L’educazione  alla neurofisiologia  del dolore combinata alla terapia manuale nella gestione del mal di schiena cronico

Il mal di schiena cronico rappresenta una condizione molto diffusa, che impone un importante onere economico alla società di oggi, motivo per cui l’educazione alla neurofisologia del dolore gioca un ruolo oramai fondamental.

Questo vale ancor più per coloro che sono affetti da dolore cronico, la cui gestione rappresenta una sfida difficile per noi fisioterapisti.

Sappiamo che “il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”.

Il nostro sistema infatti produce dolore anche di fronte ad una situazione di pericolo percepito. E’ un sistema di allarme molto sensibile: ci fa percepire dolore anche prima di subire un danno tissutale

Falsi miti e mal di schiena

Conosciamo le varie cause di mal di schiena,  quando preoccuparsi e quando no. Sappiamo che nella maggior parte delle situazioni il dolore è meno grave rispetto all’effettiva gravità del problema. L’educazione è un aspetto importante.

In un altro articolo abbiamo constatato come gli strumenti di  risonanza magnetica o anche le radiografie risultano essere poco attendibili mettendo in evidenza, ad esempio, rigonfiamenti dei dischi vertebrali che non sono molto gravi, anzi una normalità.

Una revisione delle più recenti linee guida cliniche pratica per il mal di schiena cronico (low back pain cronico) raccomanda l’esercizio supervisionato, la terapia cognitiva comportamentale ed un trattamento multimodale, ma mostra discrepanze riguardo alla manipolazione spinale e all’assunzione di farmaci.

Come già scritto in un altro articolo, in molti casi è impossibile, ad oggi,  identificare la causa di un persistente mal di schiena e, di conseguenza, come curarlo. E non è ancora chiaro oggi quale sia la modalità terapeutico migliore in termini di esercizi, ciononostante sappiamo come guidare il nostro paziente verso la risoluzione della sintomatologia dolorosa.

Quello che sappiamo è che non è una vertebra ruotata a produrre dolore, come non lo è un inclinazione del bacino; quindi basta parlare di bacino storto od emibacino ruotato rispetto al contro laterale.  Questa comunicazione verbale non fa altro che instaurare meccanismi e fattori contribuenti che stanno alla base del dolore cronico. C’è un articolo che parla proprio di queste leggende metropolitane

Nella gestione del mal di schiena acuto e cronico, Il paziente deve essere informato e responsabilizzato sulla natura del suo dolore: l’educazione del paziente.

E’ come dire ad un paziente che si presenta da noi di continuare a venire perché ogni tanto il disco deve essere riposizionato correttamente: si tratta di  leggende metropolitane da sfatare.

 

 

 

 

 

Negli ultimi 10 anni le ricerche nel campo delle neuroscienze hanno portato novità importanti nella comprensione del ruolo del cervello nel dolore cronico.  Sono sempre più numerosi gli studi che evidenziano come il dolore cronico sia associato ad una riorganizzazione della corteccia sensoriale.

I pazienti con dolore cronico presentano infatti un’alterazione della rappresentazione corticale somatotopica e anche della capacità di integrare gli stimoli percettivi con la rappresentazione e la discriminazione spaziale tra il lato affetto e quello sano.

Questi cambiamenti non sono irreversibili: per esempio i campi della corteccia sensitiva si possono modificare tramite stimoli tattili che hanno anche una rilevanza comportamentale Le prove attuali suggeriscono che queste mappe corticali corporee sono mantenute dinamicamente nel cervello (neuroplasticità) e sono negativamente influenzate da negligenza, movimento diminuito e dal dolore

La dimostrazione  che le persone con dolore cronico presentano un’immagine del corpo alterata con capacità tattile diminuita, ci spinge ad associare al movimento fisico, sia passivo e sia attivo,  un trattamento per la “riorganizzazione corticale”.

Un approccio relativamente nuovo e promettente nella gestione di mal di schiena cronico consiste nell’insegnare al paziente la neurobiologia e la neurofisiologia del dolore, ovvero la PNE (l’educazione alla neurofisiologia del dolore)

Diversi studi randomizzati e controllati e due recenti revisioni sistematiche hanno riportato risultati favorevoli dopo PNE in pazienti con dolore cronico in termini di riduzione del dolore, catastrofismo del dolore, disabilità, e prestazioni fisiche migliorate.

L’obiettivo dell’educazione alla neurofisiologia del dolore è la riconcettualizzazione del dolore insegnando di più ai pazienti sui processi neurobiologici e neurofisiologici che stanno alla base delle loro esperienze di dolorose.

Nel paziente con CLBP, questa riconcettualizzazione del dolore mette il paziente nella condizione di comprendere perché hanno dolore e che molto spesso il dolore non ha niente a che fare con un tessuto lesionato.

Non è sempre questione di schiena!

Sono anni che si studia il mal di schiena in modo “sistemico” non focalizzandosi quindi in modo ottuso solo su quella zona del corpo che duole ma tentando di andare più a fondo e capirne la vera genesi.

La maggior parte dei professionisti sanitari sono educati attraverso un modello biomedico, secondo la quale esiste un collegamento diretto tra il danno tissutale ed il dolore sperimentato dal paziente.

Solo in caso di una di lombalgia acuta, dove la nocicezione tissutale nella parte bassa della schiena è il meccanismo di  dolore dominante, questo approccio sembra appropriato.

Tuttavia, nel caso di CLBP, mal di schiena cronico, c’è spesso poca o nessuna aderenza a questo biomedico modello di dolore e l’applicazione locale della sola terapia raramente porta ad una riduzione duratura nei sintomi e miglioramento della funzione.

LA TERAPIA MANUALE AGISCE A LIVELLO SUPERIORE 

La terapia manuale può essere definita come quell’insieme di tecniche di mobilizzazione / manipolazione per la gestione del dolore e della funzione, con lo scopo di migliorare la mobilità e la funzione. Sappiamo che uno stimolo meccanico transitorio (attraverso una mobilizzazione/manipolazione) è in grado di  creare una catena di effetti biomeccanici locali  mediati dal sistema nervoso periferico, dal midollo spinale e dai centri superiori.

Tradizionalmente si pensava che l’effetto della terapia manuale dipendesse solo dalla sua tecnica, attraverso il grado di mobilizzazione per esempio, ma oggi sappiamo che mobilizzando un distretto vertebrale apriamo un collegamento di dialogo diretto con il sistema nervoso centrale .

L’ASPETTATIVA DEL PAZIENTE A NOSTRO VANTAGGIO

L’aspettativa del paziente è un fattore ancora più importante riguardante proprio il grado ed il tipo di mobilizzazione.  Grazie anche al lavoro di studiosi come Butler e Moseley, fisioterapisti ricercatori australiani, gli interventi educativi sono stati rivolti ai fattori psicosociali che influenzano l’invalidità e ai meccanismi neurofisiologici del dolore cronico.

È opinione crescente che questi ultimi, attraverso la spiegazione al paziente dei meccanismi neurofisiologici che sottostanno al dolore cronico, possano essere più efficaci nel migliorare i risultati clinici in quanto potrebbero portare il paziente a demistificare e a demedicalizzare la malattia, a dissociare il dolore dal danno tissutale e a incrementare la partecipazione alle attività fisiche.

Il ruolo del  sistema nervoso centrale nella capacità di aumentare o diminuire la propria sensibilizzazione (neuro plasticità)

Tale strategia di educazione può indurre un apprendimento del SNC e quindi un cambiamento dell’esperienza dolorosa, riducendo così l’atteggiamento noto come catastrofismo, che porta il paziente a ritenere il problema molto più grave e disabilitante di ciò che è in realtà, e che, insieme alla paura del movimento contribuisce a cronicizzare il dolore.

Nel caso di una lombalgia, lo stimolo meccanico a livello vertebrale viene applicato per migliorare il movimento segmentale e per facilitare un miglior controllo muscolare locale.  Ma la stessa mobilizzazione può essere vista come un mezzo per agire anche ad altri livelli superiore, per modulare la percezione del dolore.

Dovremmo quindi considerare gli effetti “top down”, considerando il cervello e il suo ruolo integrale nella produzione dello stimolo doloroso.

Sappiamo che nel caso di una lombalgia cronica la terapia manuale non basta, probabilmente perché dobbiamo agire anche a livello superiore, “manipolando” il cervello per determinare un cambiamento della percezione del dolore.

Una nuova manipolazione, quella”CORTICALE”

L’aspettativa di un paziente nei confronti di un determinato trattamento gioca un ruolo fondamentale nella riduzione della sintomatologia. La credenza che un trattamento possa dargli beneficio produrrà quello che si definisce effetto “placebo” Molti fattori possono contribuire alla risposta al placebo, come la relazione tra paziente e fisioterapista, l’aspettativa ed i bisogni del paziente,  lo stato psicologico, il disagio del sintomo, la tipologia di istruzione verbale, la preparazione al trattamento e l’ambiente clinico ambientale.

Questo suggerisce che, ogni volta che viene somministrato un trattamento ad un paziente, non lo si fa nel vuoto, ma in un insieme complesso di stati psicologici che variano da paziente a paziente e da situazione a situazione (Benedetti e Amanzio, 2013).  I fattori che potrebbero influenzare il risultato terapeutico sono rappresentati dalle caratteristiche del trattamento (mano contatto, direzione del movimento, forza), dal paziente e dalle caratteristiche del fisioterapista (credenze sul trattamento e sul dolore, stato, genere) e la relazione paziente-fisioterapista (suggerimento, rassicurazione e compassione)

Adottare solamente un approccio educazione alla neurofisiologia del dolore “hands off” potrebbe non necessariamente soddisfare tali aspettative e potrebbe indurre probabilmente un effetto nocebo, inducendo in tal aspettative e risultati negativi.  Il nostro suggerimento è che un approccio basato esclusivamente sull’educazione alla neurofisiologia del dolore non è efficace se non combinato alla terapia manuale ed all’esercizio supervisionato.

Ecco perché dal punto di vista riabilitativo, il dolore cronico rappresenta una situazione complessa multidimensionale considerando il suo impatto sulla funzionalità della persona

La Fisioterapia si deve orientare sui risultati, sull’educazione al paziente, deve essere fondata sugli aspetti biopsicosociali, incentrata sulla persona e da essa autorizzata, guidata dalla migliore evidenza e dall’attività.

GIONATA PROSPERI, FT, SPT, SM.

  • Esperto In Terapia Manuale nelle cefalee, emicrania
  • Fisioterapista dei disturbi dell’articolazione Temporo – Mandibolare
  • Fisioterapista dei Disturbi Vestibolari
  • C.E.O. del Centro della Colonna vertebrale di Massa
  • Fisioterapia ecoguidata