ARTROSI DELLA SPALLA

ARTROSI DELLA SPALLA

FINALMENTE LIBERI DAL DOLORE GRAZIE AI NOSTRI TRATTAMENTI PERSONALIZZATI

Indossare una giacca, lavarsi i capelli, raggiungere uno scaffale alto… quando ogni movimento del braccio provoca un lampo di dolore nella regione della spalla, la vita di tutti i giorni diventa difficile. La colpa è dell’usura della spalla (artrosi).

Esistono diversi modi per trattare efficacemente l’artrosi della spalla. I nostri fisioterapisti altamente specializzati sull’artrosi possiedono diversi anni di esperienza e concetti per trattamenti altamente personalizzati.

COS’È L’ARTROSI?

L’artrosi è il termine medico per indicare l’usura cronica e lentamente progressiva di un’articolazione. Si distingue una forma primaria e secondaria. 

L’artrosi primaria è la più frequente. La causa di questa forma di artrosi della spalla è il danno alla cartilagine articolare. Ciò fa sì che i processi di costruzione e degradazione della cartilagine perdano l’equilibrio che si traduce in una perdita dello strato protettivo della cartilagine. Di conseguenza, l’usura si espande all’osso, alla capsula articolare e ai tendini circostanti. Questo provoca lo sviluppo del dolore. Se non trattata, l’artrosi provoca una deformazione ossea nell’articolazione e, di conseguenza, limitazioni alla mobilità meccanica. Di solito, la predisposizione e/o l’abuso sono responsabili dell’artrosi. In questi casi l’artrosi della spalla si verifica spesso senza una causa rilevabile. 

La forma secondaria di artrosi non è necessariamente correlata all’età. Più frequentemente, sono la diretta conseguenza di danni ai tendini (lesioni a carico della cuffia dei rotatori) o di incidenti passati con conseguente frattura di spalla. 

Altre forme di artrosi secondaria si sviluppano se c’è un’instabilità cronica nell’articolazione della spalla dovuta a lussazioni ricorrenti. Le malattie infiammatorie croniche, ad esempio i reumatismi, possono causare forme caratteristiche di artrosi. Nelle forme più rare, l’artrosi è causata da un problema di circolazione nella testa omerale (necrosi della testa omerale). Questo può anche svilupparsi dopo incidenti o a causa dell’assunzione di determinati farmaci, ad esempio i farmaci chemioterapici. 

CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA SPALLA

La tua spalla è composta da tre ossa:

  • Osso del braccio superiore (omero);
  • Scapola;
  • Clavicola

La testa dell’osso del braccio si inserisce nella cavità glenoidea della scapola. Una combinazione di muscoli e tendini mantiene la testa dell’omero ben centrato in questa cavità. Questi tessuti sono chiamati muscoli della cuffia dei rotatori.

Ci sono due articolazioni nella spalla, ed entrambe possono essere colpite da artrosi. Un’articolazione si trova dove la clavicola incontra la punta della scapola (acromion).  Questa è chiamata articolazione acromioclavicolare (AC). Il secondo è dove la testa dell’omero si inserisce nella scapola ed è chiamata articolazione gleno-omerale.

In realtà quando parliamo di spalla dobbiamo considerare che essa è composta, in realtà, da 5 articolazioni ben sincronizzate. Tuttavia, solo 3 articolazioni vengono considerate “vere articolazioni”, ovvero articolazione gleno-omerale, acromion-clavicolare e sterno-clavicolare.

La spalla possiede, inoltre, diverse altre strutture importanti:

  • La cuffia dei rotatori, ovvero un insieme di muscoli e tendini che circondano la spalla, dandogli supporto e consentendo un’ampia gamma di movimenti.
  • E le borse, ovvero piccole sacche di liquido che ammortizzano e proteggono i tendini della cuffia dei rotatori. 

COSA È L’ARTROSI DELLA SPALLA?

L’articolazione gleno-omerale può subire molti cambiamenti con l’artrosi. Queste modifiche includono:

  • Cartilagine danneggiata: Una cartilagine articolare forte e scivolosa riveste la superficie della testa omerale e della glenoide nelle aree in cui si incontrano. La cartilagine aiuta le ossa a scivolare l’una contro l’altra e funge da cuscinetto per proteggere le ossa dall’urto reciproco. Tuttavia, la cartilagine articolare è naturalmente più sottile nell’articolazione della spalla rispetto alle articolazioni portanti come le ginocchia e le anche. Con l’artrosi, la cartilagine è danneggiata, consumata o degradata e di conseguenza può influenzare negativamente la biomeccanica della spalla con conseguente dolore e riduzione della funzionalità.
  • Speroni ossei e altra crescita ossea in eccesso
    Per compensare la cartilagine deteriorata, l’omero e la glenoide possono produrre cellule in eccesso, con conseguente formazioni di osteofiti o speroni ossei.   Questi cambiamenti ossei possono provocare ancora più attrito e ridurre ulteriormente il range di movimento.
  • Sinoviti: una membrana delicata che circonda l’articolazione della spalla, chiamata sinovia, può infiammarsi con l’osteoartrosi. La sinovia produce e contiene fluido articolare, che fornisce nutrienti all’articolazione. Una sinovia infiammata diventa più spessa e la quantità e la composizione del fluido articolare che produce possono cambiare. Questa condizione potenzialmente dolorosa è chiamata sinovite
  • Tendiniti
    Quando l’artrosi colpisce la meccanica della spalla, possono essere interessati anche i tessuti molli circostanti. Tendini, legamenti e borse possono subire sforzi e attriti eccessivi con conseguente infiammazioni e lesioni. Ad esempio, quando la cartilagine dell’articolazione gleno-omerale si deteriora, lo spazio articolare tra le ossa si restringe, mettendo a dura prova i tendini circostanti.

QUALI SONO I SINTOMI DELL’ARTROSI DI SPALLA?

Principalmente il paziente con artrosi di spalla severa si lamenta del dolore e di una mobilità ridotta nelle attività di vita quotidiana. Spesso non c’è un trauma concreto per il dolore improvviso, mentre ripetuti sforzi quotidiani accompagnati da una biomeccanica alterata possono essere responsabili della artrosi. Se quest’ultima progredisce il dolore può manifestarsi anche a riposo, in particolare durante la notte.

Spesso i nostri pazienti si lamentano del dolore durante alcuni movimenti della vita quotidiana, come il semplice togliersi una maglia oppure allungare il braccio per fare retromarcia. A seconda dello stadio e della progressione dell’artrosi si possono sviluppare ulteriori restrizioni di movimento ed una perdita graduale della forza.

COME VIENE DIAGNOSTICATA L’ARTROSI DELLA SPALLA?

Per diagnosticare con precisione l’artrosi gleno-omerale, il fisioterapista intervisterà il paziente, condurrà un esame fisico e, se necessario, ordinerà una Rx o risonanza magnetica. Questo processo diagnostico può aiutare a escludere altre potenziali fonti di dolore alla spalla, come la borsite della spalla, il conflitto della spalla, la spalla congelata e le lesioni della cuffia dei rotatori.

IN CHE COSA CONSISTE IL TRATTAMENTO PER L’ARTROSI DI SPALLA?

Se una persona risponde bene al trattamento non chirurgico per l’artrosi della spalla, il processo artrosico può essere rallentato, il dolore può essere controllato e l’intervento chirurgico può essere evitato o almeno posticipato.

Le nostre principali armi per contrastare l’artrosi di spalla e migliorare il dolore, la forza e la funzionalità della spalla sono le seguenti:

  • Terapia manuale;
  • Educazione;
  • Mobilizzazioni articolare;
  • Esercizio terapeutico e programmi di ri – allenamento;
  • Esercizi di stretching e di rinforzo;
  • Terapia aggiuntive come tecar terapia e laser terapia;

 

LA PROTESI PER L’ARTROSI DI SPALLA

Quando le opzioni di trattamento non chirurgico sono state esaurite e non hanno portato a risultati sperati ai pazienti con artrosi di spalla da moderata a grave potrebbe essere consigliato di prendere in considerazione l’intervento chirurgico. Nei soggetti anziani, con con artrosi severa, in genere si consiglia la sostituzione della spalla. Questo intervento sostituisce l’articolazione gleno-omerale sferica con una artificiale. Consiste nel tagliare le estremità artrosiche dell’omero e della glenoide (alveolo della spalla) e sostituirle entrambe con delle protesi.

La sostituzione della spalla è un intervento chirurgico importante che richiede un lungo processo di recupero e riabilitazione. La terapia fisica è necessaria per rinforzare i muscoli della spalla ed evitare la formazione di tessuto cicatriziale. 

 

LA RIABILITAZIONE DOPO LA PROTESI DI SPALLA

La riabilitazione nel paziente protesico inizia ancor prima dell’intervento chirurgico. Questo percorso fisioterapico migliorerà quello che saranno gli outcome, ovvero i risultati, nel lungo termine, dopo l’intervento chirurgico.

In questa fase il paziente verrà istruito su quali sono gli esercizi da compiere dopo l’intervento chiurgico, con lo scopo di rinforzare i muscoli e migliorare la mobilità articolare, ma anche istruendo il paziente sui movimenti da evitare per evitare complicanze.

A seguito dell’intervento chirurgico, la fisioterapia andrà iniziata dopo diverse settimane, su indicazioni del chirurgico. Si tratta di un percorso duraturo, centrato sul paziente, con lo scopo di:

  • Favorire la guarigione dei tessuti;
  • Recuperare la funzionalità della spalla;
  • Prevenire complicanze.
Allenare la forza può giocare un ruolo importante sulla cura e prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in menopausa?

Allenare la forza può giocare un ruolo importante sulla cura e prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in menopausa?

La pratica regolare dell’esercizio fisico organizzato, come del resto l’attività fisica spontanea legata alla vita di relazione e alle abitudini rappresenta l’elemento fondamentale di uno stile di vita sano, in grado di produrre effetti positivi sulla salute sia fisica sia psicologica dei soggetti. 

La menopausa rappresenta un momento della vita che spesso preoccupa la maggior parte delle donne, questo perché il termine della fertilità è spesso accompagnato da altri disturbi che possono essere più o meno seri. Tra questi ci sono le patologie osteoarticolari e in particolare l’aumento dell’incidenza dell’osteoporosi.

 

Evitare la menopausa è impossibile perche fa parte del ciclo di vita di ogni donna, però è possibile alleviare le complicanze osteoarticolari grazie all’attività fisica incentrata sull’allenamento della forza.

Infatti, nelle donne in premenopausa e in menopausa sono evidenziati livelli di densità minerale ossea più elevati quanto maggiore è il tempo da loro dedicato alla pratica di attività sportive.

Il processo di osteosintesi, sia nella fase di crescita sia nelle età successive, durante le quali si verifica un continuo rimaneggiamento dell’osso, ha come principale meccanismo di controllo lo stimolo meccanico costituto dalle tensioni e dalle deformazioni applicate all’osso sia dal carico sia dalla contrazione muscolare.

Cos’è l’osteoporosi? 

L’osteoporosi è una malattia cronica caratterizzata da alterazioni della struttura ossea con conseguente riduzione della resistenza al carico meccanico ed aumentato rischio di fratture. 

 

Quali sono i sintomi dell’osteoporosi?

 

Nelle prime fasi dell’osteoporosi in genere non si hanno sintomi. Negli stadi più avanzati si possono avvertire: 

  • Dolore alla schiena, causato da fratture da fragilità o da fratture vertebrali da compressione 
  • Perdita di altezza nel tempo 
  • Postura incurvata 
  • Frattura ossea

 

 

Come si diagnostica l’osteoporosi? 

La diagnosi di osteoporosi si basa in primo luogo sull’esecuzione della densitometria ossea (DEXA o MOC), un esame che permette di calcolare la densità minerale ossea (BMD – Bone Mineral Density) che è una misura della quantita di minerali contenuti in un centimetro cubo di osso. Questo valore è un indicatore della resistenza alle fratture posseduta dalle ossa: tali valori di BMD inferiori al normale sono indicativi di fragilità ossea e indicano una predisposizione da parte dello scheletro a subire fratture. 

L’osteopenia si riferisce ad una condizione dove i valori del BMD sono compresi tra -1 e -2.5 rispetto ad un soggetto sano dello stesso sesso misurato a 30 anni.

L’osteoporosi si riferisce ad una condizione dove i valori del BMD sono inferiori a -2.5, nei casi di osteoporosi grave è inferiore a -2,5 e vi è almeno una frattura da fragilità (conseguente ad un trauma molto lieve o a non dovuto a trauma).

 

 

Osteoporosi e allenamento della forza 

In ogni modo le problematiche correlate alle ossa si possono non solo prevenire, ma anche trattare efficacemente utilizzando le cautele del caso. 

Un’alimentazione corretta con la giusta quota proteica e di calcio, il mantenimento di livelli ottimali di vitamina D e una corretta attività fisica sono tutti fattori che contribuiscono al mantenimento della salute delle proprie ossa. 

È stato evidenziato che allenare la forza mantenga e migliori i valori del BMD nelle donne in menopausa. 

In particolare, è stato mostrato come l’allenamento della forza possa incrementare indicatori della sintesi osseo come collagene di tipo 1 ammino-terminale propeptide (P1NP) e ridurre i livelli di indicatori responsabili del riassorbimento osseo come il telopeptide C, frammento del collagene di tipo 1.

 

 

 

Nell’’ottobre 2017 uno studio ha associa l’attività fisica contro resistenza a un miglioramento significativo della forza nelle gambe e ad un conseguente aumento della densità ossea.

 

In questo studio sono state prese in considerazione oltre 400 donne in menopausa con osteopenia e osteoporosi (definita secondo le linee guida internazionali della presenza alla MOC di un T-score lombare e/o femorale <-1.0.), una metà è stata assegnata casualmente ad un gruppo dove venivano effettuati due allenamenti di forza HiRIT (intensi e da 30 minuti a settimana) e le rimanenti ad un gruppo dove venivano effettuate due sessioni di allenamenti di esercizi a bassa intensità COM                (con carichi che non superavano i 3kg).

 

Dopo 8 mesi dall’inizio dello studio sono state valutate le variazioni in termini di forza, prestanza muscolare e densità ossea: 

  • Nel gruppo dove venivano svolti esercizi di forza si è evidenziato un miglioramento di tutti i parametri, con un incremento significativo della forza nelle gambe del 37% circa (tabella 1) e della densità ossea di circa il 3.7% circa (tabella 2). 
  • Nel gruppo dove venivano eseguiti allenamenti a bassa intensità è stato evidenziato un peggioramento dello 0.3% circa della densità ossea (tabella 2).

 

 

Tabella 1. Variazioni percentuali della forza dei muscoli estensori e flessori dopo 8 mesi dall’inizio dello studio in donne in menopausa con osteoporosi.  

  

 

   Tabella 2. Variazioni percentuali della BMD dopo 8 mesi dall’inizio dello studio in donne in menopausa con osteoporosi.

 

Un altro dato interessante è che negli oltre 2600 allenamenti di forza registrati si è verificato un unico infortunio indicato come “lieve dolore lombare” che si è risolto nella settimana successiva.

 

Questi dati dimostrano in maniera chiara che anche nei soggetti che sono affetti da osteopenia ed osteoporosi gli allenamenti di forza (che nel caso dello studio eseguito comprendevano anche Squat e Deadlift con pesi elevati) sono sicuri ed efficaci a migliorare la condizione fisica e i valori di densità ossea. 

In conclusione, è emerso dallo studio condotto che: 

  • Allenarsi con i pesi, eseguendo anche Squat e Deadlift con carichi al 70-85% del proprio massimale (il peso massimo con il quale si riesce a fare una sola ripetizione) per due volte a settimana può essere utile per stimolare l’incremento della densità ossea e di conseguenza migliorare le condizioni fisiologiche delle donne in menopausa con osteoporosi.

 

  • Assicurarsi di svolgere gli esercizi in maniera corretta, sotto supervisione di professionisti del settore, al fine di prevenire gli infortuni e massimizzare l’efficacia degli allenamenti.

 

  • Associare l’attività fisica ad una nutrizione adeguata.

A cura di: 

Matteo Mosti 

  • Dottore in Scienze Motorie – BDc Sport Science
  • Studente del Master in Posturologia Clinica – MSc Clinical Posturology

 

 

Soffri di mal di schiena? Pensi che la chirurgia sia l’unica soluzione per risolvere il dolore? Leggi questo articolo, potrebbe esserti utile!

Soffri di mal di schiena? Pensi che la chirurgia sia l’unica soluzione per risolvere il dolore? Leggi questo articolo, potrebbe esserti utile!

La lombalgia è definita come un dolore o limitazione funzionale compreso tra il margine inferiore dell’arcata costale e le pieghe glutee inferiori con eventuale irradiazione posteriore alla coscia ma non oltre il ginocchio, che possa causare impossibilità di svolgere la normale attività quotidiana con possibile assenza dal lavoro.

Il mal di schiena ha un’altissima prevalenza (80%) ed un’incidenza del 5%, riconosciuta come il primo disturbo muscoloscheletrico, seconda patologia per prevalenza mondiale, e prima causa di disabilità sotto i 45 anni, senza differenza rilevante di genere. Il picco di prevalenza tra i 30 e 50 anni è un dato importante perché interessa popolazione in età produttiva con gravi conseguenze
economiche.

La prognosi è benigna con una percentuale di cronicizzazione inferiore al 10%.

Quali sono le cause?
Per fare delle ipotesi diagnostiche possiamo fare riferimento ad una classificazione che viene da recenti linee guida.

Il dolore lombare di natura muscoloscheletrica (meccanico), essendo spesso frutto di una diagnosi per esclusione, viene spesso definito in letteratura aspecifico.

Altre tipologie di lombalgia fondamentali da individuare facendo screening per esclusione sono quelle di natura sistemica ( ad esempio spondiloartropatia infiammatoria) o derivati da altre patologie diagnosticabili al di fuori dell’ambito muscoloscheletrico.

Altre due condizioni che spesso ci troviamo, ma non sono delle vere lombalgie, bensì patologie riferite agli arti inferiori (ricordandoci la definizione iniziale che esclude lombalgia quando c’è irradiazione oltre il livello del ginocchio), sono quelle condizioni che coinvolgono le radici nervose come una radicolopatia, oppure sindromi del canale stretto (ad esempio la stenosi cioè una riduzione del lume del canale vertebrale con possibili conseguenze neurologiche).

Cosa fare in caso di mal di schiena?
Il primo passo è consultare un professionista specializzato nel trattamento dei disturbi muscoloscheletrici che attraverso un’accurata anamnesi ed esame fisico indagherà la causa del vostro dolore. Nella maggior parte dei casi non siamo di fronte a nulla di grave se non un semplice carico eccessivo dovuto a fattori come stress, stile di vita, incidente non grave.

In pratica nella visita iniziale si dovrebbero escludere le possibilità minime che si sia di fronte a qualche patologia grave. La percentuale di persone in cui la lombalgia cronica è il campanello d’allarme per qualcosa di preoccupante è minima, nell’ordine dell’1-2%.

Dopo aver escluso queste patologie ed aver capito che si tratta di una lombalgia aspecifica, lo specialista vi darà consigli ed informazioni che siano specifici per le vostre capacità e necessità, informandovi rispetto alla natura benigna del dolore lombare e incoraggiandovi a mantenere il vostro range di attività normale tenendo il dolore sotto controllo. Per migliorare un mal di schiena
è opportuno che la persona divenga partecipe del suo processo di guarigione.

Attraverso il ragionamento clinico, il fisioterapista definirà un programma di esercizi sulla base del paziente che ha davanti. Il piano di esercizi deve avere un approccio di natura funzionale, deve quindi mirare a quei movimenti che fanno parte del repertorio del paziente.

Questo risulta essere più utile sia in termini prognostici sia in termini di aderenza del paziente al trattamento per poter
poi integrare gli esercizi nella sua quotidianità.

Il piano di esercizi deve poi rispettare una gradualità che dipende dalla presentazione clinica del paziente: in una fase iniziale l’esercizio sarà finalizzato più al recupero di un’abilità, intesa come uno di quei mattoncini necessari per ricreare un determinato movimento (forza, ampiezza articolare, capacità di rilassare la muscolatura in
pazienti che attuano strategie di cocontrazione ecc.), mentre più avanti si faranno esercizi più incentrati sul recupero di una capacità funzionale.

Per ottenere degli adattamenti è fondamentale che il paziente aderisca al trattamento. L’aderenza è definita come il grado in cui il comportamento di un paziente corrisponde alle indicazioni del professionista sanitario. 
Inoltre la terapia manuale riveste un ruolo importante nella gestione del dolore, è indicata più o meno in tutte le sue modalità e deve essere inclusa all’interno di un piano di trattamento che preveda anche esercizi ed anche altri tipi di approcci non manuali.

Quando ricorrere alla chirurgia?
I miglior candidati alla chirurgia sono quei pazienti che presentano un quadro specifico (si parla infatti di lombalgia specifica) ed identificabile con una patologia specifica, come tumore od ernia del disco sintomatica (rara).

Infatti spesso sono presenti ernie in soggetti senza dolore: l’ernia non giustifica il dolore ma rappresenta spesso un normale processo di invecchiamento della colonna!

Per quanto riguarda l’ernia discale sintomatica, una indicazione assoluta per un consulto chirurgico immediato è la presenza di sintomi riconducibili ad una sindrome della cauda equina quali anestesia a sella della regione perineale, ritenzione e/o incontinenza fecale o urinaria e ipostenia agli arti inferiori bilaterale.

Rappresentano invece delle indicazioni relative la presenza di steppage dovuto alla comparsa di un deficit motorio ingravescente in un paziente con diagnosi certa di ernia discale di L4-L5, che richieda una attenta valutazione. Altre indicazioni relative sono una durata dei sintomi maggiore alle 6 settimane, un dolore resistente che non risponde agli analgesici, un fallimento del trattamento conservativo e la concomitanza di altre patologie gravi di colonna.

Per quanto riguarda invece la stenosi sintomatica (cioè la riduzione del lume del canale vertebrale con possibili conseguenze neurologiche), in generale le principali indicazioni riportate in letteratura scientifica sono sintomi severi e invalidanti che persistono da almeno 6 mesi e resistenti al trattamento conservativo, deficit neurologici importanti o ingravescenti, claudicatio neurologica, segni evidenti di instabilità vertebrale, segni di stenosi radiologica avanzata.

A cura di:

Marinari Noemi

  •  PT
  • OMPT student

 

Running e fascite plantare L’importanza della fisioterapia nello sport più praticato di sempre

Running e fascite plantare L’importanza della fisioterapia nello sport più praticato di sempre

La corsa è un processo semplice e complesso allo stesso tempo.

 Semplice perché correre è alla portata di tutti, complesso perché quest’attività sportiva,

 una delle poche che la maggior parte delle persone pratica senza un vero e proprio apprendimento iniziale,

 in realtà richiede di conoscere determinate informazioni e di rispettare certe regole

 affinché la corsa diventi e rimanga un piacere

Gli effetti benefici della corsa sono ormai noti:

-diminuisce lo stress, allontana i problemi di salute (vita sedentaria, diabete, obesità, ictus, fumo, malattie cardiovascolari, insorgenza di tumori);

-aumenta l’aspettativa di vita, un runner vive in media tre anni di più rispetto ad un non corridore ed è un toccasana per la mente. 

La corsa potremmo considerarla uno sport accessibile a tutti, che scavalca i limiti geografici e sociali, richiede poca attrezzatura, anche solo un paio di scarpe, ed ognuno può praticarlo in base alle proprie capacità. 

Uno studio Delphi del 2015 definisce un infortunio associato alla corsa come “un dolore muscoloscheletrico, correlato alla corsa, negli arti inferiori (nell’allenamento o durante la gara) che provoca una limitazione o cessazione della corsa (distanza, velocità, durata, allenamento) per almeno sette giorni o per almeno tre allenamenti consecutivi programmati o che necessiti di un consulto medico o con un altro professionista della salute “.

Insieme al numero di runners, è però cresciuto anche il numero di infortuni da sovraccarico agli arti inferiori, che si stimano tra l’11 e 85%.

In uno studio del 2019 si è dimostrato come l’80% dei corridori avesse riportato nella sua storia di corsa almeno uno o più infortuni legati all’attività.

Gli infortuni più frequenti sono a carico del piede, del ginocchio, dell’anca e della colonna lombare:

Wiegand et al. hanno osservato come le patologie più frequenti riscontrate sono: sindrome della bandelletta ileotibiale (34%), fascite plantare (30%), stiramento dei muscoli dell’anca (25%), shin splints (sindrome da stress del tibiale) (22%), mentre negli ultra maratoneti la tendinopatia achillea e la sindrome femororotulea sono le principali patologie riscontrate. 

Si stima che il 29.5% degli infortuni avviene nei novice runner, parola usata per definire una persona che non ha mai approcciato alla corsa in passato in maniera regolare.

Nonostante molti runners sperimentano nella loro carriera diversi infortuni, non li considerano tali finchè il dolore non compromette la loro performance di corsa.

 

La causa degli infortuni è multifattoriale e spesso sono chiamati in causa sia fattori di rischio intrinseci che estrinseci; in generale sono stati documentati, alcuni modificabili e altri non. La storia di precedenti infortuni, la distanza percorsa a settimana, la frequenza di allenamento, variabili biomeccaniche come l’aumento dell’angolo q dinamico sono solo alcuni dei fattori di rischio indagati.

Alcuni fattori intrinseci sono l’avanzare dell’età, BMI elevato, storia di traumi o infortuni, diversa lunghezza tra i due arti, mal allineamenti anatomici, postura dei piedi, errati carichi sul piede.

 I fattori estrinseci riguardano invece il livello di preparazione, sovra allenamento, il tipo di scarpa e la superficie di corsa.

In base all’infortunio, si può indagare la causa che lo ha generato e concentrandosi sul parametro che lo ha influenzato in maniera maggiore, si modifica l’allenamento.

Alcuni infortuni vengono classificati come patologie di carico e si verificano dopo sessioni di allenamento in cui lo stress meccanico è il risultato eccessivo per il fisico: corsa, salti, dislivelli eccessivi. Le patologie da ripetizione invece tendono a comparire più spesso durante gli allenamenti dove vengono ripetuti gli stessi movimenti. 

Come scritto precedentemente uno degli infortuni maggiori per i runners è la fascite plantare;

 

Cosa è la fascite plantare? 

La fascite plantare è un disturbo muscolo-scheletrico caratterizzato da dolore sulla parte mediale del calcagno e, talvolta, dolore in corrispondenza della fascia plantare, è peggiore la mattina quando si compie il primo passo o comunque compare dopo un lungo periodo di inattività.

Una volta che il paziente inizia a camminare, tende a diminuire.

I sintomi si alleviano, ma non scompaiono del tutto durante il corso della giornata e sono esacerbati da attività come cammino o attività fisica prolungata.

 

Come avviene la diagnosi?

Le linee guida del 2014 affermano come la diagnosi di fascite plantare venga effettuata clinicamente in anamnesi tenendo conto dei seguenti sintomi:

1) Dolore al primo passo dopo un periodo di inattività o stazione eretta prolungata

2) Dolore tipico al mattino, al risveglio.

I test dell’esame fisico che mi possono confermare la diagnosi sono:

  • dolore alla palpazione nell’inserzione prossimale al calcagno della fascia plantare,
  • positività ai test clinici (windlass test),
  • negatività al tarsal tunnel test
  • limitato rom attivo e passivo in dorsiflessione di tibio tarsica,
  • anormale appoggio del piede (foot index score alterato) 

L’imaging di solito non è necessario per la diagnosi, tuttavia è un ottimo strumento per fare rule out con altre patologie e rilevamenti radiologici frequenti come gli speroni calcaneari non sono utili a distinguere pazienti con fascite plantare e non, in quanto possono essere presenti anche in pazienti asintomatici. 

Come si tratta?

Il trattamento della fascite plantare è per il 90% -95% dei pazienti conservativo (con fisioterapia) con risoluzione dei sintomi intorno alle 12-18 settimane.

A ragione di questo, può essere considerata una patologia cronica che può portare a disabilità e limitazione nelle attività sia di vita quotidiana che sportive se non trattato adeguatamente.

Dai sei mesi fino all’anno di fallimento della terapia conservativa, si può pensare di ricorrere alla chirurgia. 

Nel 2014 sono state redatte delle Linee Guida per la diagnosi e il trattamento della fascite plantare. Per quanto concerne il trattamento abbiamo diversi tipi di intervento:

  • Terapia Manuale con mobilizzazioni delle articolazioni e dei tessuti molli per trattare rilevanti restrizioni articolari o deficit di estensibilità dei tessuti molli degli arti inferiori
  • Stretching: stretching della fascia plantare, del soleo e del gastrocnemio garantiscono sollievo dal dolore a breve termine (da 1 settimane a 4 mesi). L’aggiunta di imbottiture per il calcagno potrebbe essere consigliata per aumentare i benefici dello stretching
  • Taping: taping antipronazione dovrebbe essere utilizzato per un’immediata riduzione del dolore e aumento della funzionalità. Tape elastico terapeutico applicato al gastrocnemio e alla fascia plantare per ottenere una riduzione del dolore a breve termine (1 settimana)
  • Splint notturni: dovrebbero essere prescritti per un arco temporale di 1-3 mesi in particolare per quei pazienti che lamentano un intenso dolore durante l’esecuzione del primo passo dopo il risveglio.
  • Esercizio terapeutico e rinforzo neuromuscolare: esercizi di rinforzo e allenamento dei muscoli che controllano la pronazione e attutiscono le forze durante le attività in carico
  • Educazione e perdita di peso: consigliare ed insegnare al paziente esercizi funzionali per mantenere un BMI ottimale ed eventualmente indirizzarlo ad un dietologo per impostare una nutrizione corretta
  • Laser e ultrasuoni ed onde d’urto
  • Esercizi e consigli specifici per il return to sport  

Nel 2005 Davis parla del processo di ri-allenamento alla corsa caratterizzato da tre punti:

1)identificare il meccanismo anomalo biomeccanico che ha causato un eccessivo carico sul tessuto

2) stabilire se i meccanismi di corsa sono stati alterati

3) facilitare il cambiamento verso meccanismi di corsa corretti e attraverso il motor learning e consolidare l’apprendimento insegnato.

 

E quindi?

Il trattamento prevede una fase di valutazione; l’obbiettivo è quello di capire il motivo della comparsa del dolore.

Solitamente in assenza di traumi al piede o ad altre articolazioni il dolore di fascite plantare è dato da un sovraccarico.

Una volta ridotto il dolore con le metodiche descritte precedentemente è necessario un programma di riallenamento, in modo da riadattare la fascia plantare e tutto l’arto inferiore, al carico

Ma come si fa?

Innanzi tutto è necessario fare una valutazione della corsa:

  • Durante la corsa l’ampiezza del passo deve essere corta: don’t ovestride!

Quindi appena il piede stacca dal terreno il tallone deve andare verso il gluteo

  • Per quanto riguarda la cadenza, dovrebbe essere tra i 165 e 175
  • Studi discordanti invece riguardo all’appoggio del piede, tuttavia pare che l’appoggio sul mesopiede risulti essere il migliore. 

Si procede quindi lavorando sul corretto schema di corsa, associando poi un lavoro più generico di coordinazione motoria, mobilità, controllo e stabilità non solo del piede ma di tutto l’arto inferiore.  

E per quanto riguarda le scarpe? Non ci sono studi che dimostrano che una scarpa sia migliore di un’altra, nessuna scarpa aiuta a ridurre la probabilità di infortunio da sovraccarico alla fascia plantare, quindi, usa le scarpe con cui corri meglio e che a te personalmente stanno più comode. 

Ricordati che la fascite plantare è un disturbo da sovraccarico, non pretendere di ritornare a correre subito gli stessi chilometri di prima, sul solito terreno.

Bisogna andare con gradi, dare tempo al corpo di riadattarsi al carico 

E per quanto riguarda il dolore?

Se ciò che ti stai chiedendo è se puoi correre con il dolore, la risposta non è così immediata

SI, puoi correre MA, il dolore deve rimanere sotto la soglia di 4 su 10

Il dolore non deve aumentare durante la corsa e la mattina successiva deve tornare a 0

Il dolore non deve peggiorare nei giorni successivi. 

Se e solo se il tuo dolore si comporta così, allora SI, puoi correre, ma ricordati, sempre gradualmente!

A cura di:

GIULIA SANGUINETTI, PT, OMPT

  • Orthopeadic Manipulative Physical Therapist (OMPT)
  • Fisioterapista dei disturbi vascuolo-linfatici
  • Fisioterapista esperta in fisio-pilates.
Legamento crociato anteriore: il futuro della resilienza del legamento rimane nascosto all’interno del complesso sistema sensomotorio.

Legamento crociato anteriore: il futuro della resilienza del legamento rimane nascosto all’interno del complesso sistema sensomotorio.

La dura verità sulla riabilitazione del legamento crociato anteriore

I nostri trattamenti spesso non riescono a ripristinare adeguatamente la funzione del ginocchio, a prevenire lesioni successive o ad allontanare l’artrosi post-traumatica. Allo stesso modo, le nostre tecniche di riabilitazione in gran parte pre-pianificate e le batterie di test hanno una validità discutibile quando si tratta di preparazione al  ritorno allo sport. Come clinici e ricercatori, prima accettiamo questi fatti e riconosciamo la complessità di questo problema, prima possiamo risolverlo.

Nessuno può colmare questa lacuna. Lo scopo di questo post è di delineare le complessità che affliggono la lesione ed il recupero del legamento crociato anteriore e di avviare un dialogo tra i medici e ricercatori incaricati di sviluppare il futuro della riabilitazione del legamento crociato anteriore (ACL)

 

Non solo biomeccanica

Le lesioni del legamento crociato anteriore si verificano a causa di difetti biomeccanici (ad esempio un eccessivo ginocchio valgo), Giusto?

Beh, più o meno. Tuttavia, queste lesioni sono il prodotto di complessi fallimenti di sistemi non lineari. Le alterazioni biomeccaniche sono necessarie, ma non sufficienti a causare lesioni isolate.

Lo sport è un sistema complesso. Il risultato finale è determinato dalle relative abilità e prestazioni dei singoli giocatori, da come ogni giocatore e allenatore interagisce con i compagni di squadra, dalle dinamiche di gioco in continua evoluzione (es. Sostituzioni, rumore della folla, arbitraggio, ecc.) e dal tempo che trascorre sull’orologio. Le due squadre che interagiscono sono raramente “perfette”, ma ciascuna si adatta ai difetti per guadagnare punti, massimizzare i possessi e vincere. Questa caratteristica dell’adattamento è vera per tutti i sistemi complessi: nonostante i difetti evidenti, la complessità consente la variabilità nel modo in cui i sistemi funzionano.

A questo proposito, i difetti biomeccanici sono un “difetto minore” del movimento umano e non sempre provocano lesioni. La naturale variabilità biomeccanica potrebbe essere il capro espiatorio di un più ampio fallimento dei sistemi?

Navigare nello sport

Le abilità motorie dei singoli atleti dipendono dalle dinamiche dell’ambiente, dal compito e dall’organismo; tutto ciò influenza il modo in cui il compito può essere completato. Suggerire che la presenza di un deficit biomeccanico possa determinare singolarmente il rischio di lesioni di un atleta non è plausibile in quanto ciò non tiene conto di queste dinamiche interpersonali. Figure 1a e 1b.

Allora come possiamo tenerne conto?

Figura 1a ed 1b. Il comportamento dell’individuo dipende dall’ambiente. Le dinamiche interpersonali devono essere considerate nella lesione e nel recupero del LCA. Sport.

Dinamiche interpersonali

Più di due terzi delle lesioni ACL si verificano da meccanismi senza contatto, molti dei quali si verificano per evitare un contatto, come un cambio di direzione da parte di un attaccante per evitare un difensore. Aneddoticamente, molti di noi credono che le dinamiche interpersonali dello sport contribuiscano alle lesioni ACL; tendono a presentarsi più frequentemente in partita che nell’ allenamento, sia nei difensori che negli attaccanti.

Tuttavia, rimangono domande fondamentali. Le persone a rischio di lesione del legamento crociato anteriore producono prestazioni peggiori nelle attività che richiedono determinate capacità coordinative reattive? Questo può essere ottimizzato attraverso l’allenamento? Se è così, in che modo?

 

Al momento non ci sono indagini sulle dinamiche interpersonali relative alla lesione del legamento crociato anteriore o al ritorno allo sport. Tuttavia, la consapevolezza che le azioni dell’avversario possano disturbare il pattern dei movimenti minaccia la validità della riabilitazione tradizionale. Stiamo effettivamente sviluppando la preparazione per lo sport?

Una più profonda comprensione dell’adattabilità dei nostri pazienti alle perturbazioni ambientali (e come ottimizzarla) è un’area di ricerca molto necessaria.

Figure 2 – Modello di Newell dei vincoli interagenti e degli effetti sulla variabilità delle prestazioni fisiche.

Il sistema sensomotorio

La ricerca negli ultimi due decenni ha reso popolare il fatto che il controllo sensomotorio determina i comportamenti e gli errori biomeccanici che contribuiscono o derivano dalle lesioni del legamento crociato anteriore. Il sistema sensomotorio è incorporato nell’ambiente in rapida evoluzione. Uno sguardo più approfondito ai complessi meccanismi che influenzano la riabilitazione muscolo-scheletrica aiuterà a definire la portata del problema.

Le seguenti sezioni sono solo un’introduzione alle molte caratteristiche interconnesse del controllo sensomotorio che dovremo considerare.

 

  1. Il sistema sensomotorio è un ciclo di feedback.

Il nostro sistema nervoso centrale (SNC) integra continuamente informazioni sensoriali da più modalità (visiva, vestibolare, somatosensoriale, uditiva, ecc.) per costruire una rappresentazione dell’ambiente. Le azioni motorie successive cambiano l’input sensoriale e il ciclo continua. Senza feedback, un comportamento motorio di successo non è possibile

Il sistema sensomotorio deve prima distinguere tra gli stimoli generati dall’ambiente dal feedback previsto generato dai nostri comportamenti. Le alterazioni degli input sensoriali possono influenzare l’accuratezza di questo confronto e sono alla base delle affermazioni che gli errori di previsione sensoriale e motoria contribuiscono alla lesione del legamento crociato anteriore.

Quando si considera che la variabilità individuale e gli impairments potrebbero influenzare i circuiti di feedback sensomotorio, la coordinazione intra-personale (cioè la capacità di controllare il nostro corpo nello spazio) diventa tanto complesso quanto le dinamiche dello sport.

 

  1. Coordinazione intra-personale

Considera un attaccante  che cerca di saltare un avversario per avvicinarsi alla rete avversaria. Mentre si muove verso la rete, il sistema sensomotorio è incaricato di controllare diversi fattori mentre percepisce l’ambiente in evoluzione. Tali azioni atletiche richiedono il coordinamento di diversi gruppi muscolari ed articolazioni. Alcuni studi che indagano questo concetto in individui  che hanno subito un intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore dimostrano una minore coordinazione articolare durante l’equilibrio di un solo arto, una maggiore rigidità e di conseguenza un rischio di recidiva più elevato.

Sfortunatamente, questi impairments sono clinicamente meno tangibili della debolezza muscolare o della limitazione della mobilità. Ma quali fattori modificabili contribuiscono a queste impairments? Come possiamo essere sicuri di affrontarli?

Si ritiene che l’interruzione del feedback afferente sensoriale nell’articolazione del ginocchio, le differenze nell’elaborazione percettiva e cognitiva e le successive alterazioni nel reclutamento muscolare influenzino la coordinazione intra-personale.

  1. Afferenza somatosensoriale: cosa succede ai meccanocettori del legamento crociato anteriore dopo un infortunio?

La propriocezione è generata dai recettori presenti all’interno dei tessuti legamentosi, capsulari e muscolo-tendinei. Come sappiamo, questi segnali permettono la percezione delle posizioni del corpo, dei movimenti e dello sforzo muscolare. L’integrazione di queste diversificate afferenze somatosensoriale è incredibilmente complessa, compresi i centri del midollo spinale, del cervelletto e della corteccia cerebrale.

Il legamento crociato anteriore e le strutture dell’articolazione del ginocchio circostanti costituiscono il più grande organo sensoriale nel corpo umano.

Gli individui senza afferenza del legamento crociato anteriore sovraregolano la rigidità e l’attività dei muscoli posteriori della coscia, creando così stabilità attiva. Al contrario, quelli con afferenza ACL conservata dopo la rottura del legamento non sovraregolano l’attività dei muscoli posteriori della coscia e tendono ad essere non copers.

Sebbene ancora poco chiari, i pazienti possono recuperare l’afferenza del legamento crociato anteriore a lungo termine dopo intervento con legamentizzazione del tessuto innestato.

 

Disinibizione del livello spinale: trattamenti efficaci per l’inibizione del muscolo quadricipite

Le lesioni articolari e gli interventi chirurgici provocano gonfiore articolare e conseguente inibizione artrogenica muscolare (IMA). Questa disfunzione a livello spinale è alla base della debolezza muscolare del quadricipite bilaterale dopo lesione o ricostruzione del legamento crociato anteriore. (Questo è il motivo per cui i nostri pazienti presentano una rapida atrofia muscolare nonostante l’assenza di lesioni muscolari).

Gli interventi disinibitori mirati all’attività afferente sensoriale (come le TENS ed il ghiaccio) hanno mostrato incredibili risultati nell’affrontare i meccanismi neurali che causano l’AMI. Mascherare gli input sensoriali inibitori con la TENS od il ghiaccio crea “finestre di trattamento” terapeutiche in cui l’eccitabilità e la forza dell’unità motoria del quadricipite vengono temporaneamente ripristinate.

Ogni clinico dovrebbe considerare di utilizzarli per massimizzare il rinforzo del quadricipite nelle fasi acuta e subacuta del recupero. Tuttavia, per essere chiari, non siamo sicuri che questi trattamenti affrontino lo sviluppo di cambiamenti cerebrali cronici.

 

 

  1. Il ruolo delle cortecce integrative e della neurocognizione

Sembra che i periodi di de – afferenziazione a seguito di una la lesione del LCA siano sufficienti per catalizzare i cambiamenti neuroplastici a lungo termine nel cervello e che esistano differenze funzionali nell’attività cerebrale prima della lesione.

Un atleta deve utilizzare le informazioni percepite per prendere centinaia di decisioni motorie durante una partita.

La chiave di questo successo è la capacità degli atleti di cercare, interpretare e prevedere le informazioni rilevanti relative alle dinamiche attuali e future del compito e dell’ambiente. In altre parole, le prestazioni sono limitate dalla situazione, dalla capacità fisica degli atleti e dal loro controllo percettivo-cognitivo.

Ad esempio, gli individui che continuano a subire lesioni ACL hanno una velocità di elaborazione neurocognitiva più lenta ed un minor tempo di reazione visuo-motorio precedente alla lesione.

Queste menomazioni probabilmente persistono (e peggiorano) dopo l’infortunio. Quindi, possiamo addestrarlo? Se è così, lo siamo?

So, can we train it? If so, are we?

 

  1. Efficienza neurale negli atleti

L’efficienza neurale è la capacità di un individuo di integrare più informazioni percettivo-cognitive di un altro. Ciò significa, tra le altre cose, una migliore elaborazione delle informazioni, azioni motorie più efficaci e maggiori attività nelle aree sensomotorie cerebrali.

In genere, gli esperti richiedono meno attività neurale per un’attività standard. Tuttavia, in ambienti complessi, come lo sport, gli esperti usano una maggiore attività neurale.  Ad esempio, i giocatori altamente qualificati mostrano una maggiore attivazione del sistema dei neuroni specchio rispetto ai giocatori poco qualificati durante la previsione dei movimenti dell’avversario o l’analisi dei movimenti.

Questi risultati suggeriscono che le riduzioni delle richieste corticali di compiti isolati consentono agli esperti di elaborare maggiori informazioni e navigare meglio nella complessità dello sport.

La ricerca futura dovrebbe indagare l’utilità dei metodi riabilitativi e di coaching per sviluppare al meglio l’efficienza neurale e la sua associazione con l’acquisizione di abilità. Per ora, i risultati di una maggiore attività fMRI nelle reti visive e attenzionali durante semplici compiti indicano un’inefficienza neurale dopo ricostruzione del legamento crociato anteriore, suggerendo un’opportunità per interventi neuromodulatori mirati alla neurocognizione e alle reti integrative.

  1. Focus esterno attentivo

In generale, l’attenzione prepara selettivamente il sistema cognitivo alla differenziazione tra caratteristiche rilevanti e irrilevanti dell’ambiente. La crescente ricerca suggerisce che l’attenzione diretta all’obiettivo (definita focus esterno) si traduce in un miglioramento delle prestazioni rispetto all’attenzione auto-diretta (definita focus interno). I risultati suggeriscono un focus esterno attentivo per facilitare la capacità di pianificare, selezionare ed eseguire un’azione con una migliore percezione dell’ambiente, mentre il focus interno attentivo disimpegna la percezione dall’ambiente circostante.

A seguito dell’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore, i risultati della risonanza magnetica funzionale suggeriscono maggiori richieste cognitive durante compiti motori ritmici. Inoltre, gli individui sani ad alto rischio di lesioni dimostrano un’attività corticale meno variabile e segni corticali suggestivi di coordinazione motoria meno adattabile.

  1. Si risolve tutto con l’allenamento neurocognitivo?

 

Cos’altro succede nelle nostre teste?

I processi neurali del sistema limbico (emozione e memoria) sono strettamente intrecciati nel comportamento motorio. La neuroplasticità in questo sistema è teoricamente collegata al cambiamento negativo (maladattamento) nei modelli di lombalgia e dolore cronico, ed è stata estesa alla popolazione dei soggetti sottoposti a ricostruzione del legamento crociato anteriore. Significa che dobbiamo considerare l’influenza della motivazione, paura, ansia, dolore, memoria, ecc. nel controllo motorio dei nostri atleti.

Alcuni documenti recenti evidenziano un’ampia gamma di fattori psicologici, sociali e contestuali che influenzano il recupero dei nostri pazienti a seguito di un trauma al ginocchio. Di fondamentale importanza per la salute e il benessere psicologico e sociale, i fattori psicologici sono stati anche direttamente collegati alla funzione del quadricipite ed ai tassi di recidiva dopo ricostruzione del legamento crociato anteriore. I fattori psicologici, sociali e contestuali si evolvono nelle fasi di recupero e dovrebbero essere considerati prioritari nella gestione degli individui che seguono l’ACLR .

 

  1. E’ finita l’era del 3 x 10

I gangli della base e le cortecce motorie interconnesse sono implicati nella selezione dell’azione, nell’inizio e nel cambio del compito. Come clinici ci concentriamo, purtroppo, su atti motori in gran parte pre-pianificati, così i pazienti diventano bravi a usare questo sistema motorio “3 serie di 10”. Tuttavia, le differenze nell’attivazione neurale tra gli individui sottoposti a ricostruzione del legamento crociato anteriore ed individui di controllo  suggeriscono una ridotta propensione al controllo motorio reattivo.

Il movimento reattivo è probabilmente più importante per lo sport e utilizza un sistema motorio diverso (cioè aree premotorie). Ciò suggerisce la necessità di esercizi terapeutici (e paradigmi di ricerca) che si concentrino sulla pianificazione motoria reattiva in ambienti complessi / mutevoli.

 

Il tratto corticospinale discendente è responsabile dell’avvio delle contrazioni muscolari volontarie e della regolazione del controllo motorio discendente. Come con qualsiasi percorso neuronale, l’equilibrio tra i potenziali eccitatori e inibitori influenza la trasmissione e l’attivazione dei motoneuroni “tutto o niente”.

Una ridotta eccitabilità del tratto corticospinale dopo la ricostruzione del LCA significa che è necessaria una maggiore attivazione prima dell’inizio del movimento. Nonostante il trattamento, questa menomazione peggiora nel tempo e il tratto stesso sembra atrofizzarsi.

Inoltre, l’eccitabilità corticospinale è fortemente associata a caratteristiche chiave della funzione muscolare del quadricipite e quindi al recupero funzionale. A tal fine, dobbiamo sviluppare e adottare strategie di trattamento che aumentino l’eccitabilità del tratto corticospinale.

Il biofeedback EMG, immagini motorie, e l’esercizio eccentrico sono strade promettenti.

1.  Infine, il muscolo stesso

 

La caratteristica clinica primaria degli individui che hanno subito l’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore è l’atrofia muscolare del quadricipite. In qualità di fisioterapisti, combattiamo l’inibizione persistente del quadricipite, l’atrofia,  e la debolezza.

Il disaccoppiamento del tessuto nervoso e del muscolo (noto come denervazione) limita gravemente la capacità di contrarre volontariamente i muscoli, aumenta i depositi di grasso intramuscolare, catalizza le transizioni del tipo di fibra, aumenta i mediatori dell’atrofia circolatoria e riduce la conta delle cellule satellite.

Trattamenti come la restrizione del flusso sanguigno e l’esercizio eccentrico è meccanicamente allineato con queste menomazioni metaboliche

Cosa riserva il futuro?

Come clinici e ricercatori, non possiamo continuare a fare la stessa cosa e aspettarci un risultato diverso.

Dato un singolo cambiamento nel sistema sensomotorio, come l’afferenza sensoriale alterata dopo l’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore, il sistema nervoso centrale deve cambiare in modo di incrementare il network neuronale in un modo che mantenga le caratteristiche chiave del comportamento (cioè equilibrio, andatura, ecc).

 

La complessità del sistema nervoso centrale rende incredibilmente difficile sapere dove intervenire. Ma non dobbiamo aver paura di provare. Le modifiche al sistema nervoso centrale non sono cablate e il potenziale per indurre cambiamenti neuroplastici a lungo termine è stato dimostrato in popolazioni con denervazione molto maggiore (cioè ictus, lesioni del midollo spinale).

Il futuro della riabilitazione delle lesioni del legamento crociato anteriore deve prendere in considerazione interventi che guidino la neuroplasticità attraverso la neuromodulazione. Andando avanti, sarà necessario un apprezzamento globale del sistema sensomotorio per testare legittimamente queste teorie in modo scientifico.

Le aree in cui abbiamo bisogno di una comprensione più profonda sono le dinamiche interpersonali, i cambiamenti della rete neurale, il controllo motorio reattivo e la guida per fattori psicologici, sociali e contestuali. Per ora, esistono e dovrebbero essere applicati interventi che inducono una plasticità benefica mirando all’eccitabilità riflessiva spinale, alla riponderazione sensomotoria, alla dipendenza visuomotoria, all’eccitabilità corticospinale e ai fattori di crescita muscolare locale.

A Cura di:

GIONATA PROSPERI FT, SPT, SM, cert. VRS          

  • Fisioterapista  e Scienze Motorie – Sport Science and Physical Therapist
  • Fisioterapista Sportivo – International Federation of Sport Physiotherapy
  • Orthopaedic Manipulative Physical Therapist – OMPT Student – SUPSI Switzerland
  • Fisioterapista specializzato nella Spalla dolorosa