinforzo;
  • Terapia aggiuntive come tecar terapia e laser terapia;

 

LA PROTESI PER L’ARTROSI DI SPALLA

Quando le opzioni di trattamento non chirurgico sono state esaurite e non hanno portato a risultati sperati ai pazienti con artrosi di spalla da moderata a grave potrebbe essere consigliato di prendere in considerazione l’intervento chirurgico. Nei soggetti anziani, con con artrosi severa, in genere si consiglia la sostituzione della spalla. Questo intervento sostituisce l’articolazione gleno-omerale sferica con una artificiale. Consiste nel tagliare le estremità artrosiche dell’omero e della glenoide (alveolo della spalla) e sostituirle entrambe con delle protesi.

La sostituzione della spalla è un intervento chirurgico importante che richiede un lungo processo di recupero e riabilitazione. La terapia fisica è necessaria per rinforzare i muscoli della spalla ed evitare la formazione di tessuto cicatriziale. 

 

LA RIABILITAZIONE DOPO LA PROTESI DI SPALLA

La riabilitazione nel paziente protesico inizia ancor prima dell’intervento chirurgico. Questo percorso fisioterapico migliorerà quello che saranno gli outcome, ovvero i risultati, nel lungo termine, dopo l’intervento chirurgico.

In questa fase il paziente verrà istruito su quali sono gli esercizi da compiere dopo l’intervento chiurgico, con lo scopo di rinforzare i muscoli e migliorare la mobilità articolare, ma anche istruendo il paziente sui movimenti da evitare per evitare complicanze.

A seguito dell’intervento chirurgico, la fisioterapia andrà iniziata dopo diverse settimane, su indicazioni del chirurgico. Si tratta di un percorso duraturo, centrato sul paziente, con lo scopo di:

  • Favorire la guarigione dei tessuti;
  • Recuperare la funzionalità della spalla;
  • Prevenire complicanze.

Running e fascite plantare L’importanza della fisioterapia nello sport più praticato di sempre

Running e fascite plantare L’importanza della fisioterapia nello sport più praticato di sempre

La corsa è un processo semplice e complesso allo stesso tempo.

 Semplice perché correre è alla portata di tutti, complesso perché quest’attività sportiva,

 una delle poche che la maggior parte delle persone pratica senza un vero e proprio apprendimento iniziale,

 in realtà richiede di conoscere determinate informazioni e di rispettare certe regole

 affinché la corsa diventi e rimanga un piacere

Gli effetti benefici della corsa sono ormai noti:

-diminuisce lo stress, allontana i problemi di salute (vita sedentaria, diabete, obesità, ictus, fumo, malattie cardiovascolari, insorgenza di tumori);

-aumenta l’aspettativa di vita, un runner vive in media tre anni di più rispetto ad un non corridore ed è un toccasana per la mente. 

La corsa potremmo considerarla uno sport accessibile a tutti, che scavalca i limiti geografici e sociali, richiede poca attrezzatura, anche solo un paio di scarpe, ed ognuno può praticarlo in base alle proprie capacità. 

Uno studio Delphi del 2015 definisce un infortunio associato alla corsa come “un dolore muscoloscheletrico, correlato alla corsa, negli arti inferiori (nell’allenamento o durante la gara) che provoca una limitazione o cessazione della corsa (distanza, velocità, durata, allenamento) per almeno sette giorni o per almeno tre allenamenti consecutivi programmati o che necessiti di un consulto medico o con un altro professionista della salute “.

Insieme al numero di runners, è però cresciuto anche il numero di infortuni da sovraccarico agli arti inferiori, che si stimano tra l’11 e 85%.

In uno studio del 2019 si è dimostrato come l’80% dei corridori avesse riportato nella sua storia di corsa almeno uno o più infortuni legati all’attività.

Gli infortuni più frequenti sono a carico del piede, del ginocchio, dell’anca e della colonna lombare:

Wiegand et al. hanno osservato come le patologie più frequenti riscontrate sono: sindrome della bandelletta ileotibiale (34%), fascite plantare (30%), stiramento dei muscoli dell’anca (25%), shin splints (sindrome da stress del tibiale) (22%), mentre negli ultra maratoneti la tendinopatia achillea e la sindrome femororotulea sono le principali patologie riscontrate. 

Si stima che il 29.5% degli infortuni avviene nei novice runner, parola usata per definire una persona che non ha mai approcciato alla corsa in passato in maniera regolare.

Nonostante molti runners sperimentano nella loro carriera diversi infortuni, non li considerano tali finchè il dolore non compromette la loro performance di corsa.

 

La causa degli infortuni è multifattoriale e spesso sono chiamati in causa sia fattori di rischio intrinseci che estrinseci; in generale sono stati documentati, alcuni modificabili e altri non. La storia di precedenti infortuni, la distanza percorsa a settimana, la frequenza di allenamento, variabili biomeccaniche come l’aumento dell’angolo q dinamico sono solo alcuni dei fattori di rischio indagati.

Alcuni fattori intrinseci sono l’avanzare dell’età, BMI elevato, storia di traumi o infortuni, diversa lunghezza tra i due arti, mal allineamenti anatomici, postura dei piedi, errati carichi sul piede.

 I fattori estrinseci riguardano invece il livello di preparazione, sovra allenamento, il tipo di scarpa e la superficie di corsa.

In base all’infortunio, si può indagare la causa che lo ha generato e concentrandosi sul parametro che lo ha influenzato in maniera maggiore, si modifica l’allenamento.

Alcuni infortuni vengono classificati come patologie di carico e si verificano dopo sessioni di allenamento in cui lo stress meccanico è il risultato eccessivo per il fisico: corsa, salti, dislivelli eccessivi. Le patologie da ripetizione invece tendono a comparire più spesso durante gli allenamenti dove vengono ripetuti gli stessi movimenti. 

Come scritto precedentemente uno degli infortuni maggiori per i runners è la fascite plantare;

 

Cosa è la fascite plantare? 

La fascite plantare è un disturbo muscolo-scheletrico caratterizzato da dolore sulla parte mediale del calcagno e, talvolta, dolore in corrispondenza della fascia plantare, è peggiore la mattina quando si compie il primo passo o comunque compare dopo un lungo periodo di inattività.

Una volta che il paziente inizia a camminare, tende a diminuire.

I sintomi si alleviano, ma non scompaiono del tutto durante il corso della giornata e sono esacerbati da attività come cammino o attività fisica prolungata.

 

Come avviene la diagnosi?

Le linee guida del 2014 affermano come la diagnosi di fascite plantare venga effettuata clinicamente in anamnesi tenendo conto dei seguenti sintomi:

1) Dolore al primo passo dopo un periodo di inattività o stazione eretta prolungata

2) Dolore tipico al mattino, al risveglio.

I test dell’esame fisico che mi possono confermare la diagnosi sono:

  • dolore alla palpazione nell’inserzione prossimale al calcagno della fascia plantare,
  • positività ai test clinici (windlass test),
  • negatività al tarsal tunnel test
  • limitato rom attivo e passivo in dorsiflessione di tibio tarsica,
  • anormale appoggio del piede (foot index score alterato) 

L’imaging di solito non è necessario per la diagnosi, tuttavia è un ottimo strumento per fare rule out con altre patologie e rilevamenti radiologici frequenti come gli speroni calcaneari non sono utili a distinguere pazienti con fascite plantare e non, in quanto possono essere presenti anche in pazienti asintomatici. 

Come si tratta?

Il trattamento della fascite plantare è per il 90% -95% dei pazienti conservativo (con fisioterapia) con risoluzione dei sintomi intorno alle 12-18 settimane.

A ragione di questo, può essere considerata una patologia cronica che può portare a disabilità e limitazione nelle attività sia di vita quotidiana che sportive se non trattato adeguatamente.

Dai sei mesi fino all’anno di fallimento della terapia conservativa, si può pensare di ricorrere alla chirurgia. 

Nel 2014 sono state redatte delle Linee Guida per la diagnosi e il trattamento della fascite plantare. Per quanto concerne il trattamento abbiamo diversi tipi di intervento:

  • Terapia Manuale con mobilizzazioni delle articolazioni e dei tessuti molli per trattare rilevanti restrizioni articolari o deficit di estensibilità dei tessuti molli degli arti inferiori
  • Stretching: stretching della fascia plantare, del soleo e del gastrocnemio garantiscono sollievo dal dolore a breve termine (da 1 settimane a 4 mesi). L’aggiunta di imbottiture per il calcagno potrebbe essere consigliata per aumentare i benefici dello stretching
  • Taping: taping antipronazione dovrebbe essere utilizzato per un’immediata riduzione del dolore e aumento della funzionalità. Tape elastico terapeutico applicato al gastrocnemio e alla fascia plantare per ottenere una riduzione del dolore a breve termine (1 settimana)
  • Splint notturni: dovrebbero essere prescritti per un arco temporale di 1-3 mesi in particolare per quei pazienti che lamentano un intenso dolore durante l’esecuzione del primo passo dopo il risveglio.
  • Esercizio terapeutico e rinforzo neuromuscolare: esercizi di rinforzo e allenamento dei muscoli che controllano la pronazione e attutiscono le forze durante le attività in carico
  • Educazione e perdita di peso: consigliare ed insegnare al paziente esercizi funzionali per mantenere un BMI ottimale ed eventualmente indirizzarlo ad un dietologo per impostare una nutrizione corretta
  • Laser e ultrasuoni ed onde d’urto
  • Esercizi e consigli specifici per il return to sport  

Nel 2005 Davis parla del processo di ri-allenamento alla corsa caratterizzato da tre punti:

1)identificare il meccanismo anomalo biomeccanico che ha causato un eccessivo carico sul tessuto

2) stabilire se i meccanismi di corsa sono stati alterati

3) facilitare il cambiamento verso meccanismi di corsa corretti e attraverso il motor learning e consolidare l’apprendimento insegnato.

 

E quindi?

Il trattamento prevede una fase di valutazione; l’obbiettivo è quello di capire il motivo della comparsa del dolore.

Solitamente in assenza di traumi al piede o ad altre articolazioni il dolore di fascite plantare è dato da un sovraccarico.

Una volta ridotto il dolore con le metodiche descritte precedentemente è necessario un programma di riallenamento, in modo da riadattare la fascia plantare e tutto l’arto inferiore, al carico

Ma come si fa?

Innanzi tutto è necessario fare una valutazione della corsa:

  • Durante la corsa l’ampiezza del passo deve essere corta: don’t ovestride!

Quindi appena il piede stacca dal terreno il tallone deve andare verso il gluteo

  • Per quanto riguarda la cadenza, dovrebbe essere tra i 165 e 175
  • Studi discordanti invece riguardo all’appoggio del piede, tuttavia pare che l’appoggio sul mesopiede risulti essere il migliore. 

Si procede quindi lavorando sul corretto schema di corsa, associando poi un lavoro più generico di coordinazione motoria, mobilità, controllo e stabilità non solo del piede ma di tutto l’arto inferiore.  

E per quanto riguarda le scarpe? Non ci sono studi che dimostrano che una scarpa sia migliore di un’altra, nessuna scarpa aiuta a ridurre la probabilità di infortunio da sovraccarico alla fascia plantare, quindi, usa le scarpe con cui corri meglio e che a te personalmente stanno più comode. 

Ricordati che la fascite plantare è un disturbo da sovraccarico, non pretendere di ritornare a correre subito gli stessi chilometri di prima, sul solito terreno.

Bisogna andare con gradi, dare tempo al corpo di riadattarsi al carico 

E per quanto riguarda il dolore?

Se ciò che ti stai chiedendo è se puoi correre con il dolore, la risposta non è così immediata

SI, puoi correre MA, il dolore deve rimanere sotto la soglia di 4 su 10

Il dolore non deve aumentare durante la corsa e la mattina successiva deve tornare a 0

Il dolore non deve peggiorare nei giorni successivi. 

Se e solo se il tuo dolore si comporta così, allora SI, puoi correre, ma ricordati, sempre gradualmente!

A cura di:

GIULIA SANGUINETTI, PT, OMPT

  • Orthopeadic Manipulative Physical Therapist (OMPT)
  • Fisioterapista dei disturbi vascuolo-linfatici
  • Fisioterapista esperta in fisio-pilates.