Con il termine Fascite Plantare s’intende tutta una condizione dolorosa non traumatica che coinvolge la fascia plantare; negli USA colpisce il 10% delle persone almeno una volta nella vita e di questo 10% l’80% sono soggetti che praticano attività sportiva con un’età compresa tra i 25 e 65 anni.

Tendenzialmente questa condizione si presenta a un solo arto ma circa un terzo dei pazienti con Fascite plantare avverte dolore bilaterale.

 

Breve Cenni di Anatomia e Funzione della Fascia

La fascia plantare (FP) occupa il piano superficiale della pianta del piede e si divide in tre parti: intermedia, laterale e mediale. La parte intermedia è triangolare ed il suo apice si inserisce nelle tuberosità del calcagno mentre la base corrisponde alle articolazioni metatarso-falangee. Le parti laterale e mediale della fascia continuano con la parte intermedia e si portano in profondità raggiungendo il 5° osso metatarsale, lo scafoide, il 1° cuneiforme e il 1° metatarsale. La fascia profonda è distesa sulle ossa metatarsali e sui muscoli interossei plantari.

Questa spessa struttura ha la FUNZIONE di stabilizzare e sorreggere l’arco plantare longitudinalmente, inoltre ricopre un importante ruolo biomeccanico durante il cammino in quanto alcune fibre della FP sono connesse al tendine d’Achille e quando le articolazioni metatarso-falangee vengono estese si crea una tensione sulla fascia che determina un avvicinamento del calcagno alle teste metatarsali con conseguente aumento dell’arco longitudinale rendendo più efficiente la propulsione in avanti.

La FP ha la capacità di immagazzinare energia elastica grazie all’allungamento passivo che subisce durante la fase di appoggio/oscillazione.

 

 

Quadro clinico FP

Generalmente l’esordio di questa condizione è insidioso, il paziente avverte dolore alla base del calcagno, dove la fascia plantare (FP) s’inserisce sul tubercolo mediale del calcagno; a volte può essere avvertito sul mesopiede o sotto le teste metatarsali. Tendenzialmente il dolore non è presente a riposo, è più forte al mattino ai primi appoggi del piede e tende a ridursi gradualmente durante l’arco della giornata manifestando il cosiddetto “effetto riscaldamento” tipico delle tendinopatie. In fasi croniche il dolore sarà presente anche a riposo e tenderà a non modificarsi con le attività.

Quali sono i fattori di rischio?

Si possono distinguere due tipologie di fattori: intrinseci ed estrinseci; i primi includono un indice di massa elevato presente in più del 70% dei pazienti con FP, l’eccessiva pronazione del piede presente nell’86% dei pazienti con FP, l’età che contribuisce ad assottigliare il tessuto adiposo subcalcaneare ed aumenta la possibilità di formazioni di spine calcaneari (presenti nel 50% dei pazienti con FP), il piede piatto o troppo arcuato.

Tra i fattori estrinseci si evidenziano l’uso di calzature inadeguate con scarso sostegno all’arco longitudinale, attività lavorative che prevedono molte ore in piedi e bruschi cambi/aumenti dell’attività fisica.

Occorre informare che l’eziologia di questa condizione clinica non è chiara ma multifattoriale, determina un’alterazione della funzionalità e della capacità lavorativa con un impatto negativo sulla qualità della vita.

Qual è il ruolo del FISIOTERAPISTA in questa patologia e cosa può fare per aiutare il paziente?

Questa è una condizione clinica dove il paziente generalmente si rivolge al fisioterapista in accesso diretto, indi per cui il Fisioterapista deve, in base alla raccolta anamnestica e all’esame clinico accurato (basato prevalentemente sulla palpazione della fascia plantare a livello dei tubercoli del calcagno), identificare la presenza di una problematica alla fascia plantare al fine di ottimizzare il trattamento migliorando quindi la prognosi del paziente ed evitando trattamenti inutili.

In letteratura sono presenti numerosi studi che propongono diverse tecniche di trattamento e ognuno di questi presenta dei punti forti ed altri di criticità;   la revisione Cochrane di Crawford e Thomson del 2003 ha considerato una serie di interventi (tra cui esercizi, ortesi plantari, infiltrazioni di corticosteroidi, onde d’urto, laser, ultrasuoni) per la FP, ma non è stata in grado di mettere in comune i dati disponibili, ha trovato evidenza inconcludente sull’efficacia dei trattamenti e, nel complesso, ha trovato evidenza limitata su cui basare la pratica clinica. Essendo questa condizione clinica multifattoriale probabilmente anche il trattamento dovrà essere integrato a più strutture.

Il trattamento riabilitativo: in cosa consiste?

Come tutti i trattamenti, gli obiettivi sono incentrati sulla risoluzione della sintomatologia clinica e sul recupero della funzione.

  • La prima fase del trattamento è mirata alla riduzione del dolore con esercizi di allungamento che hanno come focus la fascia plantare e i flessori plantari. In associazione allo stretching è possibile far eseguire al paziente esercizi di rinforzo chiamati isometrici, utili sia per neuromodulare il dolore sia per iniziare a stimolare nuovamente la matrice extracellulare tendinea (che generalmente viene inibita da dolore) con esercizi di carico graduale. Nella pianificazione dell’esercizio terapeutico sarà opportuno monitorare costantemente il livello di dolore del paziente con scale di valutazione del dolore che ci permettono di capire qual è il carico ottimale con il quale stimolare la struttura tendinea del nostro paziente senza irritarla e senza incrementare il dolore. Sempre a breve termine per migliorare la condizione dolorosa la letteratura suggerisce l’utilizzo di ortesi plantari ed allungamento muscolare sia della fascia che dei flessori plantari.
  • Man mano che il dolore si riduce, vengono incrementati gli esercizi di carico sulla fascia plantare con l’inserimento di esercizi isotonici concentrici ed eccentrici fino ad arrivare al ripristino di tutte le normali attività di vita quotidiana/sportiva. Anche in questa seconda fase sarà fondamentale il controllo del dolore sia durante l’esecuzione degli esercizi sia nell’immediato post esercizio;
  • Fondamentale nella gestione di questo disturbo sarà istruire il paziente con pochi esercizi da eseguire in autonomia a casa.
  • Parlando di calzature il fisioterapista, in interdisciplinarietà con il podologo, può suggerire l’utilizzo di scarpe comode che sostengano correttamente l’arco plantare, al fine di prevenire la re-insorgenza della condizione clinica evitando cosi processi di cronicizzazione.

Devo prendere farmaci?

La letteratura più recente ci informa che il solo utilizzo dei FANS non ha alcuna efficacia per la risoluzione della sintomatologia, anche nel breve termine.

 

 

Mi hanno proposto le infiltrazioni, che faccio?

Le infiltrazioni di corticosteroidi da soli o in combinazione con l’esercizio terapeutico possono risultare efficaci per ridurre il dolore e migliorare la funzionalità a breve termine, anche se l’effetto complessivo sulla FP è modesto e possono verificarsi effetti avversi, come l’aumento postoperatorio indotto di dolore, l’atrofia del cuscinetto adiposo, la lesione dei nervi e la rottura della fascia plantare, che richiedono un’attenta considerazione.