La corsa è un processo semplice e complesso allo stesso tempo.

 Semplice perché correre è alla portata di tutti, complesso perché quest’attività sportiva,

 una delle poche che la maggior parte delle persone pratica senza un vero e proprio apprendimento iniziale,

 in realtà richiede di conoscere determinate informazioni e di rispettare certe regole

 affinché la corsa diventi e rimanga un piacere

Gli effetti benefici della corsa sono ormai noti:

-diminuisce lo stress, allontana i problemi di salute (vita sedentaria, diabete, obesità, ictus, fumo, malattie cardiovascolari, insorgenza di tumori);

-aumenta l’aspettativa di vita, un runner vive in media tre anni di più rispetto ad un non corridore ed è un toccasana per la mente. 

La corsa potremmo considerarla uno sport accessibile a tutti, che scavalca i limiti geografici e sociali, richiede poca attrezzatura, anche solo un paio di scarpe, ed ognuno può praticarlo in base alle proprie capacità. 

Uno studio Delphi del 2015 definisce un infortunio associato alla corsa come “un dolore muscoloscheletrico, correlato alla corsa, negli arti inferiori (nell’allenamento o durante la gara) che provoca una limitazione o cessazione della corsa (distanza, velocità, durata, allenamento) per almeno sette giorni o per almeno tre allenamenti consecutivi programmati o che necessiti di un consulto medico o con un altro professionista della salute “.

Insieme al numero di runners, è però cresciuto anche il numero di infortuni da sovraccarico agli arti inferiori, che si stimano tra l’11 e 85%.

In uno studio del 2019 si è dimostrato come l’80% dei corridori avesse riportato nella sua storia di corsa almeno uno o più infortuni legati all’attività.

Gli infortuni più frequenti sono a carico del piede, del ginocchio, dell’anca e della colonna lombare:

Wiegand et al. hanno osservato come le patologie più frequenti riscontrate sono: sindrome della bandelletta ileotibiale (34%), fascite plantare (30%), stiramento dei muscoli dell’anca (25%), shin splints (sindrome da stress del tibiale) (22%), mentre negli ultra maratoneti la tendinopatia achillea e la sindrome femororotulea sono le principali patologie riscontrate. 

Si stima che il 29.5% degli infortuni avviene nei novice runner, parola usata per definire una persona che non ha mai approcciato alla corsa in passato in maniera regolare.

Nonostante molti runners sperimentano nella loro carriera diversi infortuni, non li considerano tali finchè il dolore non compromette la loro performance di corsa.

 

La causa degli infortuni è multifattoriale e spesso sono chiamati in causa sia fattori di rischio intrinseci che estrinseci; in generale sono stati documentati, alcuni modificabili e altri non. La storia di precedenti infortuni, la distanza percorsa a settimana, la frequenza di allenamento, variabili biomeccaniche come l’aumento dell’angolo q dinamico sono solo alcuni dei fattori di rischio indagati.

Alcuni fattori intrinseci sono l’avanzare dell’età, BMI elevato, storia di traumi o infortuni, diversa lunghezza tra i due arti, mal allineamenti anatomici, postura dei piedi, errati carichi sul piede.

 I fattori estrinseci riguardano invece il livello di preparazione, sovra allenamento, il tipo di scarpa e la superficie di corsa.

In base all’infortunio, si può indagare la causa che lo ha generato e concentrandosi sul parametro che lo ha influenzato in maniera maggiore, si modifica l’allenamento.

Alcuni infortuni vengono classificati come patologie di carico e si verificano dopo sessioni di allenamento in cui lo stress meccanico è il risultato eccessivo per il fisico: corsa, salti, dislivelli eccessivi. Le patologie da ripetizione invece tendono a comparire più spesso durante gli allenamenti dove vengono ripetuti gli stessi movimenti. 

Come scritto precedentemente uno degli infortuni maggiori per i runners è la fascite plantare;

 

Cosa è la fascite plantare? 

La fascite plantare è un disturbo muscolo-scheletrico caratterizzato da dolore sulla parte mediale del calcagno e, talvolta, dolore in corrispondenza della fascia plantare, è peggiore la mattina quando si compie il primo passo o comunque compare dopo un lungo periodo di inattività.

Una volta che il paziente inizia a camminare, tende a diminuire.

I sintomi si alleviano, ma non scompaiono del tutto durante il corso della giornata e sono esacerbati da attività come cammino o attività fisica prolungata.

 

Come avviene la diagnosi?

Le linee guida del 2014 affermano come la diagnosi di fascite plantare venga effettuata clinicamente in anamnesi tenendo conto dei seguenti sintomi:

1) Dolore al primo passo dopo un periodo di inattività o stazione eretta prolungata

2) Dolore tipico al mattino, al risveglio.

I test dell’esame fisico che mi possono confermare la diagnosi sono:

  • dolore alla palpazione nell’inserzione prossimale al calcagno della fascia plantare,
  • positività ai test clinici (windlass test),
  • negatività al tarsal tunnel test
  • limitato rom attivo e passivo in dorsiflessione di tibio tarsica,
  • anormale appoggio del piede (foot index score alterato) 

L’imaging di solito non è necessario per la diagnosi, tuttavia è un ottimo strumento per fare rule out con altre patologie e rilevamenti radiologici frequenti come gli speroni calcaneari non sono utili a distinguere pazienti con fascite plantare e non, in quanto possono essere presenti anche in pazienti asintomatici. 

Come si tratta?

Il trattamento della fascite plantare è per il 90% -95% dei pazienti conservativo (con fisioterapia) con risoluzione dei sintomi intorno alle 12-18 settimane.

A ragione di questo, può essere considerata una patologia cronica che può portare a disabilità e limitazione nelle attività sia di vita quotidiana che sportive se non trattato adeguatamente.

Dai sei mesi fino all’anno di fallimento della terapia conservativa, si può pensare di ricorrere alla chirurgia. 

Nel 2014 sono state redatte delle Linee Guida per la diagnosi e il trattamento della fascite plantare. Per quanto concerne il trattamento abbiamo diversi tipi di intervento:

  • Terapia Manuale con mobilizzazioni delle articolazioni e dei tessuti molli per trattare rilevanti restrizioni articolari o deficit di estensibilità dei tessuti molli degli arti inferiori
  • Stretching: stretching della fascia plantare, del soleo e del gastrocnemio garantiscono sollievo dal dolore a breve termine (da 1 settimane a 4 mesi). L’aggiunta di imbottiture per il calcagno potrebbe essere consigliata per aumentare i benefici dello stretching
  • Taping: taping antipronazione dovrebbe essere utilizzato per un’immediata riduzione del dolore e aumento della funzionalità. Tape elastico terapeutico applicato al gastrocnemio e alla fascia plantare per ottenere una riduzione del dolore a breve termine (1 settimana)
  • Splint notturni: dovrebbero essere prescritti per un arco temporale di 1-3 mesi in particolare per quei pazienti che lamentano un intenso dolore durante l’esecuzione del primo passo dopo il risveglio.
  • Esercizio terapeutico e rinforzo neuromuscolare: esercizi di rinforzo e allenamento dei muscoli che controllano la pronazione e attutiscono le forze durante le attività in carico
  • Educazione e perdita di peso: consigliare ed insegnare al paziente esercizi funzionali per mantenere un BMI ottimale ed eventualmente indirizzarlo ad un dietologo per impostare una nutrizione corretta
  • Laser e ultrasuoni ed onde d’urto
  • Esercizi e consigli specifici per il return to sport  

Nel 2005 Davis parla del processo di ri-allenamento alla corsa caratterizzato da tre punti:

1)identificare il meccanismo anomalo biomeccanico che ha causato un eccessivo carico sul tessuto

2) stabilire se i meccanismi di corsa sono stati alterati

3) facilitare il cambiamento verso meccanismi di corsa corretti e attraverso il motor learning e consolidare l’apprendimento insegnato.

 

E quindi?

Il trattamento prevede una fase di valutazione; l’obbiettivo è quello di capire il motivo della comparsa del dolore.

Solitamente in assenza di traumi al piede o ad altre articolazioni il dolore di fascite plantare è dato da un sovraccarico.

Una volta ridotto il dolore con le metodiche descritte precedentemente è necessario un programma di riallenamento, in modo da riadattare la fascia plantare e tutto l’arto inferiore, al carico

Ma come si fa?

Innanzi tutto è necessario fare una valutazione della corsa:

  • Durante la corsa l’ampiezza del passo deve essere corta: don’t ovestride!

Quindi appena il piede stacca dal terreno il tallone deve andare verso il gluteo

  • Per quanto riguarda la cadenza, dovrebbe essere tra i 165 e 175
  • Studi discordanti invece riguardo all’appoggio del piede, tuttavia pare che l’appoggio sul mesopiede risulti essere il migliore. 

Si procede quindi lavorando sul corretto schema di corsa, associando poi un lavoro più generico di coordinazione motoria, mobilità, controllo e stabilità non solo del piede ma di tutto l’arto inferiore.  

E per quanto riguarda le scarpe? Non ci sono studi che dimostrano che una scarpa sia migliore di un’altra, nessuna scarpa aiuta a ridurre la probabilità di infortunio da sovraccarico alla fascia plantare, quindi, usa le scarpe con cui corri meglio e che a te personalmente stanno più comode. 

Ricordati che la fascite plantare è un disturbo da sovraccarico, non pretendere di ritornare a correre subito gli stessi chilometri di prima, sul solito terreno.

Bisogna andare con gradi, dare tempo al corpo di riadattarsi al carico 

E per quanto riguarda il dolore?

Se ciò che ti stai chiedendo è se puoi correre con il dolore, la risposta non è così immediata

SI, puoi correre MA, il dolore deve rimanere sotto la soglia di 4 su 10

Il dolore non deve aumentare durante la corsa e la mattina successiva deve tornare a 0

Il dolore non deve peggiorare nei giorni successivi. 

Se e solo se il tuo dolore si comporta così, allora SI, puoi correre, ma ricordati, sempre gradualmente!

A cura di:

GIULIA SANGUINETTI, PT, OMPT

  • Orthopeadic Manipulative Physical Therapist (OMPT)
  • Fisioterapista dei disturbi vascuolo-linfatici
  • Fisioterapista esperta in fisio-pilates.