APOFISITE TIBIALE

APOFISITE TIBIALE

APOFISITE TIBIALE (MORBO DI OSGOOD – SCHLATTER)

Patologia che nasce da un eccessivo stress a carico del nucleo di accrescimento della tuberosità tibiale, che deforma la cartilagine di accrescimento. Nota come “Morbo della crescita” è un processo degenerativo a carico della tuberosità anteriore della tibia, viene classificato come una forma di osteonecrosi.

Nella maggior parte dei casi è presente bilateralmente (25 %) , la sintomatologia dolorosa può essere anche a carico di un solo ginocchio. 

Colpisce prevalentemente i M a 10-15 anni e le F 8-12 anni. Molto comune nella popolazione sportiva giovanile  impegnata in attività sportive che sottopongono il muscolo del quadricipite a sollecitazioni dinamiche di notevole intensità come nella corsa, salti, cambi di direzione (calcio, tennis, atletica, danza…).

 

  • Cause e Sintomatologia 

La regione anteriore della tibia viene sottoposta naturalmente alla tensione del tendine rotuleo ed alla forza del muscolo quadricipite. Nel periodo dello sviluppo questa regione è ancora in gran parte formata da cartilagine, che presenta una resistenza intrinseca minore rispetto all’osso per determinate sollecitazioni. Ogni stress meccanico dovuto ad attività e sforzi fisici possono determinare microtraumi inserzionali ripetuti, che possono provocare una necrosi diffusa del nucleo apofisario della tibia

Il giovane atleta lamenta  un dolore anteriore localizzato a livello della tuberosità tibiale e dipende dal carico applicato al tendine che si ripercuote sulla tuberosità, viene provocato durante le attività sportive, Alcuni soggetti non riferiscono particolari sintomi se non quando sovraccaricano il quadricipite; nei casi più importanti è possibile aver dolore durante il cammino.

 La tuberosità può diventare gonfia e calda, fino a deformarsi come nella foto con formazione di una protuberanza ossea.

Spesso è riscontrabile un’ipotrofia del quadricipite e una rigidità dei muscoli circostanti.

La severità della patologia, secondo degli studi, potrebbe correlarsi al BMI(Indice di massa corporea). 

 

  • Diagnosi 

La diagnosi clinica è piuttosto affidabile in fase attiva già attraverso l’osservazione della sintomatologia ( dolore, gonfiore della regione anteriore e soggetto giovane sportivo), in queste circostanze non sarà necessario eseguire ulteriori accertamenti o radiografie. Del resto nelle fasi iniziali del disturbo non sarebbero visibili alterazioni ossee evidenti, solo nelle fasi avanzate potrebbero rivelare una frammentazione a carico del nucleo ipofisario. 

La gravità si può catalogare per gradi A, B e C e si vede radiologicamente. Prima c’è ispessimento della zona (A), che diventa radiotrasparente (B) e addirittura si può frammentare (C).

L’ecografia potrebbe accertare lo stato infiammatorio della zona e la presenza di possibili calcificazioni in fase avanzata.

 

  • Trattamento

È una patologia che si autolimita se si adatta il carico; se non trattata si protrae dando problemi nel lungo periodo, quindi patologia da non sottovalutare che richiede una corretta somministrazione di carico e quindi dell’attività. Utile lo stretching (sembra che funzioni, teoricamente la messa in tensione di tendine e ossa dovrebbe elicitare, ma la breve durata provoca una riduzione della tensione durante il movimento) del quadricipite per scaricarlo e terapia fisica per ridurre dolore anteriore. L’essenziale è il carico: ridurre numero e/o durata allenamenti (esempio da 4-5 a 3 allenamenti a settimana da 2 ore oppure sospendere per un certo periodo). Se il dolore è cosi intenso da limitare il cammino, si sospende allenamento per qualche settimana. Per questa decisione, i parametri da tenere in considerazione sono due: esame radiografico e gravità dei sintomi; nei casi B e soprattutto C è consigliabile la sospensione. Quando presente da poco tempo e/o non ci sono grossi dolori alla palpazione e contrazione, si può riprendere l’attività sportiva dosando il carico (la durata della sospensione dipende dai sintomi).

Impostare una corretto programma di allenamento , associato allo svolgimento di esercizio terapeutico aiuta a contrastare la sintomatologia nel breve-medio periodo.

Fondamentale sarà  la sollecitazione progressiva  al carico da parte del muscolo quadricipite e un rinforzo della muscolatura stabilizzatrice delle anche e del ginocchio .

Non ci sono studi che evidenzino che una variazione della dieta del soggetto modifichi la sintomatologia, ma solo qualche opinione di esperti.

 

 

A cura di:

Luigi Lanfranchi

OMPT student

SPORT ESTIVI? SI, MA ATTENZIONE ALLE LESIONI MENISCALI

SPORT ESTIVI? SI, MA ATTENZIONE ALLE LESIONI MENISCALI

SPORT ESTIVI? SI, MA ATTENZIONE ALLE LESIONI MENISCALI

L’estate rappresenta il momento perfetto per tornare a praticare attività motoria all’aria aperta, ma bisogna prestare attenzione dal momento che è contemporaneamente periodo di numerosi traumi e lesioni, in particolare se durante il resto dell’anno ha prevalso la sedentarietà. Gli infortuni sono legati ai più comuni sport estivi come surf, windsurf, corsa sulla spiaggia, beach volley, beach soccer e beach tennis.

Ma quali sono le raccomandazioni da seguire?
L’esperienza ci mostra che chi pratica i più usuali sport in spiaggia tende a farlo in modalità  amatoriale e può essere vittima di distorsioni, stress muscolari e lesioni. I consigli per prevenire gli infortuni sono quelli di conoscere i propri limiti in riferimento all’età e alla propria preparazione fisica, equilibrare l’attività fisica con fasi di riposo e avere una conoscenza adeguata dello sport che si decide di praticare. Tra i traumi che si presentano più spesso c’è la lesione del menisco. Costituiscono circa un quarto di tutti gli infortuni al ginocchio e spesso le lesioni meniscali traumatiche avvengono durante attività sportive con arresti e cambi di direzione. Vediamo meglio di cosa si tratta e quale è il trattamento più idoneo.

 

  • LO SAPEVI CHE
  • CHE FUNZIONE HANNO I MENISCHI DEL GINOCCHIO
  • MENISCO MEDIALE E LATERALE: ANATOMIA
  • COME SI LESIONANO I MENISCHI?
  • QUALI SONO I SINTOMI CORRELATI A UNA LESIONE MENISCALE?
  • HO UNA LESIONE DEL MENISCO, DEVO OPERARMI? 

 

  • LO SAPEVI CHE 
  1. Una lesione del menisco si può verificare sia durante un’attività sportiva che durante un’attività non sportiva, anche in assenza di un trauma?
  2. I soggetti giovani è più probabile che subiscano una lesione meniscale traumatica, mentre le lesioni del menisco per disturbi degenerativi sono più comuni nei soggetti in età avanzata?
  3. la maggior parte delle lesioni riguarda il menisco mediale? Infatti il 73% delle lesioni meniscali riguarda quest’ultimo, probabilmente per la sua ridotta mobilità rispetto al menisco laterale (19%), ma si può avere anche una lesione di entrambi i menischi (8%).

 

  • CHE FUNZIONE HANNO I MENISCHI DEL GINOCCHIO 

I menischi, situati all’interno del ginocchio, funzionano come cuscinetti ammortizzatori, andando ad adattare la forma dei capi articolari (della tibia e il femore) e facilitare il movimento, proteggendo cosi l’intera articolazione dagli stress assorbiti, ma soprattutto distribuiscono il carico.

Quindi un menisco aumenta la congruità all’interno dell’articolazione per distribuire meglio la pressione ed è molto importante per questo ruolo.

I menischi, inoltre, sono importanti perchè: 

  • Limitano flessione ed estensione estreme.
  • Hanno un ruolo nell’aumento della stabilità dell’articolazione del ginocchio.
  • Hanno funzione di controllo dei movimenti del ginocchio.
  • Hanno un ruolo indiretto di nutrizione della cartilagine
  • MENISCO MEDIALE E LATERALE: ANATOMIA

I menischi mediale e laterale sono delle strutture fibrocartilaginee a forma di mezzaluna situate all’interno dell’articolazione del ginocchio. Vedendoli dall’alto, il menisco interno (o Mediale) è molto più ampio e a forma di C, mentre l’esterno (o Laterale) a forma di O, è più tondo. L’interno è molto più fisso anche perché si inserisce il legamento collaterale mediale, l’esterno è, invece, legato alla capsula. I corni posteriori e anteriori sono i punti in cui i menischi si inseriscono sulla tibia.

Partendo dall’esterno e andando verso l’interno, si possono suddividere in tre zone che hanno delle caratteristiche strutturali differenti:

  • La parte più periferica, il terzo esterno dei menischi, è quella zona che viene chiamata “rossa-rossa” ed è quella più vascolarizzata (irrorata dalle branche delle arterie genicolate) ed innervata.
  • La zona intermedia viene chiamata “rossa-bianca”, dove arrivano alcuni vasi e alcuni nervi.
  • La zona più interna è chiamata “bianca-bianca” non arriva nulla. Una lesione in quest’ultima zona non sarà riparabile o suturabile, ma probabilmente non comporterà nemmeno dolore, perché non ci sono dei nervi.

Questo potrebbe giustificare anche il fatto che molte lesioni meniscali sono asintomatiche, perché magari si evidenziano in zone non innervate. Come già detto, l’innervazione è presente solo nella parte esterna e questo sembra sia per avvertire il sistema nervoso di un’eventuale compressione eccessivamente esterna sul corpo del menisco e permettere un riallineamento dell’articolazione. 

 

  • COME SI LESIONANO I MENISCHI?


Una lesione meniscale è generalmente dovuta ad una forza di taglio che si verifica tra il femore e la tibia. Il 32,4% delle lesioni meniscale è di tipo sportivo, mentre il 38,8% da lesioni non sportive (di cui il 72% da lesioni nelle attività di tutti i giorni) e il 28.8% da causa non nota.

Si ha una maggior probabilità di avere una lesione meniscale traumatica negli sport da contatto. Nei giovani la lesione è causata solitamente da un movimento rotatorio in carico a ginocchio flesso. Le lesioni traumatiche sono generalmente verticali o oblique e si possono estendere dal corno posteriore verso il corno anteriore mantenendo un’inserzione anteriore e posteriore. Un blocco che limita l’estensione del ginocchio è spesso indice di una “lesione a manico di secchio”.

Invece una lesione meniscale degenerativa avviene senza una storia di significativi traumi acuti del ginocchio in soggetti solitamente di età superiore ai 35 anni.
C’è un’evidenza limitata in letteratura che questo tipo di lesioni possa essere causa di sintomi al ginocchio e non è ancora chiaro il legame con l’osteoartrosi di ginocchio. Negli anziani sono più frequenti lesioni orizzontali, che sono più legate alla degenerazione strutturale. 

  • QUALI SONO I SINTOMI CORRELATI A UNA LESIONE MENISCALE?

Non sempre una lesione meniscale provoca dolore, o comunque, in particolare in lesioni minime, dopo una prima fase di infiammazione, la sintomatologia diminuisce e tende a scomparire, se non specificatamente sollecitata. In altri casi, la sintomatologia è più eclatante con dolore importante e versamento articolare, fino ad arrivare al blocco articolare.

I seguenti sono i segni principali di lesione meniscale che si possono riscontrare all’esame fisico: 

  • dolore in iperestensione forzata del ginocchio
  • dolore in massima flessione passiva del ginocchio
  • palpazione dolorosa dell’interlinea articolare
  • McMurray test positivo
  • Thessaly test positivo.

                              (Logerstedt, 2018)

 

Spesso i pazienti con lesione meniscale possono riferire all’anamnesi:

  • lesione da torsione del ginocchio
  • sensazione di lesione al momento dell’infortunio
  • gonfiore ritardato (6-24 h)
  • episodi di blocco o cedimento del ginocchio.

È fondamentale eseguire una corretta anamnesi per diagnosticare una lesione sintomatica meniscale, basandosi sui sintomi del paziente. Si è visto che i sintomi con alta sensibilità sono: frequenti episodi di dolore, dolore durante l’attività, dolore durante movimenti di “pivoting/twisting” e dolore localizzato.

HO UNA LESIONE DEL MENISCO, DEVO OPERARMI?

In caso di lesione meniscale sintomatica, l’obiettivo è recuperare la funzionalità del ginocchio (sia che ti tratti attraverso trattamento chirurgico che conservativo) quindi:

-recupero di tutto il range articolare

-recupero della forza

-recupero della propriocezione

Il tempo stimato è di circa 8-10 settimane. Sei settimane, infatti, sono il tempo limite per avere un miglioramento dei sintomi nella maggior parte dei pazienti. Gli esercizi nelle settimane successive andranno a lavorare su rinforzo ed equilibrio, al fine di migliorare la funzionalità.

Dagli studi, che sono stati fatti fino ad ora in letteratura, non si sa se per tutte le lesioni meniscali l’intervento chirurgico sia più efficace del trattamento conservativo, ma probabilmente, ad oggi, il trattamento conservativo ha una efficacia simile a quella dell’intervento nelle lesioni non ostruttive. 

 

Si è visto in letteratura che nella gestione delle lesioni meniscali degenerative un programma di esercizi basati sul rinforzo muscolare e sul controllo neuromuscolare rappresenta una valida alternativa al trattamento chirurgico. Infatti, si è evidenziato che non vi sono differenze in termini di funzionalità di ginocchio in un follow-up di due anni nelle due modalità di trattamento. Inoltre il trattamento tramite esercizi supervisionati, porta ad un maggior aumento di forza nei muscoli della coscia nel breve termine.

 

Inoltre, sono stati svolti ulteriori studi per capire quale sia il trattamento migliore tra chirurgico e conservativo, per farlo hanno classificato le lesioni meniscali in ostruttive e non ostruttive.

Il blocco del ginocchio dovuto a lesione a manico di secchio viene considerato lesione

ostruttiva e viene trattata con intervento chirurgico. Mentre, le lesioni non ostruttive (senza

blocco del ginocchio), sono state divise in trattamento chirurgico o trattamento

conservativo: si è visto che a 24 mesi, non c’è differenza nei risultati ottenuti tra i due approcci. Anche in questo studio i risultati sono discutibili. In ogni caso, ad oggi, non ci sono studi che dimostrino che la chirurgia sia meglio della fisioterapia. Invece gli studi concordano sul fatto che una lesione non ostruttiva non vada operata.

 

In tutti i casi è raccomandato iniziare sempre con il trattamento conservativo lavorando in modo specifico sulla riduzione del dolore e eventuale gonfiore, sul recupero della mobilità completa del ginocchio e soprattutto sulla forza e sulla potenza di tutta la catena cinetica.

  Noemi Marinari, Pt, OMPT student

 

Il Blood Flow Restriction in ambito ortopedico

Il Blood Flow Restriction in ambito ortopedico

Che cosa è il Blood Flow Restriction? 

Se ti sei appena operato al ginocchio, ad un menisco od ad un legamento per esempio, questa tecnica può fare al caso tuo.

Dopo una lesione o un intervento chirurgico, un paziente non è in grado di sollevare carichi significativi per indurre una risposta di forza o ipertrofia nel muscolo scheletrico.  Il BFR consente al clinico di iniziare molto prima le fasi di resistenza e ipertrofia in riabilitazione.

Il Blood Flow Restriction (BFR) è uno strumento innovativo di esercizio basato sull’evidenza  (supportata da oltre 160 articoli peer-reviewed) che sta crescendo molto velocemente e che aiuta ad accelerare la performance e il recupero in una popolazione molto variegata.

E’ una tecnica che utilizza un bracciale per applicare una pressione esterna a un arto con l’intenzione di occludere il deflusso venoso mantenendo un afflusso arterioso parziale. L’arto occluso è quindi attivato a livello submassimale e l’esercizio a basso carico con limitazione del flusso sanguigno può aumentare la forza muscolare e le dimensioni del muscolo in modo più efficace rispetto agli esercizi a basso carico senza alcuna restrizione.

Questa tecnica rivoluzionaria, che sta avendo un grande successo negli Stati Uniti nel campo della riabilitazione e del mondo dello sport tramite la restrizione del flusso sanguigno con apposito sistema PTS “Personalized Tourniquet System”, permette di ottenere forza ed ipertrofia con l’utilizzo di bassi carichi (20/30% 1 RM) con risultati simili al lavoro ad alto carico.

 

FORZA ED IPERTROFIA

L’American College od Sports Medicine raccomanda, durante un allenamento sulla resistenza, un carico pari al 70/80% del massimale per favorire cambiamenti in termini di ipertrofia.

L’allenamento con basso carico ma  con restrizione del flusso sanguigno (BFR) ha dimostrato un consistente guadagno in termini di forza ed ipertrofia simile ad un lavoro ad alto carico (75-80% del massimale). 

Il BFR è in grado di accelerare il processo riabilitativo per portare quanto prima l’atleta verso un allenamento ad alta intensità.

PRODUZIONE DI LATTATO ed ORMONE DELLA CRESCITA

L’allenamento a basso carico ma con l’utilizzo del BFR avviene in ipossia e genera un grande stress metabolico con un aumento della risposta ipertrofica a livello muscolare.

Sempre per la carenza di ossigeno viene forzato il metabolismo anaerobico, indipendente dal carico utilizzato, con produzione del lattato e con un conseguente  impatto sul profilo ormonale.

E’ stato dimostrato che il livello di accumulo di lattato nel sangue era similare  tra gli esercizi a casso carico ma con l’utilizzo del BFR e gli esercizi ad alta intensità  (80% del massimale).  Questo risultato è la conseguenza di un ridotto supporto di ossigeno ed di una maggiore necessità del metabolismo anaerobico. 

L’incremento del lattato potrebbe essere responsabile di una maggiore attivazione muscolare  (misurata con attività elettromiografica) per sommazione di reclutamento  delle unità motorie circostante, ovvero le fibre muscolari di tipo II,  più grandi e più veloci, comportamento che normalmente avviene durante l’esecuzione di esercizi ad altissima intensità.

Ormone della crescita

Perché è importante? L’acido lattico è molto importante per il rilascio dell’ormone della crescita (il GH). Infatti, i livelli di secrezione dell’ormone della crescita sono più alti del 170% dopo il BFR rispetto agli esercizi di resistenza tradizionali!

Ora contrariamente alla credenza popolare, l’ormone della crescita non è coinvolto nella sintesi proteica o nell’ipertrofia muscolare. Invece, ha un ruolo protettivo per i tendini e le strutture muscolari del collagene e aumenta la sintesi del collagene. Questo ha importanti implicazioni sulla riabilitazione dalle lesioni e rende il BFR un ottimo strumento per il recupero degli atleti infortunati.

Perciò non è chiaro se gli innalzamenti acuti degli ormoni marcatamente anabolici abbiano un effetto decisivo sulla crescita muscolare, ma i risultati di questo studio erano sufficientemente evidenti da dover essere almeno menzionati.

L’allenamento BFR a basso carico portato ad esaurimento ha provocato un incremento dell’ormone della crescita di 290 volte maggiore rispetto ai livelli riscontrati a riposo e approssimativamente 4 volte maggiori rispetto ad un allenamento a basso carico senza BFR portato ad esaurimento.

BRF e IGF – 1 e CELLULE SATELLITI

Il BFR ha dimostrato di avere significativi benefici positivi su IGF-1, MTORC1 e miostatina

Il fattore di crescita insulino simile (IGF – 1) è una proteina che nell’uomo è stata collegata alla crescita muscolare. L’ormone della crescita, prodotto dall’ipofisi, stimola a suo volta il fegato a produrre IGF – 1.

A causa di questa chiara relazione tra ipertrofia muscolare e IGF – 1 alcuni autori suggeriscono come possa essere quest’ultimo un regolatore della massa muscolare, favorendo la sintesi proteica e contrastando l’atrofia muscolare.

Ad oggi, sembra che il ruolo dell’IGF – 1 sull’ipertrofia sia dovuta alla proliferazione delle cellule satelliti.  Ma cosa sono le cellule satelliti?

Le cellule satelliti hanno un importante ruolo nella crescita e riparazione muscolare. Quando la fibra viene stimolata dall’esercizio con sovraccarico o da un danno meccanico o chimico, la cellula satellite si divide; una cellula figlia si fonde con la fibra muscolare adiacente, fornendo così un nucleo addizionale. L’altra cellula figlia rimane quiescente.

Miostatina e BFR

Quando si tratta di geni e ormoni direttamente correlati all’ipertrofia muscolare, il BFR ha dimostrato di avere significativi benefici positivi su IGF-1, MTORC1 e miostatina.

Per quanta riguarda quest’ultima, i suoi livelli risultano essere diminuiti con l’utilizzo del BFR.

Ma cos’è è la miostatina? Si tratta di un fattore di crescita che regola la dimensione del muscolo, agendo attraverso una sua inibizione. Ha un ruolo fondamentale nel bloccare la miogenesi.

Gli studi di Roth et al hanno dimostrato una inibizione della miostatina dopo 9 settimane di esercizi ad alto carico (85% del massimale), e di conseguenza si correla agli incrementi in termini di ipertrofia e forza. Tutto questo è stato confermato anche attraverso altri studi ( Forbes 2006, Hill 293, Saremi 2010 e Willoghby 2004). 

 

Allenamento con BFR e MTORC1

La restrizione del flusso sanguigno stimola anche la segnalazione mTOR e riduce l’espressione del gene della miostatina, incoraggiando così la crescita muscolare (lo mTOR segnala alle cellule di crescere mentre la miostatina, una proteina prodotta dalle cellule muscolari, inibisce la miogenesi, bloccando la crescita e la differenziazione).

Una delle ragioni per cui la restrizione del flusso sanguigno può competere con l’allenamento ad alta intensità di peso può essere perché riduce la miostatina in misura maggiore rispetto all’allenamento tradizionale ad alta intensità (ma con danni muscolari minimi).

Il risultato in termini di ipertrofia muscolare è data dal Net Protein Balance, ovvero dall’equilibrio tra sintesi e distruzione di proteine muscolare.

Ma che cosa è la MTORC1? È una proteina chinasi che regola la crescita, la proliferazione, la motilità e la sopravvivenza delle cellule, della sintesi proteica e la trascrizione. Funge da vero e proprio interruttore in grado di attivare o meno la crescita muscolare. Ma da dove viene il segnale per attivarlo?  Dai fattori di crescita precedentemente segnalati, dallo stato energetico cellulare, dall’esercizio ( specialmente quello ad alto carico) e dalla fornitura di aminoacidi.

Portare il muscolo ad esaurimento attiverebbe l’MTORC1 (Mitchell 2012). A mano a mano che vengono reclutate le fibre muscolari, durante l’esercizio ad alto carico, il livelli di MTORC1 aumenterebbero.

Ma questa proteina è anche attivata dall’esercizio a basso carico con l’utilizzo del Blood Flow Restriction (BFR)?

A dimostrazione di ciò, Fujita et al hanno misurato gli effetti acuti dell’utilizzo del BFR durante un esercizio a carico leggero rispetto ad un gruppo di controllo senza l’utilizzo del BFR. Il gruppo che utilizzava il Blood Flow Restriction ha dimostrato un più alto livello di S6K1 (MTORC1), con conseguente traduzione in incremento di sintesi proteica muscolare.

I percorsi di segnalazione chiave (come il percorso mTOR) ed i geni (come il gene miostatina) vengono influenzati in maniera maggiore da un allenamento BFR con carichi ridotti rispetto ad un allenamento a carico ridotto senza BFR. L’allenamento BFR e l’allenamento convenzionale con carichi maggiori li influenzano in modo simile, incrementando la sintesi proteica e decrementando la miostatina in misura simile.

Gonfiore cellulare e BFR

Come per lo stress metabolico, il gonfiore cellulare è stato identificato come uno dei meccanismi che possono provocare l’ipertrofia muscolare. Lo spessore dei muscoli incrementa approssimativamente del 11,5-12% direttamente dopo una sessione di allenamento BFR, grazie all’incremento nella quantità di fluidi nel muscolo, a indicare (utilizzando un termine poco scientifico) un casino di gonfiore cellulare.

Una prevalente ipotesi è che il gonfiore cellulare giochi un ruolo su questi guadagni ipertrofici. Un miocita disidratato non subisce sintesi proteica, tuttavia il gonfiore cellulare, dipendente dallo spostamento del fluido plasmatico, ha mostrato di incrementare la sintesi proteica e di sopprimere la proteolisi.

A supporto di ciò, in diversi articoli è stato dimostrato un incremento del gonfiore a livello degli arti inferiori dopo l’applicazione del BFR. Ma non solo.

Nei pazienti operati di legamento crociato anteriore anche solo l’applicazione del BFR senza esercizio ha dimostrato di ridurre l’atrofia muscolare post chirurgica (misurato con RMN), tradotta in una miglioramento della CSA (cross Sectional Area).

In questo caso l’utilizzo del BFR anche senza l’esercizio terapeutico non causa ipertrofia ma è in grado di ridurre l’atrofia comparata ad un gruppi di controllo.

GIONATA PROSPERI FT, SPT, SM, cert. VRS          

  • Fisioterapista Sportivo  e scienze motorie
  • Fisioterapista esperto In Terapia Manuale nelle cefalee, emicrania
  • Fisioterapista dei disturbi dell’articolazione Temporo – Mandibolare
  • Fisioterapista dei Disturbi Vestibolari
  • Fisioterapista specializzato nella Spalla dolorosa
  • Sport Physiotherapist

ONDE D’URTO .. LE VOSTRE DOMANDE A RIGUARDO

ONDE D’URTO .. LE VOSTRE DOMANDE A RIGUARDO

 

1 . COSA SONO ?

Le onde d’urto, sono una forma di energia meccanica.

 I macchinari ad onde d’urto sono composti da un manipolo, generalmente a

forma di pistola, il quale è posto sul target che deve essere trattato. Tra il

manipolo e il target terapeutico è interposto un gel che amplifica la

trasmissione delle onde.

 Utilizzano elevati picchi di energia (fino a 100 Mpa) con repentino innalzamento

pressorio

L’onda pressoria prodotta è caratterizzata da un picco massimo iniziale a cui

segue una fase discendente con gradiente positivo seguita a sua volta da una

fase di pressione negativa e un ritorno allo stato iniziale. La densità di energia

erogata è calcolata dal rapporto tra l’energia somministrata e la dimensione

della superficie trattata, espressa in mJ/mm2.

 In base a questo parametro, si

distinguono:

  • Trattamenti a bassa densità di energia: 0,04-0,12 mJ/mm2
  • Trattamenti a media densità di energia: 0,12-0,28 mJ/mm2
  • Trattamenti ad alta densità di energia: 0,28-1,5 mJ/mm2

 In relazione al tipo di problematica e di tessuto trattato, ogni seduta di onde

d’urto prevede un numero di impulsi variabile (generalmente varia da 1000 a

3000 colpi o più). Altro parametro importante da tenere in considerazione è la

frequenza con cui questi colpi sono emessi.

 

  1. COME AGISCE

in generale possiamo distinguere effetti diretti ed effetti indiretti delle onde d’urto: 

  • Effetti diretti: Il primo effetto delle onde d’urto è di tipo meccanico diretto: il picco pressorio positivo agisce soprattutto nell’interfaccia tra tessuti dotati di diversa impedenza (osso e tessuti molli ad es.).
  • Effetti indiretti: Il secondo effetto, ben più importante dal punto di vista clinico, è di tipo indiretto ed è dovuto soprattutto a fenomeni cavitazionali che innescano la produzione di radicali liberi e ossido nitrico (NO) con azione vasodilatante e neoangiogenetica.

 Il meccanismo d’azione è, inoltre, profondamente diverso a seconda che il bersaglio sia una

I tessuti viventi, quali l’osso, i muscoli, i tendini e i legamenti, quando raggiunti dalle onde (a livelli energetivi adeguati alla sede di trattamento)subiscono una serie di micro-traumi che fungono da una sorta di “micro-idromassaggio” che innesca una serie di reazioni cellulari, cascate enzimatiche e reazioni biochimiche con produzione di mediatori e fattori di crescita che conducono a un effetto anti-infiammatorio, anti-dolorifico e/o anti-edemigeno.  

Gli effetti indiretti includono:

  • Disgregazione di strutture patologiche quali le microcalcificazioni: queste ultime non possiedono una struttura organizzata come il normale tessuto osseo e sono più facili da disintegrare.
  • Iperemia e neoangiogenesi capillare:le onde forniscono, probabilmente a causa dell’aumento transitorio del gradiente pressorio, un input alla formazione di nuovi vasi anche in tessuti per natura scarsamente vascolarizzati: questo favorisce il riassorbimento dei frammenti delle strutture disgregate.
  • Effetto anti-infiammatorio: sono state proposte diverse ipotesi per spiegare l’effetto anti-infiammatorio delle onde d’urto. Appare probabile che l’aumento del flusso sanguigno locale indotto dalla neoangiogenesi determini un “wash-out” con rimozione delle sostanze pro-infiammatorio e dannose accumulatesi nei tessuti trattati.
  • Effetto anti-dolorifico: l’effetto analgesico ha una base multifattoriale che include la produzione di endorfine, la stimolazione di terminazioni nervose locali e meccanismi neurofisiologici legati alla “teoria del cancello”.

  

  1. QUALI SONO LE SUE APPLICAZIONI ?

L’International Society for Medical Shockwave Treatment (ISMST), società scientifica internazionale che studia gli effetti delle onde d’urto, nel consensus  statement del 2016 ha definito che la terapia è approvata nelle seguenti condizioni: 

  • Tendinopatie croniche

o Tendinopatia calcifica di spalla

o Epicondilalgia laterale di gomito

o Sindrome del dolore al grande trocantere

o Tendinopatia rotulea

o Tendinopatia achillea

o Fascite plantare con o senza sperone calcaneare

 

  • Patologie ossee

o Ritardo di consolidazione ossea

o Pseudoartrosi

o Fratture da stress

o Necrosi ossea avascolare senza derangement articolare

o Osteocondrite dissecante senza derangement articolare

  

  • Patologie cutanee

o Ferite cutanee non guarite o un ritardo di guarigione delle stesse

o Ulcere cutanee

o Ustioni non circonferenziali

 

  1. CI SONO CONTROINDICAZIONI ?

Si, le principali sono :

La presenza nel campo focale da trattare, o immediatamente vicino, di strutture delicate quali encefalo, midollo spinale, gonadi o organi cavi come polmone e intestino: nel passaggio dell’onda sonora dal mezzo solido a quello gassoso si rischia di provocare lesione ai tessuti

  1. Gravidanza
  2. Terapia con Anticoagulanti Orali (sia TAO che NAO, es. Warfarin, Dabigatran) e gravi patologie della coagulazione del sangue: in questi casi si ha una abnorme facilità al sanguinamento, pertanto sono controindicate. In chi non ha malattie della coagulazione questo non si verifica o, al massimo, può comparire un lieve arrossamento della cute che tende a risolversi nel giro di 24-48 ore.
  3. Neoplasie
  4. Infezioni dei tessuti molli o dell’osso
  5. Pacemaker o elettrostimolatori: si deve porre attenzione al tipo di generatore utilizzato.
  6. Bambini e adolescenti: la presenza di nuclei di ossificazione non ancora saldati è una controindicazione alla terapia. 
  1. MA FANNO MALE LE ONDE D’URTO?

 Si, le Onde d’urto possono essere dolorose con ampia variabilità da persona a persona, da zona a zona di trattamento.

 Ogni seduta dura, circa 10 minuti;  Viene evocato il dolore ben noto al paziente perché viene sollecitata proprio la zona dolente: finita la seduta potrebbe permanere una certa dolenzia per tutto l’arco della giornata, è assolutamente normale e fa parte dell’effetto terapeutico.

Il dolore durante il trattamento via via diminuisce con il ridursi della sintomatologia.  

  1. DOPO QUANTO HA EFFETTO IL TRATTAMENTO ?

 Le onde d’urto lavorano tramite un meccanismo d’azione che interviene su reazioni biologiche complesse e fenomeni riparativi che necessitano di tempo per instaurarsi, per cui gli effetti possono non essere immediati. Gli effetti possono vedersi fin dalla seconda seduta, così come al termine dell’ultima o anche dopo.

Generalmente vengono svolti cicli da 5 sedute con cadenza settimanale ( 1 a settimana).

Dopo di che si può aspettare circa 3/ 4 settimane e poi ripetere nuovamente un ciclo.

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“Strappo” muscolare posteriore alla coscia?

 “Strappo” muscolare posteriore alla  coscia? 10 cose che devi sapere

  1. Partiamo innanzitutto a capire chi sono i responsabili del tuo dolore.

Chi sono gli hamstring ?

Hamstring è il nome collettivo con cui si identificano i muscoli posteriori della coscia: Semimebranoso, Semitendinoso e Bicipite Femorale;

la loro azione principale è quella di flettere la gamba sulla coscia ed estendere la coscia sull’anca.

La lesione agli Hamstring è uno dei più comuni infortuni negli sport in cui sono presenti scatti , come ad esempio il calcio, running, rugby ecc..

Secondo recenti ricerche rappresenta circa il 12-15 % di tutti gli infortuni

Dei tre muscoli, è il Bicipite ad essere maggiormente colpito e, in particolare il Capolungo (nell’80% dei casi)

  1. Qualsi sono i fattori di rischio per una lesione agli Hamstring ?

Forza insufficiente , specialmente in contrazione eccentrica

L’esercizio eccentrico in un soggetto precedentemente non allenato porta a sensazioni di rigidità e dolore il giorno successivo; Si ritiene che questi siano il risultato di un danno microscopico alle fibre muscolari seguito da una risposta infiammatoria locale.

Gli hamstring sono spesso associati a contrazioni eccentriche  e tali contrazioni producono danni muscolari microscopici.

Se le contrazioni eccentriche continuano, le aree microscopiche di danno possono fornire un punto di debolezza da cui può sorgere una lesione maggiore.

(American College of Sport Medicine)

Insufficiente lunghezza muscolare: studi recenti hanno dimostrato che i soggetti con un rom di flessione di anca inferiore a 90° sono più a rischio di altri per lesioni muscolari di hamstrings.

Disequilibrio muscolare tra muscoli agonisti e antagonisti.

Fatica Muscolare Precoce: la fatica muscolare porta a acidosi precoce e quindi alterazioni metaboliche del muscolo con un rischio maggiore di lesione.

Instabilità lombare e/o aumentato tilt pelvico Anteriore:  Un’analisi statistica del 2017 ha evidenziato come il verificarsi di una lesione agli hamsting fosse associato ad un aumentato tilt pelvico anteriore e flessione laterale toracica durante le fasi di volo (oscillazione) dello sprint durante la corsa. (Deviating running kinematics and hamstring injury susceptibility in male soccer players: Cause or consequence?) 

Lesioni Pregresse.

3. Qual é il meccanismo di lesione ?

Scatto, accelerazione e decelerazioni, cambi di direzioni, salti e kick sono i movimenti principali che possono indurre una lesione.

Le lesioni possono essere suddivise in due grandi categorie:

sprinting type: avviene a seguito di un estensione improvvisa di ginocchio combinata con flessione di anca ( un calcio in avanti o durante la corsa);

stretching type: lesione dovuta solitamente ad eccesso di stiramento e colpisce maggiormente il semimembranoso o semitendinoso. 

  1. Dopo un infortunio agli hamstring c’é il rischio di recidiva ?

Si, con una probabilità del 25%.

Uno studio del 2016(hamstring reinjuries occur at the Same Location and eary After Return To sport) ha evidenziato che il 50% delle recidive avvengono 25 giorni dopo il ritorno allo sport, il 79% entro un anno .

Ma quali sono le cause di reinjuries?

  • Riduzione del rom di flessione di anca
  • deficit di forza e controllo muscolare di tutto l’arto inferiore
  • bassa attività mioelettrica
  • inadeguata riabilitazione. 
  1. Quanto impiegherò a guarire?

I tempi di recupero variano a seconda di molti fattori;

Innanzi tutto dipende dalla grandezza della lesione; La severità di tali lesioni va dal semplice DOMS (delayed onset muscle soreness) sino alla rottura muscolare completa, in base a ciò il tempo di recuperò può variare da qualche giorno a 6 mesi.

dal tessuto coinvolto : giunzione muscolo tendinea , tendine, regione centrale del muscolo,

dal tipo di lesione: uno stretching type ha un tempo di recupero circa 3 volte superiore allo sprinting type.

 

  1. Come faccio a sapere di avere una lesione ?

Un’attenta valutazione fisioterapica permette di valutare l’entità della lesione attraverso :

  • osservazione: presenza di ematomi, atteggiamento antalgico, avvallamento o interruzione sul corpo muscolare;
  • palpazione del muscolo : secondo uno studio, (clinical implications from daily physiotherapy examination of 131 acute hamstring injuries and their association with running speed and rehabilitation progression), quando il dolore alla palpazione è dimezzato rispetto all’inizio, siamo a metà del trattamento.
  • Test attivi e passivi per valutare rom articolare ( Mhfake test: estensione di ginocchio ad anca flessa, Slr attivo: flessione di anca a ginocchio esteso , flessione tronco )
  • Valutazione Muscolare concentrica ed eccentrica inner, middle e outer range
  • Condizioni fisiche Generali.
  • Eventualmente esame ecografico
  • In rari casi RMN, utile per conferma diagnosi incerta o in caso di intervento chirurgico

 

  1. In cosa consiste la fisioterapia e quando iniziare ?

È necessario iniziare la fisioterapia subito in prima giornata post infortunio, in modo tale da             accelerare i tempi di recupero.

Il programma riabilitativo può essere sintetizzato in 3 fasi:

Fase acuta : in questa fase che dura generalmente massimo 1 settimana, è ancora presente una reazione infiammatoria acuta con edema locale a seguito di rottura di capillari e conseguenti condizioni anaerobiche; inizia il processo di granulazione cicatriziale.

L’obbiettivo in questa fase è promuovere la riparazione e ridurre il dolore .

Come ? Per una guarigione di qualità e una riduzione del rischio di recidiva nel 2019 il British Journal of Sport Medicine ha emesso un nuovo protocollo,  PEACE & LOVE :

 

Protezione: ovvero ridurre il movimento o il carico sulla struttura per qualche giorno in modo da evitare l’aggravamento della lesione.

Elevazione dell’arto in modo da ridurre il gonfiore

Antinfiammatori: vanno evitati! Cosi’ come l’uso del ghiaccio. Il loro scopo teorico e’ di ridurre il processo infiammatorio. Ma se questo e’ il primo passo verso la guarigione perche’ ostacolarlo?

            Compressione.

            Educazione del paziente

            Load ovvero caricare in modo graduale la struttura danneggiata

            Ottimismo:  paura, catastrofizzazione e depressione possono essere molto piu’ dannosi che il       trauma stesso trasformandosi in ostacoli insuperabili nella strada verso il pieno recupero.

            Vascolarizzazione ovvero praticare attivita’ aerobica in assenza di dolore. L’esercizio             cardiovascolare sprigiona cortisolo, adrenalina, endorfine ecc.

La benzina giusta per buon umore e recupero piu’ veloce.

            Esercizio: contrazioni isometriche non dolorose. 

            Fase Sub Acuta : è la fase di riparazione vera e propria in cui i fibroblasti producono     collagene per la formazione della cicatrice. L’esercizio in questa fase è un elemento       indispensabile per promuovere la formazione di una cicatrice funzionale.

Fase di Rimodellamento: fase di rimodellamento del collagene.

 

  1. In poche parole bisogna lavorare su :
  • Capacità tissutale;
  • Forza Muscolare;
  • Velocità;
  • Prestazione motoria;

Capacità : è l’abilità di stressare un tessuto lesionato senza perdere forza.

Si andrà a valutare non soltanto il muscolo lesionato ma anche Glutei in maniera uni e bilaterale, adduttori, quadricipiti, muscoli stabilizzatori di tronco e pelvi.

Esercizi quali:

Bridge bipodalico e unilaterale

Glute-ham Raise

Affondi lineari e multidirezionali

Corsa laterale incrociata

Corsa su superfici diverse (sabbia tappetini propriocettivi, terreno ecc.. )

Bridge monopodalico

Glute-ham Raise

Affondi Lineari

Forza muscolare: recuperare la forza del muscolo lesionato e non solo.

            In questa fase verranno eseguiti esercizi specifici per il muscolo lesionato, quindi esercizi anca dominante per stimolare maggiormente il bicipite femorale, esercizi ginocchio dominanti per rinforzare maggiormente semitendinoso e semimembranoso.

            Uno degli esercizi cardine per gli ischio-crurali è il Nordic Hamstring, che attiva inizialmente semitendinoso e semimembranoso e in fase terminale dell’esercizio il bicipite.

            Altri esercizi: step up con bilanceri, affondi multirezionali con bilanceri o pesi etc…

Nordic Hamstring

Deadlift con kettelbell

Eccentrica degli ischiocrurali

Velocità: eseguire un movimento rapido senza paura, con controllo motorio e senza dolore

ad esempio: balzi veloci da una gamba all’altra, scatti, salire scalini, askling , kettlebell   swing etc.

  1. Quando posso tornare a fare sport ?
    • Assenza di dolore alla palpazione
    • assenza di dolore al Mhfake test
    • recupero di forza eccentrica concentrica e isometrica pre infortunio
    • Askling negativo e recupero del rom completo (illustrazione 1 )

In ogni caso il rientro sportivo sarà graduale.

Illustrazione 1: Askling test si propone di verificare se, nel momento in cui gli altri test ed esami clinici evidenziano la possibilità di ritorno allo sport, ci sia ancora la presenza di fattori che meritano il proseguimento della riabilitazione (differenza di flessibilità, percezione di insicurezza, paura nell’eseguire il movimento)

 

  1. Come prevenire un recidiva ?

Continuare con il lavoro muscolare eccentrico, concentrico e isometrio non soltanto degli hamstring ma, come già detto sopra, rinforzare tutta la coscia, glutei, stabilizzatori della colonna; mantenere un buon rom articolare di anca ginocchio schiena e lavorare su fatica muscolare.

A Cura di: 

GIULIA SANGUINETTI, PT, OMPT student 

  • Orthopaedic Manipulative Physical Therapist (OMPT) Student
  • Fisioterapista dei disturbi vascuolo-linfatici
  • Fisioterapista esperta in fisio-pilates

 

La stagione sciistica è alle porte, non farti cogliere IMPREPARATO!

La stagione sciistica è alle porte, non farti cogliere IMPREPARATO!

Lo sci è uno sport molto tecnico e, dal punto di vista dei meccanismi energetici, prevalentemente anaerobico; pertanto anche un soggetto impreparato dal punto di vista fisico, ma con una buona tecnica (magari appresa da piccolo), può scendere senza problemi da qualsiasi pista, e questo è quello che si verifica all’inizio della stagione alla maggior parte degli sciatori; ma, come accade in tutte le stagioni invernali, molti sciatori riprendono l’ attività sportiva dopo mesi di stop e questo può portare a problemi fisici seri.

 

Questa è una pratica assolutamente errata, lo sanno tutti, ma ugualmente continuano a non fare una corretta ginnastica presciistica.
Sciare senza un’adeguata preparazione atletica aumenta in modo esponenziale il rischio d’infortuni e rende questo bellissimo sport molto pericoloso quando in realtà non lo è, perché le sollecitazioni sono le stesse ma la resistenza di muscoli e articolazioni è molto minore in un soggetto non preparato fisicamente.
In primo luogo occorre considerare che nello sci il carico che viene dato a livello articolare è proporzionale al peso corporeo, dunque essere in sovrappeso aumenta il rischio di infortuni. Non è necessario essere in perfetto peso-forma ma almeno bisognerebbe evitare il sovrappeso.
Secondariamente è poco utile fare esercizi di presciistica se non si hanno le basi aerobiche e muscolari per ottenere il massimo da questi esercizi. Bisogna prima costruire le basi aerobiche e poi passare alla presciistica.
Lo scopo della presciistica non è quello di preparare uno sciatore agonista bensì di allenare uno sciatore che vuole divertirsi in totale sicurezza sfruttando al massimo le sue capacità tecniche.
Quando si parla di sci/snow si pensa solo agli arti inferiori. Senza dubbio i muscoli delle gambe, in particolar modo i quadricipiti e glutei, devono fare un gran lavoro trasmettendo potenza sullo sci al fine di determinare la direzione, frenare e ammortizzare le asperità, ma nella realtà tutto il corpo viene attivato, ad esempio gli addominali, che con la loro tonicità e forza permettono un avanzamento del busto e il mantenimento della corretta centralità sullo sci.

Per finire la parte superiore del corpo ha il compito di compensare gli spostamenti degli arti inferiori e di lavorare in sinergia con essi; ps: non dimentichiamoci che per racchettare servono le braccia!

Ma quando ci si allena per lo sci?

Tendenzialmente qualche mese prima (1/2) al fine di arrivare alla famigerata prima sciata di dicembre/gennaio pronti per godersi la neve.

Cosa occorre potenziare?

È necessario concentrarsi sui 4 fattori fondamentali per lo sci:

  1. Potenza: aumentando la forza muscolare è possibile trasferire maggior potenza sullo sci.
  2. Resistenza: fondamentale, in quanto consente di godersi una pista senza doversi fermare ogni 100 metri a riprendere fiato.
  3. Agilità: più velocità nei cambi, maggiore prontezza di riflessi e sicurezza nell’evitare ostacoli improvvisi.
  4. Equilibrio: è il punto cardine della nostra capacità sugli sci, dove viene richiesto al corpo un costante adattamento della posizione per compensare le sollecitazioni prodotte dalla pista.

Per sviluppare la potenza sono molto utili esercizi specifici come ad esempio squat bi e monopodalici, affondi frontali e laterali, balzi, esercizi isoinerziali stacchi da terra etc; il trainig sulla resistenza prevede l’utilizzo di cyclette o ancor meglio ellittica al fine di sviluppare le caratteristiche aerobiche di base per poter affrontare le piste. Agilità ed equilibrio vengono allenati mediante esercizi specifici su bosu-pedane instabili, dalle più semplici alle più complesse fino al gesto sport specifico.

Due parole in più sull’equilibrio

Nello sci l’equilibrio è un’abilità fondamentale; quando sciamo, siamo in piedi su due assi di legno su un fondo molto scivoloso, siamo per la maggior parte del tempo con il peso su un solo sci, e passiamo con molta rapidità da uno sci all’altro, su un terreno spesso non uniforme, con pendenze che variano. Il mantenimento della centralità sugli sci è fondamentale e per farlo bisogna avere equilibrio e capacità di recuperarlo, quando si perde.

Anche sensibilità e la coordinazione sono due caratteristiche cardine nello sci: lo sciatore deve “sentire” il terreno sotto i suoi piedi, deve avere padronanza del gesto tecnico e nel giro di breve tempo essere in grado di posizionare il corpo nella posizione giusta per affrontare le curve nelle diverse condizioni di neve e di pendio. Per tutto questo l’allenamento del controllo motorio risulta probabilmente il training irrinunciabile per chi ha deciso di passare qualche settimana sulla neve.

Esistono dei test per capire a che livello fisico sono?

Si, ci sono alcuni test o meglio alcune valutazioni di abilità funzionali che possono darci un’idea del livello fisico:

  • Front squat: sollevare l’equivalente del proprio peso corporeo
  • Back squat: sollevare l’equivalente di 1,5 volte il proprio peso corporeo
  • Stacco da terra: sollevare l’equivalente di 1,5 volte il proprio peso corporeo
  • Panca piana: sollevare l’equivalente del proprio peso corporeo
  • Trazioni alla sbarra: eseguire una trazione alla sbarra ovvero sollevare l’equivalente del proprio peso corporeo
  • 5 squat monopodalici ad occhi chiusi rimanendo sempre in equilibrio su un piede.
  • Rimanere in equilibrio in piedi su una swiss ball per 30 secondi.
  • Camminare a occhi chiusi mettendo i piedi uno davanti all’altro, per 5 metri.

A cura di:

CLAUDIO CECCARELLI, PT – OMPT

  • Fisioterapista
  • Orthopaedic Manipulative Physical Therapist (OMPT)
  • Assistente alla Didattica Università di Roma “Tor Vergata”, Master in Terapia Manuale Applicata alla Fisioterapia
  • Specializzato nella Riabilitazione dei Disordini Muscoloscheletrici di Spalla, Gomito e Mano
  • Membro del gruppo di ricerca scientifica G.E.R.I.C.O (Generic Elbow Rehabilitation and Integrated Orthopaedic Collaboration)